Corte Europea dei diritti dell’Uomo – sentenza 4 marzo 2014 (Causa Grande Stevens e altri c. Italia)

Download PDF

CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO

SECONDA SEZIONE

CAUSA GRANDE STEVENS E ALTRI c. ITALIA

(Ricorsi nn. 18640/10, 18647/10, 18663/10, 18668/10 e 18698/10)

SENTENZA

STRASBURGO

4 marzo 2014

Questa sentenza diverrà definitiva alle condizioni definite nell’articolo 44 § 2 della Convenzione. Può subire modifiche di forma.

Nella causa Grande Stevens e altri c. Italia,
La Corte europea dei diritti dell’uomo (seconda sezione), costituita in una camera composta da:
Işıl Karakaş, presidente,
Guido Raimondi,
Peer Lorenzen,
Dragoljub Popović,
András Sajó,
Paulo Pinto de Albuquerque,
Helen Keller, giudici,
e da Stanley Naismith, giudice di sezione,
Dopo avere deliberato in camera di consiglio il 28 gennaio 2013 [sic],
Pronuncia la seguente sentenza, adottata in tale data:

PROCEDURA

1.  All’origine della causa vi sono cinque ricorsi (nn. 18640/10, 18647/10, 18663/10, 18668/10 e 18698/10) proposti contro la Repubblica italiana con i quali tre cittadini e due società di tale Stato, i sigg. Franzo Grande Stevens, Gianluigi Gabetti e Virgilio Marrone, nonché Exor S.p.a. e Giovanni Agnelli & C. S.a.s. («i ricorrenti»), hanno adito la Corte il 27 marzo 2010 in virtù dell’articolo 34 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali («la Convenzione»).

2.  I ricorrenti sono stati rappresentati dagli Avv. A. e G. Bozzi, dei fori rispettivamente di Milano e Roma. Il sig. Grande Stevens è stato rappresentato anche dall’Avv. N. Irti, del foro di Milano.  Il governo italiano («il Governo») è stato rappresentato dalla sua agente, E. Spatafora, e dalla sua co-agente, P. Accardo.

3.  I ricorrenti lamentano in particolare che i procedimenti giudiziari di cui hanno formato oggetto non sono stati equi e non hanno avuto luogo davanti ad un «tribunale» indipendente ed imparziale, che è stato leso il loro diritto al rispetto dei loro beni e che sono stati vittime di una violazione del principio ne bis in idem.

4.  Il 15 gennaio 2013, i ricorsi sono stati dichiarati parzialmente irricevibili e le doglianze relative all’articolo 6 della Convenzione, nonché agli articoli 1 del Protocollo n. 1 e 4 del Protocollo n. 7 sono state comunicate al Governo. Come consentito dall’articolo 29 § 1 della Convenzione, è stato inoltre deciso che la camera si sarebbe pronunciata contestualmente sulla ricevibilità e sul merito.

IN FATTO

I.  LE CIRCOSTANZE DEL CASO DI SPECIE

5.  L’elenco delle parti ricorrenti figura in allegato.

A.  Il contesto della causa

6.  All’epoca dei fatti, il sig. Gianluigi Gabetti era il presidente delle due società ricorrenti e il sig. Virgilio Marrone era il procuratore della società Giovanni Agnelli & C. s.a.p.a.

7.  Il 26 luglio 2002, la società anonima FIAT (Fabbrica Italiana Automobili Torino) sottoscrisse un prestito convertendo con otto banche. Il contratto scadeva il 20 settembre 2005 e prevedeva che, in caso di mancato rimborso del prestito da parte della FIAT, le banche avrebbero potuto compensare il loro credito sottoscrivendo un aumento del capitale societario. Così, le banche avrebbero acquisito il 28% del capitale sociale della FIAT, mentre la partecipazione della società anonima IFIL Investments (divenuta poi, il 20 febbraio 2009, Exor s.p.a., come sarà di seguito denominata) sarebbe passata dal 30,06% al 22% circa.

8. Il sig. Gabetti, desideroso di ottenere una consulenza legale per trovare il modo di permettere alla Exor di rimanere l’azionista di maggioranza della FIAT, si rivolse in quell’ottica ad un avvocato specializzato in diritto societario, l’Avv. Grande Stevens. Secondo quest’ultimo, una delle possibilità era rinegoziare un contratto di equity swap (ossia un contratto che consente di scambiare la performance di un’azione contro un tasso di interesse, senza dovere anticipare denaro) del 26 aprile 2005 riguardante circa 90 milioni di azioni FIAT che la Exor aveva concluso con una banca d’affari inglese, la Merril Lynch International Ltd, e la cui scadenza era fissata al 26 dicembre 2006. A parere dell’Avv. Grande Stevens, quella era una delle strade per evitare il lancio di un’offerta pubblica di acquisto («OPA») sulle azioni FIAT.

 9.  Senza menzionare la Merrill Lynch International Ltd per timore di violare i suoi doveri di riservatezza, il 12 agosto 2005 l’Avv. Grande Stevens chiese alla Commissione nazionale per le società e la Borsa (la «CONSOB», che nel sistema giuridico italiano ha, tra i suoi fini, quello di garantire la tutela degli investitori e l’efficacia, la trasparenza e lo sviluppo dei mercati borsistici), se, nell’ipotesi da lui prospettata, si sarebbe potuto evitare un’OPA. Al tempo stesso, l’Avv. Grande Stevens cominciò ad informarsi presso la Merrill Lynch International Ltd in merito alla possibilità di modificare il contratto di equity swap.

10.  Il 23 agosto 2005, la CONSOB chiese alle società Exor e Giovanni Agnelli di diffondere un comunicato stampa che indicasse le iniziative assunte in vista della scadenza del prestito convertendo con le banche, i fatti nuovi riguardanti la società FIAT e i fatti utili a spiegare le fluttuazioni delle azioni FIAT sul mercato.

11.  Il sig. Marrone spiega che quel giorno era in ferie. Aveva informato l’Avv. Grande Stevens della richiesta della CONSOB e gliene aveva trasmesso una copia. Il sig. Marrone sostiene di non avere partecipato alla redazione dei comunicati stampa descritti nei successivi paragrafi 13 e 14.

12.  Il sig. Gabetti spiega che il 23 agosto 2005 era ricoverato negli Stati Uniti. Aveva ricevuto una bozza di comunicato stampa e aveva contattato telefonicamente l’Avv. Grande Stevens. Questi gli aveva confermato che, poiché numerosi elementi rimanevano da chiarire, l’ipotesi di una rinegoziazione del contratto di equity swap non poteva considerarsi un’opzione concreta e attuale. In tali circostanze, il sig. Gabetti approvò la bozza di comunicato.

13.  Il comunicato stampa emesso in risposta, approvato dall’Avv. Grande Stevens, si limitava a indicare che la Exor non aveva «né avviato né studiato iniziative riguardanti la scadenza del prestito convertendo» e che auspicava «di rimanere l’azionista di riferimento della FIAT». Non fu fatta menzione dell’eventuale rinegoziazione del contratto di equity swap con la Merrill Lynch International Ltd, considerata dai ricorrenti una mera ipotesi futura per mancanza di un fondamento fattuale e giuridico chiaro.

14.  La società Giovanni Agnelli confermò il comunicato stampa della Exor.

15.  Dal 30 agosto al 15 settembre 2005, l’Avv. Grande Stevens proseguì le trattative con la Merrill Lynch International Ltd per verificare la possibilità di modificare il contratto di equity swap.

16.  Il 14 settembre 2005, nel corso di una riunione della famiglia Agnelli, fu deciso che il piano studiato dall’Avv. Grande Stevens dovesse essere sottoposto all’approvazione del consiglio di amministrazione della Exor. Lo stesso giorno, la CONSOB ricevette una copia del contratto di equity swap e fu informata delle trattative in corso al fine di utilizzarlo per consentire alla Exor di acquisire azioni FIAT.

17.  Il 15 settembre 2005, in esecuzione di deliberazioni dei rispettivi consigli di amministrazione, la Exor e la Merrill Lynch International Ltd conclusero l’accordo che modificava il contratto di equity swap.

18.  Il 17 settembre 2005, rispondendo alla domanda rivoltale dall’Avv. Grande Stevens il 12 agosto 2005 (paragrafo 9 supra), la CONSOB comunicò che, nell’ipotesi prospettata, non vi era l’obbligo di lanciare un’OPA.

19.  Il 20 settembre 2005 la FIAT aumentò il suo capitale; le nuove azioni emesse furono acquisite dalle otto banche a compensazione dei loro crediti. Lo stesso giorno, entrò in vigore l’accordo che modificava il contratto di equity swap. Di conseguenza, la Exor conservò la sua partecipazione del 30% nel capitale FIAT.

B.  Il procedimento dinanzi alla CONSOB

20.  Il 20 febbraio 2006, la Divisione mercati e consulenza economica – ufficio Insider Trading – di seguito l’«ufficio IT») della CONSOB contestò ai ricorrenti la violazione dell’articolo 187 ter punto 1 del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58. Ai sensi di tale disposizione, intitolata «manipolazione del mercato»,

«Salve le sanzioni penali quando il fatto costituisce reato, è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da euro 20.000 a euro 5.000.000 chiunque, tramite mezzi di informazione, compreso internet o ogni altro mezzo, diffonde informazioni, voci o notizie false o fuorvianti che forniscano o siano suscettibili di fornire indicazioni false ovvero fuorvianti in merito agli strumenti finanziari.»[I]

21.  Secondo la tesi dell’ufficio IT, l’accordo che modificava l’equity swap era stato concluso o era in procinto di esserlo prima della diffusione dei comunicati stampa del 24 agosto 2005, quindi non era normale che questi non ne facessero menzione. I ricorrenti furono invitati a presentare la loro difesa.

22.  L’ufficio IT trasmise poi il fascicolo all’ufficio sanzioni amministrative (di seguito «l’ufficio sanzioni») della CONSOB, corredandolo di una relazione istruttoria datata 13 settembre 2006, che menzionava gli elementi a carico e le argomentazioni degli accusati. Stando a tale relazione, le difese avanzate dai ricorrenti non erano tali da consentire di archiviare il fascicolo.

23.  L’ufficio sanzioni comunicò la relazione ai ricorrenti e li invitò a presentare per iscritto, entro il termine di trenta giorni che scadeva il 23 ottobre 2006, le argomentazioni che ritenevano necessarie per la loro difesa. Nel frattempo, l’ufficio IT continuò a esaminare la causa dei ricorrenti, acquisendo informazioni orali e analizzando i documenti ricevuti il 7 luglio 2006 dalla Merrill Lynch International Ltd. Il 19 ottobre 2006, detto ufficio trasmise all’ufficio sanzioni una «nota complementare» in cui affermava che i nuovi documenti esaminati non consentivano di giungere a conclusioni diverse. Il 26 ottobre 2006, i ricorrenti ricevettero una copia della nota complementare del 19 ottobre 2006 e dei suoi allegati; fu concesso loro un nuovo termine di trenta giorni per presentare eventuali osservazioni.

24.  Senza comunicarla ai ricorrenti, l’ufficio sanzioni presentò la sua relazione (datata 19 gennaio 2007 e contenente le sue conclusioni) alla commissione – la CONSOB propriamente detta -, vale a dire all’organo incaricato di adottare l’eventuale provvedimento di applicazione di sanzioni. Questa si componeva, all’epoca dei fatti, di un presidente e di quattro membri, nominati dal Presidente della Repubblica su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri. Il loro mandato durava cinque anni ed era rinnovabile una sola volta.

25.  Con provvedimento n. 15760 del 9 febbraio 2007, la CONSOB comminò ai ricorrenti le seguenti sanzioni amministrative pecuniarie:

  • 5.000.000 EUR al sig. Gabetti,
  • 3.000.000 EUR al sig. Grande Stevens,
  • 500.000 EUR al sig. Marrone,
  • 4.500.000 EUR alla società Exor,
  • 3.000.000 EUR alla società Giovanni Agnelli.

