Il criterio di media diligenza professionale del mediatore

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Il criterio di media diligenza professionale del mediatore impone a carico del medesimo un’indagine in ordine alla situazione urbanistica dell’immobile oggetto dell’affare, prima di attestarne la regolarità, anche indipendentemente dalla possibilità che il contraente avesse di acquisire mediante gli ordinari mezzi di pubblicità ogni utile notizia, poiché è operante un obbligo specifico professionale nell’ambito dell’attività mediatoria, che, da una parte, integra una valida ragione per resistere, in tutto o in parte, alla pretesa del pagamento della provvigione e, dall’altra, fonda la domanda di risarcimento dei danni nei confronti del mediatore.

Lo ha stabilito la Suprema Corte di Cassazione – sezione seconda civile – con sentenza n. 18140 del 16 settembre 2015

Il criterio di media diligenza professionale del mediatore

Il criterio di media diligenza professionale del mediatore

Il caso

Con atto di citazione notificato il 31 dicembre 2003 un promissario acquirente proponeva opposizione, dinanzi al Tribunale di Palermo — Sezione distaccata di Carini, avverso un decreto ingiuntivo emesso il 4.11.2003, per €. 2.943,78, dal Presidente del medesimo ufficio in favore di un mediatore, quale titolare di una agenzia immobiliare, a titolo di provvigione per la mediazione prestata in relazione alla vendita di appartamento sito in Capaci di proprietà di terza persona, promittente venditrice, deducendo che seppure aveva formulato proposta di acquisto per l’immobile su modulo predisposto dallo stesso mediatore (sottoscritta anche dalla proprietaria venditrice), l’accordo era stato per mutuo consenso annullato in data 19.7.2003, con restituzione della caparra, per avere accertato solo dopo la proposta che il bene era pervenuto alla proprietaria in forza di donazione e che la veranda, adibita a cucina, era abusiva; tanto premesso, chiedeva revocarsi il d.i., anche per non avere dato l’opposto prova di essere iscritto ad apposito albo, e spiegava domanda di risarcimento del danno da patema d’animo procuratogli dalla vicenda, da liquidarsi in via equitativa, venuto meno il mediatore agli obblighi ex art. 1759 c.c..

La sentenza di primo grado

Instaurato il contraddittorio, nella resistenza dell’agente immobiliare, il giudice adito respingeva l’opposizione e per l’effetto confermava il d.i. opposto.

La sentenza di appello

In virtù di rituale appello interposto dal promissario acquirente, con il quale formulava cinque censure, la Corte di appello di Palermo, nella resistenza dell’appellato, accoglieva il gravame e per l’effetto — in riforma della decisione di prime cure — accoglieva l’opposizione e revocava il d.i.

La motivazione della Corte territoriale

A sostegno della decisione adottata la corte territoriale evidenziava che dalla consulenza tecnica espletata emergeva la non condonabilità della veranda adibita a cucina dell’immobile oggetto di mediazione, che aveva una posizione centrale nella destinazione (cucina), peraltro di ampia metratura, per cui doveva ritenersi che detta disposizione fosse stata determinante al fine del consenso prestato dal promissario acquirente, costituendo una qualità essenziale per l’uso del bene che egli si accingeva ad acquistare. Di detta circostanza l’agente immobiliare non aveva dato alcuna informazione al promissario acquirente, pur essendo a ciò tenuto a mente dell’art. 1759 c.c., dovendo egli impiegare la diligenza qualificata richiesta dall’art. 1176, comma 2, c.c.. Da qui il ricorso per cassazione dell’agente immobiliare.

Il primo motivo del ricorso di legittimità

Con il primo motivo il ricorrente deduce la falsa interpretazione dell’art. 1759 c.c. in relazione all’art. 1176, comma 2, c.c. giacchè ad avviso dello stesso non sarebbe imposto al mediatore uno specifico obbligo di diligenza qualificata, rispondendo solo della competenza tecnica e della diligenza per controllare la veridicità della documentazione utile.

Il secondo motivo di ricorso

Con il secondo motivo il ricorrente, nel denunciare un vizio di motivazione, lamenta che la corte di appello si sia discostata dalle conclusioni del c.t.u. quanto alla incidenza della abusività delta veranda rispetto alla vendita, senza dimostrarne la erroneità con appropriate argomentazioni.

Le censure vengono ritenute infondate

I giudici di piazza Cavour, nell’esaminare la fattispecie oggetto del presente giudizio, aderiscono all’indirizzo interpretativo della Corte di legittimità (cfr. Cass. 26.5.1999 n. 5107), secondo cui l’art. 1759, 1° comma, c.c., laddove impone al mediatore di comunicare alle parti le circostanze a lui note, relative alla valutazione e alla sicurezza dell’affare, che possono influire sulla sua conclusione, deve essere letto in coordinazione con gli artt. 1175 e 1176 dello stesso codice, nonché al lume della disciplina dettata dalla legge n. 39 del 1989, attuativa della Direttiva CE 2006/123, che ha posto in risalto la natura professionale dell’attività del mediatore, subordinandone l’esercizio all’iscrizione in un apposito ruolo, che richiede determinati requisiti di cultura e competenza (art. 2), e condizionando all’iscrizione stessa la spettanza del compenso (art. 6). Con la conseguenza che il mediatore, pur non essendo tenuto, in difetto di un incarico particolare in proposito, a svolgere, nell’adempimento della sua prestazione, specifiche indagini di natura tecnico-giuridica (come l’accertamento della regolarità edilizia ed urbanistica dell’immobile oggetto del trasferimento), al fine di individuare circostanze rilevanti circa la conclusione dell’affare a lui non note, è gravato, tuttavia, di un obbligo di corretta informazione, secondo il criterio della media diligenza professionale, il quale comprende, in senso positivo, l’obbligo di comunicare le circostanze a lui note o comunque conoscibili con la comune diligenza che si richiede al mediatore, nonché, in senso negativo, il divieto di fornire non solo informazioni non veritiere, ma anche informazioni su circostanze delle quali non abbia consapevolezza e che non abbia controllato, poiché il dovere di correttezza e quello di diligenza gli imporrebbero in tal caso di astenersi dal darle.

