Diritti ed obblighi dei soci dopo la cancellazione della società dal registro delle imprese

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Ove una società si estingua a seguito di cancellazione dal registro delle imprese, le posizioni giuridiche attive – diritti e beni – si trasferiscono ai soci in regime di contitolarità o di comunione indivisa, secondo un fenomeno assimilabile alla successione a titolo universale; laddove, invece, l’estinzione della società per sopravvenuta cancellazione della stessa dal registro delle imprese in pendenza di un processo determina la perdita della capacità di stare in giudizio.

Lo ha stabilito la Suprema Corte di Cassazione civile – sezione prima – con sentenza n. 12328 del 15 giugno 2015

Diritti ed obblighi dei soci dopo la cancellazione della società dal registro delle imprese

Diritti ed obblighi dei soci dopo la cancellazione della società dal registro delle imprese

Il caso

La Corte d’appello di Genova, con sentenza del 24 febbraio 2009, in riforma della decisione del Tribunale di Savona, ha respinto le domante proposte da una società contro un ex agente della società, volte alla condanna del medesimo alla cessazione di ogni attività di sviamento della clientela ed al risarcimento del danno.

Ha ritenuto la corte territoriale, per quanto ancora rileva, che non fosse provato il rapporto di agenzia, caratterizzato da continuità e stabilità dell’attività agenziale, ma un mero rapporto di procacciamento di affari, privo di vincolo di stabilità e derivante unicamente dall’iniziativa del procacciatore.

Ha ancorato tale conclusione alla mancanza di un atto scritto, usuale nei contratti di agenzia anche con riguardo alla contrattazione collettiva; all’omessa allegazione di qualsiasi elemento caratterizzante un tale rapporto, quali la misura delle provvigioni e l’epoca di conclusione del preteso contratto; all’esistenza in atti di appena quattro fatture per provvigioni emesse dal presunto agente, peraltro per percentuali sempre diverse; alla circostanza che la società vendeva direttamente o tramite altri ai clienti nella pretesa zona di esclusiva, senza obbligo di corrispondere alcunché al presunto agente, come avrebbe invece dovuto in presenza di un rapporto di agenzia; al riferimento nelle lettere ad un generico “rapporto di lavoro”. Né era stato riconosciuto un rapporto agenziale negli scritti difensivi del lavoratore, che aveva in comparsa chiesto il rigetto della domanda ed in conclusionale espressamente negato l’esistenza del rapporto stesso.

Posto, dunque, che nessun vincolo di esclusiva era stato dimostrato in capo al procacciatore, neppure dopo la cessazione dei loro rapporti risultava provato lo sviamento della clientela.

Da qui il ricorso per cassazione dal socio ed ex liquidatore della società, cancellata dal registro delle imprese il 30 dicembre 2008, sulla base di quattro motivi.

I motivi del ricorso

  • Con il primo motivo, il ricorrente deduce la violazione e la falsa applicazione degli art. 112, 115, 116 e 167 c.p.c., perché la sentenza impugnata ha negato l’esistenza di un rapporto di agenzia, tuttavia non contestato in comparsa di risposta dal convenuto, ma solo in atti successivi.
  • Con il secondo motivo, censura ancora la violazione e la falsa applicazione degli art. 112, 115, 116 e 167 c.p.c., perché la sentenza impugnata non ha considerato che l’avere il convenuto sostenuto come i clienti avessero un rapporto personale con il medesimo, e fossero invece indifferenti in ordine al soggetto fornitore dei prodotti petroliferi, comportava la non contestazione dei presupposti di fatto del rapporto di agenzia.
  • Con il terzo motivo, deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 2598 c.c., perché la sentenza impugnata ha errato nel non ritenere illecita la condotta di un agente, o di un soggetto legato da vincolo contrattuale, che trasferisca la clientela ad altre imprese, avvalendosi dei propri rapporti fiduciari e dell’indifferenza nei clienti circa l’identità del fornitore.
  • Con il quarto motivo, denuncia la violazione e la falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., in quanto l’onere di provare il fatto negativo (il mancato palesamento ai clienti che il combustibile proveniva da altre imprese) non poteva essere posto a carico della ricorrente e comunque l’onere poteva essere assolto provando il fatto positivo con esso compatibile, e con presunzioni.