26.  Ai sigg. Gabetti, Grande Stevens e Marrone fu applicato il divieto di assumere incarichi di amministrazione, direzione e controllo di società quotate in borsa, rispettivamente per sei, quattro e due mesi.

27.  In particolare, secondo la CONSOB, dal fascicolo emergeva che il 24 agosto 2005, data dei comunicati stampa in questione, il piano volto a conservare una partecipazione del 30% nel capitale della FIAT sulla base di una rinegoziazione del contratto di equity swap sottoscritto con la Merrill Lynch International Ltd era già stato studiato e in corso di esecuzione. Ne conseguiva che i comunicati stampa davano una rappresentazione falsa della situazione dell’epoca. La CONSOB sottolineò anche la posizione occupata dalle persone interessate, la «gravità oggettiva» dell’illecito e l’esistenza del dolo.

C.  Il ricorso in opposizione dinanzi alla corte d’appello

28.  I ricorrenti proposero ricorso in opposizione avverso tale sanzione dinanzi alla corte d’appello di Torino. Denunciarono, tra l’altro, che il regolamento della CONSOB era illegale in quanto, contrariamente a quanto richiesto dall’articolo 187 septies del decreto legislativo n. 58 del 1998 (paragrafo 57 infra), non rispettava il principio del contraddittorio.

29.  Il sig. Grande Stevens osservò inoltre che la CONSOB lo aveva accusato e punito per avere preso parte alla pubblicazione del comunicato stampa del 24 agosto 2005 in qualità di amministratore della Exor. Davanti alla CONSOB l’interessato aveva eccepito invano di non possedere tale qualità e di essere semplicemente l’avvocato e il consulente del gruppo Agnelli. Dinanzi alla corte d’appello il sig. Grande Stevens confermò che, non essendo amministratore, non poteva avere partecipato alla decisione di pubblicare il comunicato stampa in questione. In una memoria del 25 settembre 2007, il sig. Grande Stevens comunicò che, nel caso in cui la corte d’appello avesse ritenuto insufficienti o inutilizzabili i documenti acquisiti agli atti, egli chiedeva di convocare ed esaminare i testimoni «sui fatti riferiti nei documenti succitati». Nella memoria egli non indicò chiaramente né i nomi di tali testimoni né le circostanze sulle quali essi avrebbero dovuto testimoniare. In una memoria in pari data, il sig. Marrone citò due testimoni, le cui dichiarazioni avrebbero provato che egli non aveva partecipato alla redazione dei comunicati stampa, e precisò che la corte d’appello avrebbe potuto, ove occorresse, procedere alla loro audizione.

30.  Con sentenze depositate in cancelleria il 23 gennaio 2008, la corte d’appello di Torino ridusse come segue, per alcuni dei ricorrenti, l’importo delle sanzioni amministrative pecuniarie comminate dalla CONSOB:

  • 600.000 EUR per la società Giovanni Agnelli s.a.p.a.;
  • 1.000.000 EUR per la Exor s.p.a.;
  • 1.200.000 EUR per il sig. Gabetti.

Nell’intestazione delle sentenze emesse nei confronti dei sigg. Gabetti e Marrone e della Exor S.p.a. era indicato che la corte d’appello si era riunita in camera di consiglio. La parte «procedura» delle sentenze pronunciate contro il sig. Grande Stevens e Giovanni Agnelli & C. S.a.s. menzionava che era stata disposta la comparizione delle parti in camera di consiglio.

31.  La durata del divieto di assumere incarichi di amministrazione, direzione e controllo di società quotate in borsa pronunciato nei confronti del sig. Gabetti fu ridotta da sei a quattro mesi.

32.  La corte d’appello rigettò tutte le altre doglianze degli interessati. Essa notò tra l’altro che, anche dopo la trasmissione del fascicolo all’ufficio sanzioni, l’ufficio IT conservava il diritto di proseguire la sua attività di indagine, non essendo vincolante il termine di 210 giorni previsto per i provvedimenti della CONSOB. Peraltro, il principio del contraddittorio era rispettato dato che, come nel caso di specie, gli accusati erano stati informati dei nuovi elementi raccolti dall’ufficio IT e avevano avuto la possibilità di presentare le loro repliche.

33.  La corte d’appello osservò anche che corrispondeva a verità che la CONSOB aveva da un lato comminato le sanzioni previste dall’articolo 187 ter del decreto legislativo n. 58 del 1998 e dall’altro denunciato alla procura la commissione del reato di cui all’articolo 185 punto 1 dello stesso decreto. Ai sensi di tale disposizione,

 «Chiunque diffonde notizie false o pone in essere operazioni simulate o altri artifizi concretamente idonei a provocare una sensibile alterazione del prezzo di strumenti finanziari, è punito con la reclusione da uno a sei anni e con la multa da euro 20.000 a euro 5.000.000.»

34.  Secondo la corte d’appello, queste due disposizioni avevano ad oggetto la stessa condotta (la «diffusione di informazioni false») e perseguivano lo stesso scopo (evitare manipolazioni del mercato), ma differivano quanto alla situazione di pericolo che si presumeva fosse stata generata da tale condotta: per l’articolo 187 ter, era sufficiente di per sé avere fornito indicazioni false o fuorvianti in merito agli strumenti finanziari, mentre l’articolo 185 richiedeva inoltre che tali informazioni fossero state tali da provocare una sensibile alterazione del prezzo degli strumenti in questione. Come indicato dalla Corte costituzionale nell’ordinanza n. 409 del 12 novembre 1991, al legislatore era consentito di sanzionare un comportamento illecito al tempo stesso con una sanzione amministrativa pecuniaria e con una sanzione penale. Inoltre, l’articolo 14 della direttiva 2003/6/CE (paragrafo 60 infra), che invitava gli Stati membri dell’Unione europea ad applicare sanzioni amministrative nei confronti delle persone responsabili di una manipolazione del mercato, conteneva anch’esso la menzione «fatto salvo il loro diritto di imporre sanzioni penali».

35.  Sul merito, la corte d’appello osservò che dal fascicolo risultava che, all’epoca in questione, la rinegoziazione dell’equity swap era stata analizzata nei minimi dettagli e le conclusioni cui era giunta la CONSOB (vale a dire che il piano esisteva già un mese prima del 24 agosto 2005) erano ragionevoli alla luce dei fatti accertati e della condotta delle persone interessate.

36.  Quanto al sig. Grande Stevens, era vero che egli non era amministratore della Exor s.p.a.. Tuttavia, l’illecito amministrativo punito dall’articolo 187 ter del decreto legislativo n. 58 del 1998 poteva essere commesso da «chiunque», quindi in una qualsiasi qualità; ora, di certo il sig. Grande Stevens aveva partecipato al processo decisionale che aveva portato alla pubblicazione del comunicato stampa nella sua qualità di avvocato consultato dalle società ricorrenti.

D.  Il ricorso per cassazione

37.  I ricorrenti proposero ricorso per cassazione. Nel terzo e nel quarto motivo del ricorso, dedussero in particolare una violazione dei principi del giusto processo, sanciti dall’articolo 111 della Costituzione, a causa soprattutto: dell’assenza di contraddittorio nella fase istruttoria dinanzi alla CONSOB; della mancata trasmissione agli imputati della relazione istruttoria dell’ufficio sanzioni; dell’impossibilità, secondo loro, di depositare memorie e documenti e di essere sentiti personalmente dalla commissione; del fatto che l’ufficio IT aveva proseguito l’inchiesta e trasmesso una nota complementare dopo la scadenza del termine fissato a tale scopo.

38.  Con sentenze del 23 giugno 2009, il cui testo fu depositato in cancelleria il 30 settembre 2009, la Corte di cassazione rigettò i loro ricorsi. In particolare, essa ritenne che il principio del contraddittorio fosse stato rispettato nel procedimento dinanzi alla CONSOB, rilevando che questa aveva informato gli interessati della condotta loro contestata e tenuto conto delle loro rispettive difese. La mancata audizione dei ricorrenti e la mancata trasmissione agli stessi delle conclusioni dell’ufficio sanzioni non violavano tale principio, in quanto le disposizioni costituzionali in materia di giusto processo e di diritto alla difesa si applicavano soltanto ai procedimenti giudiziari, e non al procedimento per l’applicazione di sanzioni amministrative.

E.  Le azioni penali nei confronti dei ricorrenti

39.  Ai sensi del decreto legislativo n. 58 del 1998, la condotta dei ricorrenti contestata poteva formare oggetto non solo di una sanzione amministrativa comminata dalla CONSOB, ma anche delle sanzioni penali previste dall’articolo 185 punto 1, citato nel precedente paragrafo 33.

40.  Il 7 novembre 2008, i ricorrenti furono rinviati a giudizio dinanzi al tribunale di Torino. Erano accusati di avere dichiarato, nei comunicati stampa del 24 agosto 2005, che la Exor auspicava di rimanere l’azionista di riferimento della FIAT e non aveva né avviato né studiato iniziative riguardanti la scadenza del prestito convertendo, mentre l’accordo che modificava l’equity swap era già stato esaminato e concluso, informazione che sarebbe stata tenuta nascosta al fine di evitare un probabile crollo del prezzo delle azioni FIAT.

41.  La CONSOB si costituì parte civile, com’era sua facoltà fare ai sensi dell’articolo 187 undecies del decreto legislativo n. 58 del 1998.

42.  Dopo il 30 settembre 2009, data del deposito in cancelleria della sentenza di rigetto del ricorso per cassazione proposto dai ricorrenti avverso la condanna inflitta dalla CONSOB (paragrafo 38 supra), gli interessati chiesero l’abbandono delle azioni penali nei loro confronti in virtù del principio ne bis in idem. In particolare, all’udienza del 7 gennaio 2010, essi eccepirono l’incostituzionalità delle disposizioni pertinenti del decreto legislativo n. 58 del 1998 e dell’articolo 649 del codice di procedura penale (il «CPP» – si veda il paragrafo 59 infra), per incompatibilità, a loro giudizio, con l’articolo 4 del Protocollo n. 7.

43.  Il pubblico ministero si oppose a tale eccezione, sostenendo che il «doppio processo» (amministrativo e penale) era imposto dall’articolo 14 della direttiva 2003/6/CE del 28 gennaio 2003 (paragrafo 60 infra), alla quale il legislatore italiano aveva dato esecuzione introducendo gli articoli 185 e 187 ter del decreto legislativo n. 58 del 1998.

44.  Il tribunale di Torino non si pronunciò immediatamente sulla questione incidentale di costituzionalità sollevata dalla difesa. Ordinò una perizia per determinare le fluttuazioni delle azioni FIAT tra il dicembre 2004 e l’aprile 2005 e per valutare gli effetti dei comunicati stampa del 24 agosto 2005 e delle informazioni diffuse il 15 settembre 2005.

45.  Con sentenza del 21 dicembre 2010, il cui testo fu depositato in cancelleria il 18 marzo 2011, il tribunale di Torino assolse il sig. Marrone in quanto non aveva contribuito alla pubblicazione dei comunicati stampa, e assolse anche gli altri ricorrenti perché non era stato provato che la loro condotta fosse stata tale da provocare una significativa alterazione del mercato finanziario. Il tribunale osservò che il fatto che i comunicati stampa contenessero informazioni false era già stato sanzionato dall’autorità amministrativa. Secondo il tribunale, la condotta contestata agli interessati mirava, probabilmente, a tenere nascosta alla CONSOB la rinegoziazione del contratto di equity swap, e non a fare aumentare il prezzo delle azioni FIAT.

46.  Il tribunale dichiarò manifestamente infondata la questione incidentale di costituzionalità sollevata dai ricorrenti. Osservò che la legge italiana (articolo 9 della legge n. 689 del 1981) vietava un «doppio giudizio», penale e amministrativo, su uno «stesso fatto». Ora, gli articoli 185 e 187 ter del decreto legislativo n. 58 del 1998 non punivano lo stesso fatto: solo la disposizione penale (l’articolo 185) richiedeva che la condotta fosse stata tale da provocare una sensibile alterazione del prezzo di strumenti finanziari (si veda Corte di cassazione, sesta sezione, sentenza del 16 marzo 2006, n. 15199). Inoltre, l’applicazione della disposizione penale presupponeva l’esistenza di un dolo, mentre la disposizione amministrativa si applicava in presenza di un semplice comportamento colpevole. D’altra parte, le azioni penali successive alla pronuncia della sanzione pecuniaria prevista dall’articolo 187 ter del decreto legislativo n. 58 del 1998 erano autorizzate dall’articolo 14 della direttiva 2003/6/CE.

