In tema di responsabilità ai sensi dell’art. 2051 c.c., il danneggiato è tenuto a fornire la prova del nesso causale fra la cosa in custodia e il danno da lui subito (oltre che dell’esistenza del rapporto di custodia), e solo dopo che lo stesso abbia offerto una tale prova il convenuto deve dimostrare il caso fortuito, cioè l’esistenza di un fattore estraneo che, per il carattere dell’imprevedibilità e dell’eccezionalità, sia idoneo ad interrompere il nesso causale, escludendo la sua responsabilità. Cionondimeno, la responsabilità per i danni cagionati da cose in custodia è oggettivamente configurabile qualora la cosa custodita sia di per sè idonea a sprigionare un’energia o una dinamica interna alla sua struttura, tale da provocare il danno (scoppio di una caldaia, esalazioni venefiche da un manufatto, ecc.) Qualora per contro si tratti di cosa di per sé statica e inerte la quale richieda che l’agire umano, ed in particolare quello del danneggiato, si unisca al modo di essere della cosa, per la prova del nesso causale occorre dimostrare che lo stato del luoghi presenti peculiarità tali da renderne potenzialmente dannosa la normale utilizzazione (buche, ostacoli imprevisti, mancanza di guard-rail, incroci non visibili e non segnalati, ecc).
Lo ha ribadito la Suprema Corte di Cassazione – sezione terza civile – sentenza n.18866 del 24 settembre 2015
Il caso
Un soggetto convenne in giudizio, dinanzi al Tribunale di Roma, un Condominio chiedendone la condanna al risarcimento dei danni, patrimoniali e non, quantificati in €.48.500,00, subiti a seguito del sinistro del quale asseriva di essere rimasto vittima, verificatosi il primo dicembre 2014.
Deduceva l’attore di essere scivolato su una grata metallica, di proprietà del condominio, posta in senso verticale rispetto alla sua direzione di percorrenza, lungo il marciapiede, e che, in conseguenza della caduta, aveva subito gravi lesioni su di un arto già gravemente compromesso sotto il profilo anatomo-funzionale.
Sosteneva ancora l’attore che a seguito del sinistro, era andato incontro ad un lungo periodo di depressione e inabilità assoluta e parziale, con postumi invalidanti, valutati dal proprio medico-legale nella misura del 18%.
Ad avviso dell’attore, unico responsabile dell’infortunio era, ai sensi dell’art. 2051 c.c., il Condominio.
La difesa del Condominio
Quest’ultimo si costituiva contestando la domanda attrice e chiamava in garanzia l’Unipol s.p.a..
La sentenza di primo grado
Il Tribunale di Roma rigettò la domanda attrice e compensò fra le parti le spese del giudizio.
Propose appello il danneggiato chiedendo la riforma della sentenza del Tribunale di Roma con l’accertamento e declaratoria dell’esclusiva responsabilità del sinistro a carico del convenuto e condanna dello stesso al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali.
Si costituì in giudizio il Condominio appellato contestando quanto ex adverso dedotto.
La sentenza di appello
La Corte d’appello di Roma ha rigettato l’appello condannando l’appellante alle spese processuali.
Il ricorso per cassazione.
Propone ricorso per cassazione il danneggiato con tre motivi.
Il primo motivo di ricorso
Con il primo motivo il ricorrente lamenta <<violazione e falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360 c. 3 c.p.c.>>
Ad avviso del ricorrente, la Corte d’appello di Roma ha correttamente ritenuto di applicare alla fattispecie in esame l’art. 2051 c.c., ma “non eseguiva un’appropriata applicazione della norma… disapplicando così la stessa disposizione che veniva posta alla base della propria decisione”.
II ricorrente ritiene che il Condominio non ha dimostrato il caso fortuito; che egli ha dimostrato il nesso causale fra il danno e la caduta sulla grata; che non possa considerarsi caso fortuito la pioggia che rendeva viscida e scivolosa la medesima grata. I1 caso fortuito – secondo il ricorrente – attiene infatti al profilo causale dell’evento e deve avere carattere di eccezionalità, imprevedibilità ed inevitabilità, connotati questi che non appartengono ad una leggera pioggia. La Suprema Corte ritiene il ricorso infondato.
Il riparto dell’onere probatorio in tema di responsabilità ex art. 2051 c.c.