Quando il mediatore è responsabile

Ne consegue – proseguono gli Ermellini – che, qualora il mediatore dia informazioni su circostanze di cui non abbia consapevolezza e che non abbia controllato, le quali si rivelino poi inesatte e non veritiere, ovvero ometta di comunicare circostanze da lui non conosciute ma conoscibili con l’ordinaria diligenza professionale, è legittimamente configurabile una sua responsabilità per i danni sofferti, per l’effetto, dal cliente (Cass. 24 ottobre 2003 n. 16009).

Perché la Suprema Corte ritiene le censure infondate

Alla stregua di tale principio, la Suprema Corte condivide il paradigma argomentativo posto a base della decisione impugnata che ha sul punto affermato sussistere l’inadempimento da parte del ricorrente dell’obbligo di informazione previsto dall’art. 1759 c.c., giacchè — accertata la centralità della veranda abusiva, non condonata né condonabile, nell’economia dell’affare, sia per la destinazione funzionale (adibita a cucina e dunque a servizio) sia per le caratteristiche strutturali (la posizione centrale della stessa rispetto alla disposizione degli altri locali e l’ampia metratura) — nello stesso modulo sottoscritto dalle parti, predisposto dal mediatore, si dava atto della regolarità edilizia ed urbanistica dell’immobile.

Il criterio di media diligenza professionale del mediatore

Ne discende – proseguono i giudici di piazza Cavour – che trattandosi di circostanza a lui nota ovvero in ordine alla quale aveva l’onere di controllare la veridicità delle informazioni ricevute, non ha assolto l’obbligo di corretta informazione, in base al criterio della media diligenza professionale, il quale comprende l’obbligo di comunicare non solo le circostanze note al mediatore ma anche quelle conoscibili con la diligenza professionale richiesta al mediatore, per quanto sopra esposto.

In conclusione, per gli Ermellini, i giudici di appello hanno correttamente fatto riferimento alla media diligenza professionale che avrebbe imposto un’indagine del mediatore in ordine alla situazione urbanistica dell’immobile in questione, prima di attestarne la regolarità, anche indipendentemente dalla possibilità che il contraente avesse di acquisire mediante gli ordinari mezzi di pubblicità ogni utile notizia, poiché era operante un obbligo specifico professionale nell’ambito dell’attività mediatoria, che, da una parte, integra una valida ragione per resistere, in tutto o in parte, alla pretesa del pagamento della provvigione e, dall’altra, fonda la domanda di risarcimento dei danni nei confronti del mediatore.

Da qui il rigetto del ricorso.

Una breve riflessione

Sentenza, quella in rassegna, in linea con l’indirizzo giurisprudenziale e con i principi di diritto eurounitario in materia di mediazione professionale.

La normativa che disciplina la figura del mediatore e la connessa attività ha subito delle importanti innovazioni, soprattutto sotto l’impulso della normativa dell’Unione (cfr. Direttiva CE 2006/123) rispetto alla disciplina contenuta nel codice civile.

L’obiettivo che si è inteso raggiungere è stato quello di un “controllo” della professionalità del mediatore a garanzia delle transazioni immobiliari e quindi, in definitiva, dei soggetti partecipanti al contratto.

Ciò ha comportato un innalzamento del grado di diligenza richiesto al mediatore in relazione alla conclusione dell’affare. e le conseguenza di tale “innalzamento” sono evidenti nella fattispecie oggetto di esame.

Non è bastato, per il mediatore, ricevere tout court le dichiarazioni dalla parte venditrice sulla regolarità urbanistica dell’immobile, ma egli avrebbe dovuto, autonomamente, effettuare indagini prima di attestare nel modulo da lui predisposto, che l’immobile era, per l’appunto, in regola con le norme urbanistiche.

In definitiva, il mediatore, non è più soltanto “colui che mette in relazione due o più parti per la conclusione di un affare, senza essere legato ad alcuna di esse da rapporti di collaborazione, di dipendenza o di rappresentanza” (art. 1754 codice civile). Sembra piuttosto essere un mandatario vero e proprio. E’ sicuramente un soggetto che non ha solo il compito di mettere in relazione due o più parti, quanto piuttosto quello di fare in modo che l’affare risponda agli interessi di tutte le parti coinvolte.

Quanto previsto dall’articolo 1759 del codice civile in forza del quale “il mediatore deve comunicare alle parti le circostanze a lui note, relative alla valutazione e alla sicurezza dell’affare, che possono influire sulla conclusione di esso” non va dunque interpretato in senso “statico”, ma in senso dinamico. Il mediatore non deve essere spettatore passivo delle altrui dichiarazioni, ma deve diventare parte attiva non solo per verificare, in piena autonomia, le dichiarazioni delle parti, ma anche e soprattutto le circostanze omesse dalle parti.

E la sanzione ha una efficacia certamente deterrente: per il mediatore che contravviene a tale principio, niente provvigione e obbligo di risarcire il danno.

avv. Filippo Pagano (f.pagano@clouvell.com)

managing partner at clouvell (www.clouvell.com)

 

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