47.  Quanto alla giurisprudenza della Corte citata dai ricorrenti (Gradinger c. Austria (23 ottobre 1995, serie A n. 328-C), Sergueï Zolotoukhine c. Russia ([GC], n. 14939/03, CEDU 2009-..), Maresti c. Croazia (n. 55759/07, 25 giugno 2009), e Ruotsalainen c. Finlandia (n. 13079/03, 16 giugno 2009)), essa non era pertinente nel caso di specie, in quanto si riferiva a casi in cui uno stesso fatto era punito con sanzioni penali e amministrative e in cui queste ultime avevano carattere punitivo e potevano comprendere restrizioni della libertà ovvero (causa Ruotsalainen) erano di importo superiore alla sanzione penale pecuniaria.

48.  La procura propose ricorso per cassazione, sostenendo che il reato contestato ai ricorrenti era «di pericolo» e non «di danno». Esso poteva quindi essere integrato anche in assenza di danno per gli azionisti.

49.  Il 20 giugno 2012 la Corte di cassazione accolse in parte il ricorso proposto dalla procura e cassò la decisione di assoluzione delle società Giovanni Agnelli e Exor, nonché dei sigg. Grande Stevens e Gabetti, confermando invece la decisione di assoluzione del sig. Marrone, poiché questi non aveva preso parte alla condotta contestata.

50.  Con sentenza del 28 febbraio 2013, la corte d’appello di Torino condannò i sigg. Gabetti e Grande Stevens per il reato previsto all’articolo 185 punto 1 del decreto legislativo n. 58 del 1998, ritenendo che fosse altamente probabile che, senza le false informazioni incluse nel comunicato stampa emesso il 24 agosto 2005, il valore delle azioni FIAT si sarebbe abbassato in misura assai più significativa. Essa assolse invece le società Exor e Giovanni Agnelli, ritenendo che non potessero essere giudicate responsabili di fatti illeciti.

51.  La corte d’appello escluse nel modo più assoluto una violazione del principio del ne bis in idem, confermando, fondamentalmente, il ragionamento seguito dal tribunale di Torino.

52.  Stando alle informazioni fornite dal Governo il 7 giugno 2013, i sigg. Gabetti e Grande Stevens hanno proposto ricorso per cassazione avverso tale sentenza, e il procedimento era ancora pendente a tale data. Nei loro ricorsi, questi due ricorrenti hanno invocato la violazione del principio ne bis in idem e chiesto di sollevare una questione incidentale di costituzionalità dell’articolo 649 del CPP.

II.  IL DIRITTO E LA PRASSI INTERNI ED EUROPEI PERTINENTI

A.  Il diritto interno

1.  Il decreto legislativo n. 58 del 24 febbraio 1998

53.  Come indicato in precedenza (paragrafo 20 supra), l’articolo 187 ter punto 1 di tale decreto prevede sanzioni amministrative pecuniarie per le persone responsabili di manipolazione del mercato. Ai sensi del punto 5 di quella stessa disposizione, quando il livello ordinario di tali sanzioni pecuniarie appare inadeguato rispetto alla gravità della condotta in questione, esse possono essere aumentate fino al triplo del loro importo massimo ordinario o fino a dieci volte il prodotto o il profitto conseguito dall’illecito. La CONSOB deve indicare gli elementi e le circostanze di cui tiene conto per valutare i comportamenti costitutivi di una manipolazione del mercato ai sensi della direttiva 2003/6/CE (paragrafo 60 infra) e delle disposizioni di esecuzione di questa.

54.  L’articolo 187 quater precisa che l’applicazione delle sanzioni amministrative pecuniarie summenzionate importa la perdita temporanea dei requisiti di onorabilità per gli esponenti delle società coinvolte. Se la società è quotata in borsa, ai suoi esponenti si applica l’incapacità temporanea ad assumere incarichi di amministrazione, direzione e controllo nell’ambito di società quotate.  Queste sanzioni accessorie hanno una durata variabile da due mesi a tre anni. Tenuto conto della gravità della condotta in questione e del grado della colpa commessa, la CONSOB può anche intimare alle società quotate, alle società di gestione e alle società di revisione di non avvalersi della collaborazione dell’autore della violazione, per un periodo non superiore a tre anni. Essa può altresì richiedere ai competenti ordini professionali la temporanea sospensione dell’interessato dall’esercizio dell’attività professionale.

55.  Secondo l’articolo 187 quinquies, la società commerciale è tenuta al pagamento di una somma pari all’importo della sanzione amministrativa irrogata ai suoi amministratori, direttori o manager per le violazioni da essi commesse nel suo interesse e a suo vantaggio. Se tali violazioni hanno generato un prodotto o un profitto rilevante, la sanzione applicata alla società è aumentata fino a dieci volte tale prodotto o profitto. Tuttavia, la società non è responsabile se dimostra che i suoi amministratori, direttori o manager hanno agito esclusivamente nell’interesse proprio o di terzi.

56.  Secondo l’articolo 187 sexies, l’applicazione delle sanzioni amministrative pecuniarie in questione importa sempre la confisca del prodotto o del profitto dell’illecito e dei beni utilizzati per commetterlo. Ai sensi dell’articolo 187 septies, il provvedimento di applicazione delle sanzioni è pubblicato per estratto nel bollettino della CONSOB, che può stabilire modalità ulteriori di pubblicità, ponendo le relative spese a carico dell’autore della violazione.

57.  L’articolo 187 septies descrive la procedura di applicazione delle sanzioni da parte della CONSOB. In particolare, l’illecito deve essere contestato agli interessati entro 180 giorni dalla sua scoperta. Gli interessati possono chiedere di essere sentiti e il procedimento deve ispirarsi ai principi del contraddittorio, della conoscenza degli atti istruttori, della verbalizzazione nonché della distinzione tra funzioni istruttorie e funzioni decisorie.

58.  Ai sensi dell’articolo 3 del decreto legislativo n. 58 del 1998, la CONSOB è autorizzata a stabilire i termini e le procedure per l’adozione degli atti di sua competenza.

2.  Il CPP

59.  L’articolo 649 del CPP recita:

«1.  L’imputato prosciolto o condannato con sentenza o decreto penale divenuti irrevocabili non può essere di nuovo sottoposto a procedimento penale per il medesimo fatto, neppure se questo viene diversamente considerato per il titolo, per il grado o per le circostanze (…).

2.  Se ciò nonostante viene di nuovo iniziato procedimento penale, il giudice in ogni stato e grado del processo pronuncia sentenza di proscioglimento o di non luogo a procedere, enunciandone la causa nel dispositivo.»

B.  Il diritto e la prassi europei

60.  L’articolo 14 della direttiva 2003/6/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 28 gennaio 2003 relativa all’abuso di informazioni privilegiate e alla manipolazione del mercato (abusi di mercato – Gazzetta ufficiale n. L 096 del 12/04/2003 pp. 0016–0025) dispone:

«1. Fatto salvo il diritto degli Stati membri di imporre sanzioni penali, gli Stati membri sono tenuti a garantire, conformemente al loro ordinamento nazionale, che possano essere adottate le opportune misure amministrative o irrogate le opportune sanzioni amministrative a carico delle persone responsabili del mancato rispetto delle disposizioni adottate in attuazione della presente direttiva. Gli Stati membri sono tenuti a garantire che tali misure siano efficaci, proporzionate e dissuasive.

2. La Commissione stila, in conformità della procedura di cui all’articolo 17, paragrafo 2, un elenco indicativo delle misure e delle sanzioni amministrative di cui al paragrafo 1.

3. Gli Stati membri fissano le sanzioni da applicare per l’omessa collaborazione alle indagini di cui all’articolo 12.

4. Gli Stati membri provvedono affinché l’autorità competente possa divulgare al pubblico le misure o sanzioni applicate per il mancato rispetto delle disposizioni adottate in attuazione della presente direttiva, salvo il caso in cui la divulgazione possa mettere gravemente a rischio i mercati finanziari o possa arrecare un danno sproporzionato alle parti coinvolte.»

61.  Nella causa Spector Photo Group NV e Chris Van Raemdonck c/Commissie voor het Bank-, Financie- en Assurantiewezen (CBFA) (causa C-45/08) del 23 dicembre 2009, la Corte di giustizia dell’Unione europea si è espressa come segue:

«40. Al riguardo va ricordato che, secondo la giurisprudenza costante, i diritti fondamentali fanno parte integrante dei principi generali del diritto dei quali la Corte garantisce l’osservanza (sentenza 3 settembre 2008, cause riunite C-402/05 P e C-415/05 P, Kadi e Al Barakaat International Foundation/Consiglio e Commissione, Racc. pag. I-6351, punto 283).

41. Emerge altresì dalla giurisprudenza della Corte che il rispetto dei diritti dell’uomo rappresenta una condizione di legittimità degli atti comunitari e che nella Comunità non possono essere consentite misure incompatibili con il rispetto di questi ultimi (citata sentenza Kadi e Al Barakaat International Foundation/Consiglio e Commissione, punto 284).

42. È vero che l’articolo 14, n. 1, della direttiva 2003/6 non impone agli Stati membri di prevedere sanzioni penali nei confronti degli autori di abusi di informazioni privilegiate, ma si limita ad affermare che tali Stati sono tenuti a garantire che «possano essere adottate le opportune misure amministrative o irrogate le opportune sanzioni amministrative a carico delle persone responsabili del mancato rispetto delle disposizioni adottate in attuazione di [tale] direttiva», essendo gli Stati membri, inoltre, tenuti a garantire che queste misure siano «efficaci, proporzionate e dissuasive». Tuttavia, considerata la natura delle violazioni di cui trattasi, nonché dato il grado di severità delle sanzioni che esse possono comportare, siffatte sanzioni, ai fini dell’applicazione della CEDU, possono essere qualificate come sanzioni penali (v., per analogia, sentenza 8 luglio 1999, causa C-199/92 P, Hüls/Commissione, Racc. pag. I-4287, punto 150, nonché sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo 8 giugno 1976, Engel e altri c. Paesi Bassi, serie A n. 22, par. 82; 21 febbraio 1984, Öztürk c. Germania, serie A n. 73, par. 53, e 25 agosto 1987, Lutz c. Germania, serie A n. 123, par. 54).

43. Secondo la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, ogni sistema giuridico contempla presunzioni di fatto o di diritto e la CEDU certamente non vi pone ostacolo in linea di principio, ma, in materia penale, essa obbliga gli Stati contraenti a non oltrepassare al riguardo una determinata soglia. Pertanto, il principio della presunzione d’innocenza sancito all’articolo 6, n. 2, della CEDU non si disinteressa delle presunzioni di fatto o di diritto che si riscontrano nelle leggi penali. Esso ordina agli Stati di contenerle in limiti ragionevoli che tengano conto della gravità dell’offesa e che rispettino i diritti della difesa (v. sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo 7 ottobre 1988, Salabiaku c. Francia, serie A n. 141-A, par. 28, e 25 settembre 1992, Pham Hoang c. Francia, serie A n. 243, par. 33).

44. Occorre considerare che il principio della presunzione d’innocenza non osta alla presunzione prevista dall’articolo 2, n. 1, della direttiva 2003/6, con la quale l’intenzione dell’autore di un abuso di informazioni privilegiate si deduce implicitamente dagli elementi materiali costitutivi di tale violazione, dato che questa presunzione è confutabile e i diritti della difesa sono garantiti.