La Suprema Corte ricorda il consolidato orientamento in forza del quale, in tema di responsabilità ai sensi dell’art. 2051 c.c., il danneggiato è tenuto a fornire la prova del nesso causale fra la cosa in custodia e il danno da lui subito (oltre che dell’esistenza del rapporto di custodia), e solo dopo che lo stesso abbia offerto una tale prova il convenuto deve dimostrare il caso fortuito, cioè l’esistenza di un fattore estraneo che, per il carattere dell’imprevedibilità e dell’eccezionalità, sia idoneo ad interrompere il nesso causale, escludendo la sua responsabilità (Cass., 29 novembre 2006, n. 25243; Cass., 13 luglio 2011, n. 15389).
Cosa dinamica e cosa statica.
La responsabilità per i danni cagionati da cose in custodia è oggettivamente configurabile qualora la cosa custodita sia di per sè idonea a sprigionare un’energia o una dinamica interna alla sua struttura, tale da provocare il danno (scoppio di una caldaia, esalazioni venefiche da un manufatto, ecc.) Qualora per contro si tratti di cosa di per sé statica e inerte la quale richieda che l’agire umano, ed in particolare quello del danneggiato, si unisca al modo di essere della cosa, per la prova del nesso causale occorre dimostrare che lo stato del luoghi presenti peculiarità tali da renderne potenzialmente dannosa la normale utilizzazione (buche, ostacoli imprevisti, mancanza di guard-rail, incroci non visibili e non segnalati, ecc.) (Cass., 13 marzo 2013, n. 6306).
Il danneggiato deve usare l’ordinaria diligenza.
In particolare – proseguono i giudici di piazza Cavour – la concreta possibilità per l’utente danneggiato di percepire o prevedere con l’ordinaria diligenza la situazione di pericolo occulto vale ad escludere la configurabilità dell’insidia, dato che quanto più la situazione di pericolo è suscettibile di essere prevista e superata attraverso l’adozione di normali cautele da parte del danneggiato, tanto più incidente deve considerarsi l’efficacia del comportamento imprudente del medesimo nel dinamismo causale del danno, sino a rendere possibile che detto comportamento interrompa il nesso eziologico tra fatto ed evento dannoso.
La valutazione della sussistenza di responsabilità spetta al giudice di merito
Spetta al giudice di merito – affermano gli Ermellini – valutare se il danno subito da un soggetto è stato causato da una cosa in custodia, resa pericolosa da agenti esterni, ovvero dalla mancata adozione di cautele da parte del danneggiato, con la conseguenza che l’accertamento e valutazione della sussistenza di una situazione di responsabilità riconducibile alla disposizione di cui all’art. 2051 c.c., costituisce espressione di una tipica valutazione di fatto, incensurabile in cassazione se sorretta da congrua e logica motivazione.
Perché il (presunto) danneggiato non ha diritto al chiesto risarcimento.
Per i giudici di legittimità, facendo applicazione del suddetto criterio relazionale al caso in esame, deve rilevarsi come il danneggiato era a conoscenza della grata per cui avrebbe dovuto tenere un comportamento idoneo ad evitarla.
Correttamente – concludono i giudici di piazza Cavour – la sentenza impugnata ha quindi applicato 1’art. 2051 c.c. ritenendo che il danno sia da ricondurre al comportamento negligente del danneggiato che avrebbe potuto porre in essere le elementari cautele dettate dalla presenza di una grata bagnata dalla pioggia; in particolare il danneggiato avrebbe dovuto evitare di camminare sul tratto reso scivoloso dalla pioggia, il che gli avrebbe certamente consentito di evitare di cadere, come di certo deve aver fatto tutte le volte in cui in precedenza ha percorso la stessa zona ove abitava.
Il secondo motivo di ricorso
Con il secondo motivo si denuncia <<nullità della sentenza per omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio ex art. 360 co. 5 c.p.c.>>
Sostiene il ricorrente che in assenza di qualsiasi prova in ordine non solo alla ricorrenza del caso fortuito ma anche in relazione all’effettiva condotta colposa tenuta dal danneggiato, la Corte ha erroneamente ritenuto che l’evento dannoso fosse addebitabile esclusivamente a un comportamento negligente dello stesso danneggiato, affermando che costui poteva porre in essere le elementari cautele dettate dalla presenza di una grata bagnata dalla pioggia.
Ritiene pertanto il ricorrente che la motivazione della sentenza impugnata è insufficiente e contraddittoria e sviluppa argomenti in contrasto con l’art. 2051 c.c.