 Perché il ricorrente è legittimato alla proposizione del ricorso.

Per la Suprema Corte il ricorrente è legittimato al ricorso, in virtù del subentro alla società già partecipata, e cancellatasi dal registro delle imprese nel corso del secondo grado di giudizio, quindi dopo la sentenza di primo grado di accertamento dell’illecito e di condanna al risarcimento del danno in favore della medesima società.

Il principio di diritto richiamato dalla Suprema Corte.

Ne deriva che, come chiarito dalla Corte di legittimità (Cass., sez. un., 12 marzo 2013, n. 6070-6072), ove una società si estingua a seguito di cancellazione dal registro delle imprese, le posizioni giuridiche attive – diritti e beni – si trasferiscono ai soci in regime di contitolarità o di comunione indivisa, secondo un fenomeno assimilabile alla successione a titolo universale; laddove, invece, l’estinzione della società per sopravvenuta cancellazione della stessa dal registro delle imprese in pendenza di un processo determina la perdita della capacità di stare in giudizio.

Una breve riflessione

Il principio di diritto al quale si rifà la sentenza della Suprema Corte, e col quale dà continuità all’orientamento giurisprudenziale delineatosi a seguito della note sentenze a sezioni unite n.6070-6071-6072/2013 riveste ancora notevole importanza ed interesse.

E ciò sotto un duplice profilo.

  1. Intanto perché ci dice che fine fanno le posizioni giuridiche attive e passive – diritti e beni – nel caso di estinzione della società a seguito di cancellazione.
  2. In secondo luogo, perché ci dice cosa determina tale estinzione nei confronti di un processo pendente in cui è parte la società stessa.

Con riferimento al primo quesito, la Suprema Corte ha stabilito che dette posizioni giuridiche si trasferiscono ai soci in regime di contitolarità o di comunione indivisa, secondo un fenomeno assimilabile alla successione a titolo universale.

In buona sostanza, quella sorta di separazione patrimoniale tra società e soci (pur con tutte le “graduazioni” derivanti dal tipo di società, se di persone o di capitali) viene meno a seguito della cancellazione della società dal registro delle imprese e della sua conseguente estinzione. Come se i soci fossero i figli che subentrano nella posizione del loro genitore, la società “defunta”.

Ed il subentro avviene in regime di contitolarità o di comunione indivisa, con tutte le ripercussioni che vi possono essere in ordine alla responsabilità dei singoli soci “subentranti” nei confronti dei creditori sociali.

Un po’ meno comprensibile è invece il secondo principio, ovverossia che l’estinzione della società per sopravvenuta cancellazione della stessa dal registro delle imprese in pendenza di un processo determina la perdita della capacità di stare in giudizio.

Il “problema” non è tanto il principio in sé stesso che, da un punto di vista sistematico appare corretto, quanto invece il fatto che la cancellazione dal registro delle imprese, in pendenza del giudizio, può essere anche disposta volontariamente.

Tale volontarietà, poi, determina la interruzione del giudizio. Dal chè ne consegue che i soci, attraverso un atto negoziale possono far perdere la capacità di stare in giudizio alla società di cui fanno parte, con tutte le conseguenze anche in ordine alla durata complessiva dei contenziosi.

Il principio che i soci subentrino nelle posizioni giuridiche attive e passive della società è posto a tutela dell’affidamento dei terzi.

Il principio della interruzione del giudizio nell’ipotesi oggetto della sentenza sopra richiamata, rimane, invece, affidato non ad un fatto o un accadimento che si verifica indipendentemente dalla volontà del soggetto (come per il caso di morte della parte o di fallimento della società), ma ad un fatto o un accadimento che dipende, esclusivamente, dalla volontà dei soci. I quali, in definitiva, possono decidere di estinguere la società “impedendo” la prosecuzione del giudizio.

Sotto tale ultimo profilo si esprime la necessità a che il detto indirizzo venga al più presto rivisitato, per evitare il determinarsi di posizioni di vantaggio o di cancellazioni programmate ad hoc al solo fine di “interrompere” i giudizi pendenti.

avv. Filippo Pagano (f.pagano@clouvell.com)

managing partner at clouvell (www.clouvell.com)

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