45. L’introduzione di un sistema efficiente e uniforme di prevenzione e di sanzione degli abusi di informazioni privilegiate con il legittimo scopo di tutelare l’integrità dei mercati finanziari ha quindi potuto indurre il legislatore comunitario a prendere in considerazione una definizione oggettiva degli elementi costitutivi di un abuso vietato di informazioni privilegiate. Il fatto che l’articolo 2, n. 1, della direttiva 2003/6 non preveda espressamente alcun elemento psicologico non significa per questo che sia necessario interpretare tale disposizione nel senso che qualunque insider primario in possesso di informazioni privilegiate che effettua un’operazione di mercato rientra automaticamente nell’ambito del divieto degli abusi di informazioni privilegiate.»

[N.d.T.: versione italiana disponibile sul sito della Corte di Giustizia dell’Unione Europea]

62.  Per un quadro più ampio del diritto dell’Unione europea in campo borsistico, si veda anche Soros c. Francia, n. 50425/06, §§ 38-41, 6 ottobre 2011.

IN DIRITTO

I.  LE ECCEZIONI PRELIMINARI DEL GOVERNO

A.  L’eccezione del Governo relativa all’abusività del ricorso

1.  L’eccezione del Governo

63.  Il Governo eccepisce innanzitutto l’abusività, a suo dire, del ricorso, osservando che alcune informazioni riferite dai ricorrenti non sono vere o quantomeno rendono necessari dei chiarimenti. Il ricorso sarebbe stato presentato in modo da indurre la Corte in errore. Il Governo fa riferimento, in modo particolare, alle seguenti circostanze:

  1. i ricorrenti affermano che non vi è stata alcuna pubblica udienza dinanzi alla corte d’appello di Torino; ora, in applicazione dell’articolo 23 della legge n. 689 del 1981, tutte le udienze celebrate dinanzi a tale organo giudiziario erano aperte al pubblico; la loro affermazione sarebbe quindi falsa;
  2. l’ufficio IT della CONSOB ha allegato alla sua relazione istruttoria tutti i documenti dell’inchiesta, quindi anche le difese presentate dai ricorrenti;
  3. la lettera della CONSOB che contestava la violazione dell’articolo 187 ter punto 1 del decreto legislativo n. 58 del 1998 non era firmata dal presidente della CONSOB, bensì dal capo della divisione mercati e consulenza economica e dal direttore generale delle attività istituzionali della CONSOB; del resto, il presidente della CONSOB non ha svolto alcun ruolo nella fase che ha preceduto la decisione sull’applicazione delle sanzioni;
  4. ai ricorrenti è stato concesso un termine di trenta giorni per presentare eventuali osservazioni alla nota complementare dell’ufficio IT del 19 ottobre 2006, e i ricorrenti hanno presentato tali osservazioni il 24 novembre 2006 senza lamentare la limitatezza del tempo che avrebbero avuto a disposizione;
  5. i ricorrenti non hanno mai chiesto la convocazione e l’audizione di testimoni;
  6. davanti alla CONSOB, il sig. Grande Stevens è stato accusato di avere preso parte alla decisione che ha portato alla redazione dei comunicati stampa; la menzione della sua qualità di direttore della Exor serviva unicamente ad indicare che egli faceva parte dell’alta dirigenza della società e che quindi la sua condotta poteva essere attribuita a questa; la corte d’appello di Torino non avrebbe quindi trasformato l’accusa nei suoi confronti;
  7. i ricorrenti non sono stati puniti per un’omissione.

64.  A parere del Governo, con queste imprecisioni i ricorrenti hanno tentato di dare l’impressione erronea che la decisione della CONSOB fosse stata adottata in segreto e senza rispettare le procedure legali e i diritti della difesa.

2.  La replica dei ricorrenti

65.  I ricorrenti contestano le tesi del Governo. Essi osservano che gli elementi di fatto sui quali si fondano le doglianze relative all’articolo 6 della Convenzione si riferiscono a precise circostanze che hanno inciso sullo svolgimento del procedimento controverso, cosa che attiene al merito della causa.

3.  Valutazione della Corte

66.  La Corte osserva che, ai sensi dell’articolo 47 § 6 del suo regolamento, i ricorrenti devono informarla di ogni fatto pertinente per l’esame del loro ricorso. Essa rammenta che un ricorso può essere rigettato come abusivo se è fondato scientemente su fatti interamente inventati (Řehàk c. Repubblica ceca (dec.), n. 67208/01, 18 maggio 2004, e Keretchashvili c. Georgia (dec.), n. 5667/02, 2 maggio 2006) o se il ricorrente ha sottaciuto informazioni essenziali riguardanti i fatti della causa al fine di indurre la Corte in errore (si vedano, tra le altre, Hüttner c. Germania (dec.), n. 23130/04, 19 giugno 2006, e Basileo e altri c. Italia (dec.), n. 11303/02, 23 agosto 2011).

67.  La Corte ha già affermato, inoltre, che «ogni comportamento del ricorrente manifestamente contrario alla vocazione del diritto di ricorso e di ostacolo al buon funzionamento della Corte o al buono svolgimento del procedimento dinanzi ad essa, può [in linea di principio] essere definito abusivo» (Miroļubovs e altri c. Lettonia, n. 798/05, § 65, 15 settembre 2009). Ai sensi dell’articolo 35 § 3 a) della Convenzione, il concetto di abuso deve infatti essere inteso nel significato ordinario preso in considerazione dalla teoria generale del diritto – vale a dire il fatto di avvalersi di un diritto al di fuori della sua finalità in maniera pregiudizievole (Miroļubovs e altri, sopra citata, § 62; Petrović c. Serbia (dec.), nn. 56551/11 e altri dieci, 18 ottobre 2011).

68.  Nel caso di specie, il Governo contesta ai ricorrenti di avere omesso di precisare in modo chiaro alcuni fatti pertinenti per l’esame della loro causa (elencati nel paragrafo 63 b) – g) supra) e di avere affermato falsamente che non vi era stata una pubblica udienza dinanzi alla corte d’appello di Torino (paragrafo 63 a) supra).

69.  La Corte osserva innanzitutto che quest’ultima circostanza è un punto di fatto controverso tra le parti e che i ricorrenti hanno prodotto documenti a sostegno della loro affermazione secondo la quale l’udienza in questione si è tenuta in camera di consiglio (paragrafo 142 supra). Quanto agli altri fatti elencati dal Governo, la Corte ritiene che si tratti, fondamentalmente, di elementi suscettibili di essere utilizzati nella discussione sulla fondatezza delle doglianze dei ricorrenti, che il Governo avrà modo di sviluppare nelle sue osservazioni. Pertanto, la Corte non può concludere che l’omissione, da parte dei ricorrenti, di menzionare esplicitamente questi elementi è tale da rendere abusivo il ricorso o che questo si fondava scientemente su fatti inventati.

70.  Ne consegue che l’eccezione del Governo relativa all’abusività del ricorso deve essere rigettata.

B.  L’eccezione del Governo relativa all’assenza di pregiudizio importante

1.  L’eccezione del Governo

71.  Il Governo eccepisce anche l’irricevibilità del ricorso in quanto i ricorrenti non avrebbero subito un pregiudizio importante ai sensi dell’articolo 35 § 3 b) della Convenzione. Le doglianze dei ricorrenti non riguarderebbero una violazione effettiva di interessi tutelati dalla Convenzione, ma semplicemente questioni teoriche senza attinenza con il pregiudizio concretamente subito. Ciò sarebbe stato rilevato a giusto titolo dalla Corte di cassazione, e i ricorrenti avrebbero avuto la possibilità di presentare tutte le difese che ritenessero necessarie.

2.  La replica dei ricorrenti

72.  I ricorrenti contestano la tesi del Governo. Essi osservano di essere stati condannati, all’esito del procedimento controverso, a pagare ingentissime somme di denaro e di essersi visti applicare sanzioni che ledono la loro onorabilità e reputazione. Quanto alla dedotta eccessiva genericità delle loro doglianze, essi replicano che la Corte di cassazione, nelle sue elaboratissime sentenze, ha apportato risposte circostanziate a doglianze precise.

3.  Valutazione della Corte

73.  Secondo la giurisprudenza della Corte, il presupposto per la dichiarazione di irricevibilità di cui all’articolo 35 § 3 b) della Convenzione è che il ricorrente non abbia subito alcun «pregiudizio importante» (Adrian Mihai Ionescu c. Romania (dec.), n. 36659/04, § 32, 1° giugno 2010). Il concetto di «pregiudizio importante», derivato dal principio de minimis non curat praetor, rinvia all’idea che la violazione di un diritto deve raggiungere una soglia minima di gravità per giustificare un esame da parte di un organo giurisdizionale internazionale. La valutazione di tale soglia è, per natura, relativa e dipende dalle circostanze del caso di specie (Korolev c. Russia (dec.), n. 25551/05, 1° luglio 2010). Essa deve tenere conto sia della percezione soggettiva del ricorrente sia della posta in gioco oggettiva della controversia. Rinvia quindi a criteri quali l’impatto monetario della questione controversa o la posta in gioco della controversia per il ricorrente (Adrian Mihai Ionescu, sopra citata, § 34).

74.  La Corte osserva innanzitutto che la posta in gioco finanziaria della causa è stata importante. I ricorrenti sono stati condannati dalla CONSOB e dalla corte d’appello di Torino a pagare sanzioni pecuniarie che vanno da 500.000 a 3.000.000 EUR (paragrafi 25 e 30 supra) e i sigg. Gabetti e Grande Stevens rischiano di vedersi irrogare, dai giudici penali, una pena restrittiva della libertà e una sanzione pecuniaria che va da 20.000 a 5.000.000 EUR (paragrafo 33 supra). Inoltre, l’importanza soggettiva della questione appare evidente per i sigg. Gabetti, Grande Stevens e Marrone (si veda, a contrario, Shefer c. Russia (dec.), n. 45175/04, 13 marzo 2012). Infatti, nei loro confronti è stato pronunciato il divieto di assumere incarichi di amministrazione, direzione e controllo di società quotate in borsa, rispettivamente per la durata di sei, quattro e due mesi (paragrafi 26 e 31 supra), il che potrebbe essere considerato lesivo della loro onorabilità professionale (si veda, mutatis mutandis, Eon c. Francia, n. 26118/10, § 34, 14 marzo 2013).

75.  Tenuto conto di quanto precede, la Corte ritiene che la prima condizione dell’articolo 35 § 3 b) della Convenzione, ossia l’assenza di pregiudizio importante per i ricorrenti, non sia soddisfatta e che quindi l’eccezione del Governo debba essere rigettata.

76.  A titolo sovrabbondante, la Corte precisa che la prosecuzione dell’esame della causa si rende necessaria anche in nome del rispetto dei diritti dell’uomo (si veda, mutatis mutandis, Nicoleta Gheorghe c. Romania, n. 23470/05, § 24, 3 aprile 2012, e Eon, sopra citata, § 35). Al riguardo, essa rileva che il ricorso solleva in particolare la questione della natura e dell’equità del procedimento dinanzi alla CONSOB e della possibilità di iniziare un processo penale per fatti già sanzionati da quest’ultima. Si tratta della prima causa di questo tipo che la Corte è chiamata ad esaminare per quanto riguarda l’Italia e una decisione della Corte su questa questione di principio guiderebbe i giudici nazionali.

C.  L’eccezione del Governo relativa al mancato esaurimento delle vie di ricorso interne

1.  L’eccezione del Governo

77.  Il Governo eccepisce il mancato esaurimento delle vie di ricorso interne. Osserva che, nel ricorso per cassazione avverso le sentenze della corte d’appello di Torino del 23 gennaio 2008, i sigg. Grande Stevens, Marrone e Gabetti non hanno invocato la violazione del principio ne bis in idem. Inoltre, non è stata adottata alcuna decisione definitiva in merito all’irrogazione delle sanzioni penali previste dall’articolo 185 del decreto legislativo n. 58 del 1998. Il procedimento infatti è ancora pendente in cassazione. Dinanzi all’alta corte italiana, i sigg. Gabetti e Grande Stevens hanno invocato il principio ne bis in idem e chiesto di sollevare una questione incidentale di costituzionalità dell’articolo 649 del CPP. Quando viene sollevata una tale questione, gli atti passano alla Corte costituzionale, la quale può dichiarare incostituzionali le disposizioni in questione e di conseguenza annullarle.