Il terzo motivo di ricorso
Con il terzo motivo si denuncia <<nullità della sentenza per omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione ex art. 360 co. 5 c.p.c. a causa di falsa, erronea e contraddittoria valutazione delle risultanze istruttorie.>>
Sostiene il ricorrente che la Corte ha erroneamente valutato le risultanze processuali. E’ emerso infatti – secondo il ricorrente – in fase istruttoria, che la grata non era dotata di alcun accorgimento antiscivolo e che i testimoni hanno confermato che l’attore era caduto sulla grata. Codeste circostanze di fatto, unitamente alle prove testimoniali, secondo il ricorrente avrebbero dovuto indurre la Corte d’Appello ad accogliere le sue richieste perché era risultato dimostrato il nesso di causalità fra la condotta del danneggiato e l’evento dannoso.
Anche tali due motivi vengono ritenuti infondati in quanto la Cassazione non può riesaminare il merito della vicenda
Per i giudici di legittimità, iI ricorso per cassazione conferisce al giudice di legittimità non il potere di riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale, ma solo la facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, delle argomentazioni svolte dal giudice di merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di controllarne l’attendibilità e la concludenza e di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando cosi liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge (Cass., 16 dicembre 2011, n. 27197)
Nel caso in esame la Corte d’Appello – secondo i giudici di legittimità – con congrua e corretta motivazione, ha ritenuto che la caduta del danneggiato sia stata provocata dalla sua disattenzione e che la stessa avrebbe potuto essere agevolmente evitata essendo nota al medesimo la situazione ambientale. Di conseguenza, tenuto conto che il fatto è accaduto in pieno giorno e che la grata era ben visibile, tale disattenzione costituisce ragione di esclusione del nesso di causalità mentre la circostanza che la grata fosse bagnata avrebbe dovuto aumentare nel ricorrente il tasso d’attenzione. Da qui il rigetto del ricorso
Una breve riflessione.
Cosa dire di una sentenza come quella in rassegna? La Suprema Corte, con una semplicità impari, seziona una vicenda processuale facendo cogliere al lettore, con mano, il senso delle questioni giuridiche ivi sottese.
Interessante come la Corte di legittimità riesca a chiarire il riparto probatorio in tema di responsabilità da cose in custodia.
Affinchè si applichi l’inversione dell’onus probandi, occorre previamente, però, che il danneggiato provi, egli per primo, la sussistenza del nesso di causalità fra la cosa in custodia e il danno da lui subito (oltre che dell’esistenza del rapporto di custodia).
Riepilogando, e facendo applicazione dei principi elaborati dai giudici di legittimità, in tema di responsabilità per cose in custodia occorre verificare le seguenti condizioni:
- Il danneggiato deve provare il nesso di causalità tra la cosa in custodia ed il danno da lui subito, oltre che l’esistenza del rapporto di custodia. A questo punto, si possono verificare due ipotesi, meglio esplicitate ai successivi punti due o tre, alternative l’una rispetto all’altra.
- Nel caso di danni cagionati da cose in custodia, la responsabilità del proprietario è oggettivamente configurabile qualora la cosa custodita sia di per sè idonea a sprigionare un’energia o una dinamica interna alla sua struttura, tale da provocare il danno (scoppio di una caldaia, esalazioni venefiche da un manufatto, ecc.)
- Qualora per contro si tratti di cosa di per sé statica e inerte la quale richieda che l’agire umano, ed in particolare quello del danneggiato, si unisca al modo di essere della cosa, per la prova del nesso causale occorre dimostrare che lo stato del luoghi presenti peculiarità tali da renderne potenzialmente dannosa la normale utilizzazione (buche, ostacoli imprevisti, mancanza di guard-rail, incroci non visibili e non segnalati, ecc).
- Se viene assolto l’onere probatorio di cui ai punti che precedono, solo allora il proprietario della cosa in custodia, per esonerarsi da responsabilità, deve dimostrare il caso fortuito, cioè l’esistenza di un fattore estraneo che, per il carattere dell’imprevedibilità e dell’eccezionalità, sia idoneo ad interrompere il nesso causale, escludendo per l’appunto la sua responsabilità.
Si può allora notare come, facendo applicazione dei superiori principi, non sia così semplice ottenere un risarcimento in conseguenza di una caduta. Tutt’altro. Per lo meno in relazione alle cose “statiche”. Ed è proprio ciò che è successo nel caso in esame.
avv. Filippo Pagano (f.pagano@clouvell.com)
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