78.  Inoltre, i ricorrenti non hanno chiesto alla corte d’appello di Torino di discutere la causa in pubblica udienza e non hanno lamentato dinanzi alla Corte di cassazione la dedotta assenza di una tale udienza. Né, peraltro, essi hanno sollevato a livello interno la doglianza relativa alla dedotta mancanza di imparzialità del presidente della CONSOB. Le doglianze relative all’iniquità del procedimento dinanzi alla CONSOB sono state sollevate per la prima volta in cassazione, quindi tardivamente.

2.  La replica dei ricorrenti

79.  In merito all’affermazione del Governo secondo la quale le doglianze dei ricorrenti non sarebbero state presentate alla Corte di cassazione rispettando le condizioni previste dalla legge, questi osservano innanzitutto che l’alta corte italiana ha esaminato le loro doglianze sul merito e non le ha dichiarate inammissibili. Le doglianze portate a Strasburgo sono, fondamentalmente, quelle contenute nel terzo e nel quarto motivo del ricorso per cassazione, nei quali si invocava l’articolo 111 della Costituzione (diritto ad un giusto processo) e si sosteneva che il procedimento dinanzi alla CONSOB non era in contraddittorio e che gli imputati non erano stati sentiti personalmente.

80.  Quanto al fatto che il procedimento penale interno è ancora pendente, i ricorrenti ricordano che l’articolo 4 del Protocollo n. 7 non vieta solo la «doppia condanna», ma anche il «doppio procedimento». Ora, i ricorrenti hanno sollevato davanti ai giudici interni la questione del doppio procedimento alla luce della giurisprudenza di Strasburgo. Infine, nell’ordinamento giuridico italiano, la parte in giudizio non può accedere direttamente alla Corte costituzionale per invitarla a verificare la costituzionalità di una legge; solo l’organo giudiziario dinanzi al quale la causa è pendente nel merito ha la facoltà di farlo.

3.  Valutazione della Corte

81.  La Corte rammenta che, ai sensi dell’articolo 35 § 1 della Convenzione, essa può essere adita solo dopo l’esaurimento delle vie di ricorso interne. La finalità di tale regola è quella di offrire agli Stati contraenti l’occasione di prevenire o riparare le violazioni denunciate nei loro confronti prima che la Corte ne sia investita (si vedano, tra le altre, Mifsud c. Francia (dec.) [GC], n. 57220/00, § 15, CEDU 2002 VIII, e Simons c. Belgio (dec.), n. 71407/10, § 23, 28 agosto 2012).

82.  I principi generali relativi alla regola dell’esaurimento delle vie di ricorso interne sono esposti nella sentenza Sejdovic c. Italia ([GC], n. 56581/00, §§ 43-46, CEDU 2006 II). La Corte rammenta che l’articolo 35 § 1 della Convenzione prescrive l’esaurimento dei soli ricorsi che siano al tempo stesso relativi alle violazioni denunciate, disponibili e adeguati. Un ricorso è effettivo quando è disponibile tanto in teoria quanto in pratica all’epoca dei fatti, vale a dire quando è accessibile, può offrire al ricorrente la riparazione delle violazioni denunciate e presenta ragionevoli prospettive di successo. Al riguardo, il mero fatto di nutrire dubbi quanto alle prospettive di successo di un dato ricorso che non è secondo ogni evidenza destinato al fallimento non costituisce un motivo valido per giustificare il mancato utilizzo di ricorsi interni (Brusco c. Italia (dec.), n. 69789/01, CEDU 2001 IX; Sardinas Albo c. Italia (dec.), n. 56271/00, CEDU 2004 I; e Alberto Eugénio da Conceicao c. Portogallo (dec.), n. 74044/11, 29 maggio 2012).

83.  Nel caso di specie, nel loro ricorso in opposizione dinanzi alla corte d’appello di Torino, i ricorrenti hanno eccepito il mancato rispetto, da parte della CONSOB, del principio del contraddittorio (paragrafo 28 supra). Essi hanno reiterato le loro deduzioni in questo senso dinanzi alla Corte di cassazione, invocando i principi del giusto processo, sanciti dall’articolo 111 della Costituzione (paragrafo 37 supra). Hanno quindi esaurito, al riguardo, le vie di ricorso offerte loro dal diritto italiano. Quanto alle questioni relative ai poteri del presidente della CONSOB e alla tenuta di un’udienza a porte chiuse dinanzi alla corte d’appello di Torino, si trattava, secondo i ricorrenti, dell’applicazione di regole contenute in disposizioni legislative interne. Del resto, qualsiasi eccezione dei ricorrenti al riguardo sarebbe stata priva di ragionevoli prospettive di successo, tenuto conto in particolare del fatto che la Corte di cassazione ha ritenuto che le disposizioni costituzionali in materia di giusto processo e di diritto alla difesa non fossero applicabili al procedimento per l’irrogazione di sanzioni amministrative (paragrafo 38 supra).

84.  La Corte osserva anche che dopo la conferma, da parte della Corte di cassazione, della condanna pronunciata dalla CONSOB, i ricorrenti hanno invocato, nel procedimento penale, il principio ne bis in idem ed hanno eccepito, invano, l’incostituzionalità delle disposizioni pertinenti del decreto legislativo n. 58 del 1998 e dell’articolo 649 del CPP, a causa della loro incompatibilità con l’articolo 4 del Protocollo n. 7 (paragrafo 42 supra).

85.  Infine, per quanto riguarda la circostanza che il procedimento penale era, alla data delle ultime informazioni ricevute dalla Corte (7 giugno 2013 – paragrafo 52 supra), ancora pendente in cassazione nei confronti dei sigg. Gabetti e Grande Stevens, è sufficiente osservare che i ricorrenti lamentano di essere stati «perseguiti penalmente» per un reato per il quale erano già stati condannati con sentenza definitiva. Pertanto, la loro doglianza relativa all’articolo 4 del Protocollo n. 7 non può essere considerata prematura.

86.  Ne consegue che l’eccezione del Governo relativa al mancato esaurimento delle vie di ricorso interne non può essere accolta.

II.  SULLA DEDOTTA VIOLAZIONE DELL’ARTICOLO 6 DELLA CONVENZIONE

87.  I ricorrenti sostengono che il procedimento dinanzi alla CONSOB non è stato equo e denunciano la mancanza di imparzialità e indipendenza di tale organo.

Essi invocano l’articolo 6 della Convenzione, che, nelle sue parti pertinenti, e così formulato:

«1.  Ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente, pubblicamente (…), da un tribunale indipendente e imparziale (…), il quale sia chiamato a pronunciarsi sulle controversie sui suoi diritti e doveri di carattere civile o sulla fondatezza di ogni accusa penale formulata nei suoi confronti. La sentenza deve essere resa pubblicamente, ma l’accesso alla sala d’udienza può essere vietato alla stampa e al pubblico durante tutto o parte del processo nell’interesse della morale, dell’ordine pubblico o della sicurezza nazionale in una società democratica, quando lo esigono gli interessi dei minori o la protezione della vita privata delle parti in causa, o, nella misura giudicata strettamente necessaria dal tribunale, quando in circostanze speciali la pubblicità possa portare pregiudizio agli interessi della giustizia.

2. Ogni persona accusata di un reato è presunta innocente fino a quando la sua colpevolezza non sia stata legalmente accertata.

3. In particolare, ogni accusato ha diritto di:

a) essere informato, nel più breve tempo possibile, in una lingua a lui comprensibile e in modo dettagliato, della natura e dei motivi dell’accusa formulata a suo carico;
b) disporre del tempo e delle facilitazioni necessarie a preparare la sua difesa;
c) difendersi personalmente o avere l’assistenza di un difensore di sua scelta e, se non ha i mezzi per retribuire un difensore, poter essere assistito gratuitamente da un avvocato d’ufficio, quando lo esigono gli interessi della giustizia;
d) esaminare o far esaminare i testimoni a carico ed ottenere la convocazione e l’esame dei testimoni a discarico nelle stesse condizioni dei testimoni a carico;
(…).»

88.  Il Governo contesta la tesi dei ricorrenti.

A.  Sulla ricevibilità

1.  Sulla questione di stabilire se sia applicabile il profilo penale dell’articolo 6 della Convenzione

a)  Argomenti delle parti

i.  Il Governo

89.  Il Governo afferma che il procedimento dinanzi alla CONSOB non verteva su una «accusa in materia penale» a carico dei ricorrenti. Osserva che la sanzione prevista dall’articolo 187 ter del decreto legislativo n. 58 del 1998 è chiaramente qualificata come «amministrativa» sia nel diritto interno che nel diritto europeo e può essere inflitta da un organo amministrativo all’esito di un procedimento amministrativo.

90.  Per quanto riguarda la sua natura, la sanzione è applicabile ad ogni comportamento, anche a una semplice negligenza, che possa dare segnali o informazioni errate agli investitori, senza necessariamente generare una significativa alterazione dei mercati finanziari. Essa tutela gli investitori da qualsiasi potenziale rischio che le loro scelte possano essere influenzate e dunque riguarda interessi diversi da quelli che normalmente sono tutelati dal diritto penale. Infine, le sanzioni che possono essere inflitte intaccano soltanto il patrimonio della persona interessata e/o la sua capacità di assumere incarichi di amministrazione, direzione e controllo, e non possono in alcun caso portare a una privazione della libertà anche nel caso non vengano pagate. Non vengono iscritte sul casellario giudiziale e normalmente vengono inflitte agli operatori finanziari e non a tutti i cittadini.

91.  Peraltro, l’ammontare delle sanzioni pecuniarie sarebbe proporzionato alle rendite e alla capacità finanziaria del colpevole; nel caso di specie, si trattava di un’operazione finanziaria volta ad ottenere il controllo di uno dei più grandi produttori di automobili del mondo e che era costata più di 500.000.000 EUR. Inoltre, le sanzioni pecuniarie, l’eventuale confisca dei beni utilizzati per commettere l’illecito e l’incapacità di assumere incarichi di amministrazione, direzione e controllo mirano essenzialmente a riguadagnare la fiducia dei mercati e degli investitori, andando a toccare gli elementi che hanno permesso di commettere l’illecito amministrativo (si vedano anche, su questo punto, gli scopi perseguiti dalla direttiva 2003/6/CE). Esse hanno lo scopo di riparare e compensare un danno di natura finanziaria e di evitare che il colpevole possa trarre profitto dalle sue attività illecite. Peraltro, nella causa Spector Photo Group, sopra citata (paragrafo 61 supra), la CGUE ha ammesso la coesistenza, in questo settore, di sanzioni amministrative e penali.

ii.  I ricorrenti

92.  I ricorrenti considerano che, anche se qualificate come «amministrative» nel diritto interno, le sanzioni inflitte dalla CONSOB devono essere considerate «penali», nel senso autonomo che questa nozione assume nella giurisprudenza della Corte. La sentenza della CGUE nella causa Spector Photo Group, citata dal Governo, non afferma il contrario, ma si limita a dire che se uno Stato membro ha previsto la possibilità di infliggere una sanzione pecuniaria di natura penale, il livello di questa sanzione non deve essere tenuto in considerazione per valutare il carattere effettivo, proporzionato e dissuasivo della sanzione amministrativa. Peraltro, nella sentenza del 26 febbraio 2013 resa nell’ambito della causa C-617/10 (Åklagaren c. Hans Åkerberg Fransson), la CGUE ha affermato i seguenti principi: a) l’applicabilità del diritto dell’Unione implica quella dei diritti fondamentali garantiti dalla Carta; b) l’articolo 50 di quest’ultima (che garantisce il principio del ne bis in idem) presuppone che le misure adottate a carico di un imputato assumano carattere penale; c) per valutare la natura penale delle sanzioni fiscali, occorre tener conto della qualificazione della sanzione nel diritto interno, della natura dell’illecito e del grado di severità della sanzione che rischia di subire l’interessato.

93.  Nel presente caso di specie, la gravità delle sanzioni era evidente dato che il massimo previsto ammontava a 5.000.000 EUR. A questa sanzione principale si aggiungono le pene accessorie, quali l’incapacità temporanea (non superiore a tre anni) ad assumere incarichi di amministrazione, direzione e controllo nell’ambito delle società quotate in borsa, la temporanea sospensione (non superiore a tre anni) dagli ordini professionali, e la confisca del prodotto dell’illecito e dei beni utilizzati per commetterlo. Facendo riferimento alla giurisprudenza della Corte in materia (si vedano, in particolare, Dubus S.A. c. Francia, n. 5242/04, 11 giugno 2009; Messier c. Francia, n. 25041/07, 30 giugno 2001; e Menarini Diagnostics S.r.l. c. Italia, n. 43509/08, 27 settembre 2011), i ricorrenti concludono che nel caso di specie è applicabile il profilo penale dell’articolo 6.

b)  Valutazione della Corte

94.  La Corte rammenta la sua consolidata giurisprudenza ai sensi della quale, al fine di stabilire la sussistenza di una «accusa in materia penale», occorre tener presente tre criteri: la qualificazione giuridica della misura in causa nel diritto nazionale, la natura stessa di quest’ultima, e la natura e il grado di severità della «sanzione» (Engel e altri c. Paesi Bassi, 8 giugno 1976, § 82, serie A n. 22). Questi criteri sono peraltro alternativi e non cumulativi: affinché si possa parlare di «accusa in materia penale» ai sensi dell’articolo 6 § 1, è sufficiente che il reato in causa sia di natura «penale» rispetto alla Convenzione, o abbia esposto l’interessato a una sanzione che, per natura e livello di gravità, rientri in linea generale nell’ambito della «materia penale». Ciò non impedisce di adottare un approccio cumulativo se l’analisi separata di ogni criterio non permette di arrivare ad una conclusione chiara in merito alla sussistenza di una «accusa in materia penale» (Jussila c. Finlandia [GC], n. 73053/01, §§ 30 e 31, CEDU 2006-XIII, e Zaicevs c. Lettonia, n. 65022/01, § 31, CEDU 2007-IX (estratti)).

95.  Nel caso di specie, la Corte constata innanzitutto che le manipolazioni del mercato ascritte ai ricorrenti non costituiscono un reato di natura penale nel diritto italiano. Questi comportamenti sono in effetti puniti con una sanzione qualificata come «amministrativa» dall’articolo 187 ter punto 1 del decreto legislativo n. 58 del 1998 (paragrafo 20 supra). Ciò non è tuttavia decisivo ai fini dell’applicabilità del profilo penale dell’articolo 6 della Convenzione, in quanto le indicazioni che fornisce il diritto interno hanno un valore relativo (Öztürk c. Germania, 21 febbraio 1984, § 52, serie A n. 73, e Menarini Diagnostics S.r.l., sopra citata, § 39).

96.  Per quanto riguarda la natura dell’illecito, sembra che le disposizioni la cui violazione è stata ascritta ai ricorrenti si prefiggessero di garantire l’integrità dei mercati finanziari e di mantenere la fiducia del pubblico nella sicurezza delle transazioni. La Corte rammenta che la CONSOB, autorità amministrativa indipendente, ha tra i suoi scopi quello di assicurare la tutela degli investitori e l’efficacia, la trasparenza e lo sviluppo dei mercati borsistici (paragrafo 9 supra). Si tratta di interessi generali della società normalmente tutelati dal diritto penale (si veda mutatis mutandis, Menarini Diagnostics S.r.l., sopra citata, § 40; si veda anche Société Stenuit c. Francia, rapporto della Commissione europea dei diritti dell’uomo del 30 maggio 1991, § 62, serie A n. 232 A). Inoltre, la Corte è del parere che le sanzioni pecuniarie inflitte mirassero essenzialmente a punire per impedire la recidiva. Erano dunque basate su norme che perseguivano uno scopo preventivo, ovvero dissuadere gli interessati dal ricominciare, e repressivo, in quanto sanzionavano una irregolarità (si veda, mutatis mutandis, Jussila, sopra citata, § 38). Dunque, non si prefiggevano unicamente, come sostiene il Governo (paragrafo 91 supra), di riparare un danno di natura finanziaria. Al riguardo, è opportuno notare che le sanzioni erano inflitte dalla CONSOB in funzione della gravità della condotta ascritta e non del danno provocato agli investitori.

97.  Per quanto riguarda la natura e la severità della sanzione «che può essere inflitta» ai ricorrenti (Ezeh e Connors c. Regno Unito [GC], nn. 39665/98 e 40086/98, § 120, CEDU 2003-X), la Corte conviene con il Governo (paragrafo 90 supra) che le sanzioni pecuniarie in questione non potessero essere sostituite da una pena privativa della libertà in caso di mancato pagamento (si veda, a contrario, Anghel c. Romania, n. 28183/03, § 52, 4 ottobre 2007). Tuttavia, la CONSOB poteva infliggere una sanzione pecuniaria fino a 5.000.000 EUR (paragrafo 20 supra), e questo massimo ordinario poteva, in alcune circostanze, essere triplicato o elevato fino a dieci volte il prodotto o il profitto ottenuto grazie al comportamento illecito (paragrafo 53 supra). L’inflizione delle sanzioni amministrative pecuniarie sopra menzionate comporta per i rappresentanti delle società coinvolte la perdita temporanea della loro onorabilità, e se queste ultime sono quotate in borsa, ai loro rappresentanti si applica l’incapacità temporanea ad assumere incarichi di amministrazione, direzione e controllo nell’ambito delle società quotate per una durata variabile da due mesi a tre anni. La CONSOB può anche vietare alle società quotate, alle società di gestione e alle società di revisione di avvalersi della collaborazione dell’autore dell’illecito, per una durata massima di tre anni, e chiedere agli ordini professionali la sospensione temporanea dell’interessato dall’esercizio della sua attività professionale (paragrafo 54 supra). Infine, l’applicazione delle sanzioni amministrative pecuniarie importa la confisca del prodotto o del profitto dell’illecito e dei beni utilizzati per commetterlo (paragrafo 56 supra).

98.  È vero che nel caso di specie le sanzioni non sono state applicate nel loro ammontare massimo, in quanto la corte d’appello di Torino ha ridotto alcune ammende inflitte dalla CONSOB (paragrafo 30 supra), e non è stata disposta alcuna confisca. Tuttavia, il carattere penale di un procedimento è subordinato al grado di gravità della sanzione di cui è a priori passibile la persona interessata (Engel e altri, sopra citata, § 82), e non alla gravità della sanzione alla fine inflitta (Dubus S.A., sopra citata, § 37). Per di più, nel caso di specie i ricorrenti sono stati sanzionati con ammende variabili tra 500.000 e 3.000.000 EUR, e a Gabetti, Grande Stevens e Marrone è stata inflitta l’interdizione dall’amministrare, dirigere o controllare delle società quotate in borsa per un tempo compreso tra due e quattro mesi (paragrafi 25-26 e 30-31 supra). Quest’ultima sanzione era tale da ledere il credito delle persone interessate (si veda, mutatis mutandis, Dubus S.A., loc. ult. cit.), e le ammende erano, visto il loro ammontare, di una innegabile severità che comportava per gli interessati conseguenze patrimoniali importanti.

99.  Alla luce di quanto è stato esposto e tenuto conto dell’importo elevato delle sanzioni pecuniarie inflitte e di quelle di cui erano passibili i ricorrenti, la Corte ritiene che le sanzioni in causa rientrino, per la loro severità, nell’ambito della materia penale (si vedano, mutatis mutandis, Öztürk, sopra citata, § 54, e, a contrario, Inocêncio c. Portogallo (dec.), n. 43862/98, CEDU 2001 I).

100.  Del resto, la Corte rammenta anche che a proposito di alcune autorità amministrative francesi competenti in diritto economico e finanziario, dotate di potere sanzionatorio, essa ha dichiarato che il profilo penale dell’articolo 6 si applicava anche nel caso della Corte di disciplina finanziaria ed economica (Guisset c. Francia, n. 33933/96, § 59, CEDU 2000 IX), del Consiglio dei mercati finanziari (Didier c. Francia (dec.), n. 58188/00, 27 agosto 2002), del Consiglio della concorrenza (Lilly France S.A. c. Francia (dec.), n. 53892/00, 3 dicembre 2002), della commissione delle sanzioni dell’Autorità dei mercati finanziari (Messier c. Francia (dec.), n. 25041/07, 19 maggio 2009), e della Commissione bancaria (Dubus S.A., sopra citata, § 38). Lo stesso è accaduto per l’autorità italiana AGCM – Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato; si veda Menarini Diagnostics S.r.l., sopra citata, § 44).

101.  Tenuto conto dei diversi aspetti della causa, debitamente ponderati, la Corte ritiene che le sanzioni pecuniarie inflitte ai ricorrenti abbiano carattere penale, di modo che il profilo penale dell’articolo 6 § 1 sia applicabile nel caso di specie (si veda, mutatis mutandis, Menarini Diagnostics S.r.l., loc. ult. cit.).

2.  Altri motivi di irricevibilità

102.  Il Governo considera che questo motivo di ricorso dovrebbe essere dichiarato irricevibile in quanto manifestamente infondato, rientrando essenzialmente nella competenza della quarta istanza, dal momento che le questioni relative alla qualificazione giuridica dei fatti ascritti ai ricorrenti e alla sussistenza degli elementi costitutivi degli illeciti sono di competenza esclusiva dei giudici nazionali.

103.  Ad ogni modo, le sanzioni inflitte dalla CONSOB sono di natura amministrativa, la CONSOB è un organo indipendente e imparziale che giudica secondo una procedura rispettosa dei diritti della difesa e le sue decisioni possono essere impugnate dinanzi alle autorità giudiziarie (corte d’appello e Corte di cassazione).

104.  I ricorrenti considerano che i loro motivi di ricorso non possono essere di competenza della «quarta istanza». In effetti, essi chiedono il rispetto delle garanzie previste dall’articolo 6 della Convenzione, fatto che rientra nella competenza del contenzioso della Corte e riguarda la legalità delle sanzioni che sono state loro inflitte.

105.  La Corte constata che questo motivo di ricorso non è manifestamente infondato ai sensi dell’articolo 35 § 3 a) della Convenzione e rileva peraltro che esso non incorre in altri motivi di irricevibilità ed è quindi opportuno dichiararlo ricevibile.

B.  Sul merito

1.  Sulla questione di stabilire se il procedimento dinanzi alla CONSOB sia stato equo

a)  Argomenti delle parti

i.  I ricorrenti

106.  I ricorrenti sostengono che il procedimento dinanzi alla CONSOB era essenzialmente scritto, che non era prevista alcuna udienza pubblica e che i diritti della difesa non erano rispettati. La Corte di cassazione stessa ha riconosciuto che le garanzie del giusto processo e della tutela dei diritti della difesa (articoli 111 e 24 della Costituzione) non si applicavano al procedimento amministrativo (paragrafo 38 supra).

107.  I ricorrenti sostengono che le delibere della CONSOB n. 12697 del 2 agosto 2000 e 15086 del 21 giugno 2005 hanno de facto eliminato il principio del contraddittorio, nonostante quest’ultimo sia enunciato dall’articolo 187 septies del decreto legislativo n. 58 del 1998 (paragrafo 57 supra). Queste delibere permettono, come nel caso di specie, di non trasmettere agli imputati le conclusioni dell’ufficio sanzioni, che costituiscono poi la base della decisione della commissione, la quale, da parte sua, non riceve le memorie degli imputati riguardanti la fase istruttoria. Inoltre, la commissione decide senza sentire gli imputati e senza pubblica udienza, fatto che nel caso di specie ha impedito ai ricorrenti di dialogare direttamente con la commissione e di difendersi dinanzi ad essa rispetto alle conclusioni dell’ufficio sanzioni. Queste ultime costituivano un elemento importante e la loro conoscenza avrebbe permesso ai ricorrenti di rilevare incoerenze nell’indagine o di accedere ad informazioni utili per la loro difesa. La commissione ha tenuto soltanto una riunione interna, nel corso della quale non fu sentito nessuno tranne un funzionario dell’ufficio IT (ossia l’organo incaricato dell’«accusa»). I ricorrenti non erano stati convenuti e non hanno neanche potuto ottenere copia del verbale di questa riunione.

108.  I ricorrenti affermano, inoltre, di non aver avuto conoscenza in tempo utile dei nuovi documenti sui quali si fondava la nota complementare dell’ufficio IT (paragrafo 23 supra) e di non aver avuto il tempo e le facilitazioni necessarie per difendersi rispetto a quest’ultima. Questi documenti sarebbero stati  loro comunicati tardivamente.

109.  I ricorrenti ritengono che il procedimento dinanzi alla CONSOB non assicuri una vera separazione tra fase istruttoria e fase decisoria, fatto che a loro parere lede il principio della parità delle armi. L’istruzione in effetti è interamente sottoposta al potere direttivo del presidente della CONSOB, competente per un vasto numero di atti istruttori, compresa la formulazione del o dei capi di imputazione.

110.  Nel caso di specie, secondo loro, l’attività istruttoria è stata unilaterale e fondata su alcune deposizioni dei testimoni rilasciate senza la presenza degli imputati o dei loro legali, i quai non hanno avuto la possibilità di porre domande a questi testimoni o di assistere al compimento dei vari atti istruttori. I ricorrenti hanno potuto presentare le loro rispettive difese soltanto per iscritto.

ii.  Il Governo

111.  Il Governo sostiene che l’ufficio IT della CONSOB ha allegato al suo rapporto tutti i documenti dell’indagine, e dunque anche le difese presentate dai ricorrenti. Sottolinea anche che è stato concesso ai ricorrenti un termine di trenta giorni per presentare eventuali osservazioni in merito alla nota complementare dell’ufficio IT del 19 ottobre 2006, e che i ricorrenti hanno presentato queste osservazioni il 24 novembre 2006 senza contestare il fatto di aver avuto a disposizione un periodo di tempo limitato. Gli interessati non hanno peraltro mai chiesto la convocazione e l’audizione di testimoni, la cui presenza è normalmente inutile nel procedimento dinanzi alla CONSOB, basato sull’acquisizione di informazioni e di dati a carattere tecnico. La natura tecnica degli illeciti giustifica la scelta di un procedimento essenzialmente scritto.

112.  Tenuto conto della natura «amministrativa» del procedimento dinanzi alla CONSOB, la sua equità non può, secondo il Governo, essere messa in discussione semplicemente perché si è svolto interamente per iscritto. Considerato che l’articolo 6 della Convenzione non menziona i procedimenti amministrativi, i principi del processo equo possono esservi applicati soltanto mutatis mutandis. Il procedimento in questione è stato ispirato proprio dalla preoccupazione di assicurare il rispetto dei diritti della difesa, del principio del contraddittorio e del principio della coincidenza tra fatto ascritto e fatto sanzionato. I ricorrenti hanno avuto accesso al fascicolo investigativo e vi è stata separazione tra indagine e decisione – in quanto la prima fase è stata di competenza dell’ufficio IT e dell’ufficio sanzioni amministrative, mentre la seconda è stata affidata alla commissione della CONSOB.

113.  Al riguardo, il Governo sottolinea che la lettera che contesta agli interessati la violazione dell’articolo 187 ter, punto 1, del decreto legislativo n. 58 del 1998 non era firmata dal presidente della CONSOB, ma dal capo della divisione mercati e consulenza economica e dal direttore generale delle attività istituzionali.

114.  Una volta aperta la procedura di infrazione, le persone interessate possono esercitare i loro diritti alla difesa presentando osservazioni scritte o chiedendo di essere sentiti, in primo luogo dall’ufficio competente o dall’ufficio sanzioni amministrative. Così, come nel caso di specie, le suddette persone hanno la possibilità di formulare osservazioni sugli elementi costitutivi dell’illecito e su qualsiasi altra circostanza pertinente all’esame della loro causa. L’inchiesta si articola in due tappe (una dinanzi all’ufficio IT, l’altra dinanzi all’ufficio sanzioni), e il rapporto dell’ufficio è trasmesso non soltanto all’ufficio sanzioni, ma anche agli accusati, che possono pertanto difendersi rispetto al contenuto di quest’ultimo dinanzi all’ufficio sanzioni. Il fatto che le conclusioni di quest’ultimo non siano trasmesse agli accusati e costoro non siano sentiti personalmente dalla commissione non pregiudicherebbe minimamente la legalità del procedimento.

115.  Il Governo sostiene che anche nelle procedure giudiziarie l’accusato non ha il diritto di discutere la sanzione durante la fase decisoria. Peraltro, il quantum massimo di queste sanzioni era fissato dalla legge, che indicava anche i criteri da seguire per assicurare la loro proporzionalità rispetto alla gravità dei fatti commessi. Infine, come riconosciuto dalle sezioni unite della Corte di cassazione nella sentenza n. 20935 del 2009, l’articolo 180 septies del decreto legislativo n. 58 del 1998 (che disciplina i diritti della difesa nell’ambito del procedimento dinanzi alla CONSOB) è stato introdotto nel sistema giuridico italiano precisamente al fine di assicurare il rispetto delle esigenze della Convenzione.

b)  Valutazione della Corte

116.  La Corte è pronta ad ammettere che, come sottolineato dal Governo, il procedimento dinanzi alla CONSOB ha permesso agli accusati di presentare elementi utili per la loro difesa. In effetti, l’accusa formulata dall’ufficio IT è stata comunicata ai ricorrenti, i quali sono stati invitati a difendersi (paragrafi 20 e 21 supra). I ricorrenti hanno anche avuto conoscenza del rapporto e della nota complementare dell’ufficio IT, e hanno avuto a disposizione trenta giorni di tempo per presentare eventuali osservazioni rispetto a quest’ultimo documento (paragrafo 23 supra). Questo termine non appare manifestamente insufficiente e i ricorrenti non ne hanno chiesto la proroga.

117.  Resta comunque il fatto che, come riconosciuto dal Governo (paragrafo 114 supra), il rapporto che conteneva le conclusioni dell’ufficio sanzioni, destinato a servire poi da base alla decisione della commissione, non è stato comunicato ai ricorrenti, che non hanno dunque avuto la possibilità di difendersi rispetto al documento alla fine sottoposto dagli organi investigativi della CONSOB all’organo incaricato di decidere sulla fondatezza delle accuse. Inoltre, gli interessati non hanno avuto possibilità di interrogare o di far interrogare le persone eventualmente sentite dall’ufficio IT.

118.  La Corte rileva anche che il procedimento dinanzi alla CONSOB era essenzialmente scritto e che i ricorrenti non hanno avuto la possibilità di partecipare all’unica riunione tenuta dalla commissione, alla quale non erano ammessi. Questo non viene contestato dal Governo. A tale proposito, la Corte rammenta che lo svolgimento di un’udienza pubblica costituisce un principio fondamentale sancito dall’articolo 6 § 1 (Jussila, sopra citata, § 40).

119.  Tuttavia, è vero che l’obbligo di tenere un’udienza pubblica non è assoluto (Håkansson e Sturesson c. Svezia, 21 febbraio 1990, § 66, serie A n. 171-A) e che l’articolo 6 non esige necessariamente lo svolgimento di una udienza in tutte le procedure, soprattutto nelle cause che non sollevano questioni di credibilità o non suscitano controversie su fatti che rendono necessario un confronto orale, e nell’ambito delle quali i giudici possono pronunciarsi in maniera equa e ragionevole sulla base delle conclusioni scritte delle parti e degli altri documenti contenuti nel fascicolo (si vedano, ad esempio, Döry c. Svezia, n. 28394/95, § 37, 12 novembre 2002; Pursiheimo c. Finlandia (dec.), n. 57795/00, 25 novembre 2003; Jussila, sopra citata, § 41; e Suhadolc c. Slovenia (dec.), n. 57655/08, 17 maggio 2011, dove la Corte ha ritenuto che la mancanza di udienza orale e pubblica non creasse alcuna violazione dell’articolo 6 della Convenzione in una causa per eccesso di velocità e di guida in stato di ebbrezza nella quale gli elementi a carico dell’accusato erano stati ottenuti grazie ad alcuni apparecchi tecnici).

120.  Anche se le esigenze del processo equo sono più rigorose in materia penale, la Corte non esclude che, nell’ambito di alcune procedure penali, i giudici aditi possano, in ragione della natura delle questioni che si pongono, sentirsi esonerati dal tenere un’udienza. Se bisogna tenere presente che i procedimenti penali, che hanno ad oggetto la determinazione della responsabilità penale e l’imposizione di misure a carattere repressivo e dissuasivo, assumono una certa gravità, va da sé che alcuni di essi non comportano alcun carattere infamante per le persone che ne sono oggetto e che le «accuse in materia penale» non hanno tutte lo stesso peso (Jussila, sopra citata, § 43).

121.  È opportuno anche precisare che l’importanza considerevole che la posta in gioco del procedimento in questione può avere per la situazione personale di un ricorrente non è decisiva per stabilire se sia necessario tenere una udienza (Pirinen c. Finlandia (dec.), n. 32447/02, 16 maggio 2006). Resta comunque il fatto che il rigetto della richiesta di tenere una udienza può giustificarsi soltanto in rare occasioni (Miller c. Svezia, n. 55853/00, § 29, 8 febbraio 2005, e Jussila, sopra citata, § 42).

122.  Per quanto riguarda la presente causa, secondo la Corte era necessaria una udienza pubblica, orale e accessibile ai ricorrenti. A tale proposito, la Corte osserva che vi era una controversia sui fatti, soprattutto per ciò che riguardava lo stato di avanzamento delle negoziazioni con la Merrill Lynch International Ltd, e che, al di là della loro gravità da un punto di vista economico, le sanzioni in cui rischiavano di incorrere alcuni dei ricorrenti avevano, come notato prima (paragrafi 74, 97 e 98 supra), un carattere infamante, potendo arrecare pregiudizio all’onorabilità professionale e al credito delle persone interessate.

123.  Per quanto sopra esposto, la Corte reputa che il procedimento dinanzi alla CONSOB non soddisfacesse tutte le esigenze dell’articolo 6 della Convenzione, soprattutto per quanto riguarda la parità delle armi tra accusa e difesa e il mancato svolgimento di una udienza pubblica che permettesse un confronto orale.

2.  Sulla questione di stabilire se la CONSOB fosse un tribunale indipendente e imparziale

a)  Argomenti delle parti

i.  I ricorrenti

124.  I ricorrenti sostengono che in ragione della sua struttura e dei poteri del suo presidente, la CONSOB non era un «tribunale indipendente ed imparziale» nel senso dell’articolo 6 § 1 della Convenzione.

125.  Essi sottolineano che la fase istruttoria del loro procedimento è stata condotta dall’ufficio IT e dall’ufficio sanzioni amministrative. Ora, il presidente della CONSOB deve supervisionare questa fase prima di presiedere la commissione propriamente detta, ossia l’organo incaricato di irrogare le sanzioni. Dunque, non ci sarebbe una separazione chiara tra fase istruttoria e fase decisoria, e questa posizione dualista del presidente farebbe sorgere dei dubbi oggettivamente giustificati sulla sua imparzialità. Lo stesso si potrebbe dire per gli altri membri della commissione, che verrebbero a conoscenza dei fatti unicamente tramite il presidente e sulla base della sola versione data dall’ufficio sanzioni, alla quale non sarebbero allegate le difese presentate dagli imputati. Infine, gli organi incaricati dell’indagine non sarebbero indipendenti rispetto all’alta gerarchia della CONSOB.

126. In virtù della delibera CONSOB n. 15087 del 21 giugno 2005, il presidente è il capo della commissione: egli applica le sanzioni, supervisiona l’indagine preliminare e autorizza l’esercizio dei poteri di indagine. Può ordinare ispezioni o altri atti istruttori, fatto che impedisce di considerarlo un giudice «terzo» e imparziale.

ii.  Il Governo

127.  Il Governo rileva che la CONSOB è composta da un presidente e da quattro membri, scelti fra personalità indipendenti aventi competenze specifiche e qualità morali appropriate. All’epoca dei fatti, i suoi membri erano eletti per cinque anni e il loro mandato poteva essere rinnovato una sola volta. Durante il loro mandato, questi membri non potevano esercitare alcuna attività professionale o commerciale né svolgere altre funzioni pubbliche.

128.  La CONSOB è indipendente da qualsiasi altro potere e in particolare dal potere esecutivo. Può disporre in maniera autonoma del suo bilancio e adottare delibere che riguardano la carriera e le condizioni di impiego del suo personale. L’organo di decisione (la commissione) è separato dagli organi di indagine (l’ufficio e l’ufficio sanzioni).

129.  Anche se è incaricato della supervisione dei vari uffici ed ha alcuni poteri di iniziativa durante l’indagine (in particolare può autorizzare ispezioni e chiedere di compiere atti investigativi quali l’acquisizione di dati relativi al traffico telefonico e il sequestro di beni), il presidente della CONSOB non può mai interferire con le indagini che riguardano un determinato caso, che sono condotte dall’ufficio competente e dall’ufficio sanzioni. Al contrario, l’ufficio e l’ufficio sanzioni non svolgono un ruolo nell’adozione della decisione finale. Il presidente della CONSOB è responsabile della supervisione dei criteri generali che gli uffici devono seguire nel compiere le indagini. Non può intervenire nella valutazione sul merito degli elementi acquisiti o condizionare i risultati dell’indagine. La sua funzione è paragonabile a quella del presidente di un tribunale.

130.  Il potere di aprire una procedura di infrazione e di formulare le accuse spetta esclusivamente al capo della divisione competente che agisce in totale indipendenza e autonomia di giudizio. Per quanto riguarda le ispezioni, si tratta di atti investigativi volti ad acquisire informazioni. Queste ultime sono successivamente valutate dagli uffici competenti. Nel caso di specie, peraltro, il presidente della CONSOB non ha né autorizzato ispezioni né chiesto il compimento di atti investigativi. La decisione finale su un sequestro – non disposto nel caso di specie – spetta alla commissione previo parere favorevole della procura emesso su richiesta del presidente della CONSOB. Si tratta ad ogni modo di una misura provvisoria volta a garantire la solvibilità degli accusati o a privarli dei beni utilizzati per commettere l’illecito. La decisione sul sequestro non pregiudica affatto la decisione sul merito delle accuse e delle sanzioni. Anche nell’ambito di una procedura giudiziaria, è ammesso che una decisione procedurale che non comporta alcun giudizio sulla colpevolezza o l’innocenza del sospettato (quale, ad esempio, una ordinanza di custodia cautelare) non costituisca un motivo per dubitare successivamente dell’imparzialità del giudice che l’ha adottata.

131.  Il Governo nota, infine, che nel caso di specie non vi era alcun conflitto d’interessi tra il personale della CONSOB, i membri della sua commissione e i ricorrenti.

b)  Valutazione della Corte

132.  La Corte rammenta la sua consolidata giurisprudenza ai sensi della quale, per stabilire se un «tribunale» possa essere considerato «indipendente», occorre tener conto, soprattutto, delle modalità di designazione e della durata del mandato dei suoi membri, dell’esistenza di una tutela contro le pressioni esterne e sapere se vi sia stata o meno parvenza di indipendenza (Kleyn e altri c. Paesi Bassi [GC], nn. 39343/98, 39651/98, 43147/98 e 46664/99, § 190, CEDU 2003-VI).

133.  Tenuto conto delle modalità e delle condizioni di nomina dei membri della CONSOB, e in assenza di elementi che permettano di dire che le garanzie contro eventuali pressioni esterne non sono sufficienti e adeguate, la Corte ritiene che non si debba dubitare dell’indipendenza della CONSOB rispetto a qualsiasi altro potere o autorità, e in particolare rispetto al potere esecutivo. Al riguardo, essa fa sue le osservazioni del Governo per quanto riguarda l’autonomia della CONSOB e le garanzie che caratterizzano la nomina dei suoi membri (paragrafo 127 e 128 supra).

134.  La Corte rammenta poi i principi generali riguardanti il metodo per valutare l’imparzialità di un «tribunale», che sono esposti, tra altre, nelle seguenti sentenze: Padovani c. Italia, 26 febbraio 1993, § 20, serie A n. 257-B; Thomann c. Svizzera, 10 giugno 1996, § 30, Recueil des arrêts et décisions 1996-III; Ferrantelli e Santangelo c. Italia, 7 agosto 1996, § 58, Recueil 1996-III; Castillo Algar c. Spagna, 28 ottobre 1998, § 45, Recueil 1998-VIII; Wettstein c. Svizzera, n. 33958/96, § 44, CEDU 2000 XII; Morel c. Francia, n. 34130/96, § 42, CEDU 2000-VI; e Cianetti c. Italia, n. 55634/00, § 37, 22 aprile 2004.

135.  Per quanto riguarda l’aspetto soggettivo dell’imparzialità della CONSOB, la Corte constata che nel caso di specie non vi è nulla che indichi un qualsiasi pregiudizio o partito preso da parte dei suoi membri. Il fatto che siano state prese decisioni sfavorevoli ai ricorrenti non può da solo mettere in dubbio la loro imparzialità (si veda, mutatis mutandis, Previti c. Italia (dec.), n. 1845/08, § 53, 12 febbraio 2013) e la Corte non può dunque che presumere l’imparzialità personale dei membri della CONSOB, compresa quella del suo presidente.

136.  Per quanto riguarda l’imparzialità oggettiva, la Corte nota che il regolamento della CONSOB prevede una certa separazione tra organi incaricati dell’indagine e organo competente a decidere sull’esistenza di un illecito e sull’applicazione delle sanzioni. In particolare, l’accusa è formulata dall’ufficio IT, che compie anche indagini i cui risultati sono riassunti nel rapporto dell’ufficio sanzioni contenente le conclusioni e le proposte sulle sanzioni da applicare. La decisione finale sull’inflizione di queste ultime spetta unicamente alla commissione.

137.  Rimane comunque il fatto che l’ufficio IT, l’ufficio sanzioni e la commissione non sono che suddivisioni dello stesso organo amministrativo, che agiscono sotto l’autorità e la supervisione di uno stesso presidente. Secondo la Corte, ciò si esprime nel consecutivo esercizio di funzioni di indagine e di giudizio in seno ad una stessa istituzione; ora, in materia penale tale cumulo non è compatibile con le esigenze di imparzialità richieste dall’articolo 6 § 1 della Convenzione (si veda, in particolare e mutatis mutandis, Piersack c. Belgio, 1° ottobre 1982, §§ 30-32, serie A n. 53, e De Cubber c. Belgio, 26 ottobre 1984, §§ 24-30, serie A n. 86, dove la Corte ha concluso per una mancanza di imparzialità oggettiva del «tribunale» in ragione, nella prima di queste cause, del fatto che una corte d’assise fosse presieduta da un consigliere che, precedentemente, aveva diretto la sezione della procura di Bruxelles investita del caso dell’interessato; e, nella seconda, dell’esercizio in successione delle funzioni di giudice istruttore e di giudice di merito da parte di uno stesso magistrato in una stessa causa).

3.  Sulla questione di stabilire se i ricorrenti abbiano avuto accesso a un tribunale con piena giurisdizione

138.  Le constatazioni che precedono, relative alla mancanza di imparzialità oggettiva della CONSOB e alla mancata conformità del procedimento dinanzi ad essa con il principio del processo equo non sono comunque sufficienti per poter concludere che nel caso di specie vi è stata violazione dell’articolo 6. Al riguardo la Corte osserva che le sanzioni lamentate dai ricorrenti non sono state inflitte da un giudice all’esito di un procedimento giudiziario in contraddittorio, ma da un’autorità amministrativa, la CONSOB. Se affidare a tali autorità il compito di perseguire e reprimere le contravvenzioni non è incompatibile con la Convenzione, occorre tuttavia sottolineare che i ricorrenti devono poter impugnare qualsiasi decisione adottata in questo modo nei loro confronti dinanzi a un tribunale che offra le garanzie dell’articolo 6 (Kadubec c. Slovacchia, 2 settembre 1998, § 57, Recueil 1998-VI; Čanády c. Slovacchia, n. 53371/99, § 31, 16 novembre 2004; e Menarini Diagnostics S.r.l., sopra citata, § 58).

139.  Il rispetto dell’articolo 6 della Convenzione non esclude dunque che in un procedimento di natura amministrativa, una «pena» sia imposta in primo luogo da un’autorità amministrativa. Esso presuppone, tuttavia, che la decisione di un’autorità amministrativa che non soddisfi essa stessa le condizioni dell’articolo 6 sia successivamente sottoposta al controllo di un organo giudiziario dotato di piena giurisdizione (Schmautzer, Umlauft, Gradinger, Pramstaller, Palaoro e Pfarrmeier c. Austria, sentenze del 23 ottobre 1995, rispettivamente §§ 34, 37, 42 e 39, 41 e 38, serie A nn. 328 A-C e 329 A C). Fra le caratteristiche di un organo giudiziario dotato di piena giurisdizione figura il potere di riformare qualsiasi punto, in fatto come in diritto, della decisione impugnata, resa dall’organo inferiore. In particolare esso deve avere competenza per esaminare tutte le pertinenti questioni di fatto e di diritto che si pongono nella controversia di cui si trova investito (Chevrol c. Francia, n. 49636/99, § 77, CEDU 2003-III; Silvester’s Horeca Service c. Belgio, n. 47650/99, § 27, 4 marzo 2004; e Menarini Diagnostics S.r.l., sopra citata, § 59).

140.  Nel caso di specie i ricorrenti hanno avuto la possibilità, di cui si sono avvalsi, di contestare le sanzioni inflitte dalla CONSOB dinanzi alla corte d’appello di Torino e di ricorrere per cassazione avverso le sentenze emesse da quest’ultima. Resta da stabilire se queste due autorità giudiziarie fossero «organi giudiziari dotati di piena giurisdizione» ai sensi della giurisprudenza della Corte.

a)  Argomenti delle parti

i.  I ricorrenti

141.  Secondo i ricorrenti, i procedimenti che si sono svolti successivamente dinanzi alla corte d’appello di Torino e alla Corte di cassazione non hanno posto rimedio alle carenze del procedimento dinanzi alla CONSOB. Anche se la corte d’appello può essere considerata un organo dotato di piena giurisdizione, rimane il fatto che ha tenuto le sue udienze in maniera non pubblica. Ora, una deroga al principio della pubblicità delle udienze può essere giustificata soltanto in circostanze eccezionali (si veda, in particolare, Vernes c. Francia, n. 30183/06, § 30, 20 gennaio 2011).

142.  I ricorrenti affermano in particolare che la procedura dinanzi alla corte d’appello non era una procedura ordinaria, ma una procedura speciale in cui l’udienza si è svolta in camera di consiglio. Per sostenere la loro affermazione, essi hanno prodotto alcune dichiarazioni firmate dal dirigente la cancelleria della prima sezione civile della corte d’appello di Torino le quali certificano che le udienze del procedimento che li riguarda si sono svolte in camera di consiglio. Nel corso di queste udienze, soltanto i legali degli imputati erano presenti; i ricorrenti non hanno ricevuto la convocazione e la corte d’appello non ha interrogato né gli imputati né alcun testimone, non avrebbe eseguito alcun atto istruttorio e si sarebbe limitata a ratificare gli elementi raccolti dalla CONSOB. È vero che il Governo ha prodotto alcune dichiarazioni del presidente della prima sezione della corte d’appello in cui si afferma che le udienze in questione sono state in realtà pubbliche (paragrafo 145 infra), comunque sia queste dichiarazioni non possono contraddire il contenuto di atti pubblici, quali le sentenze emesse dalla corte d’appello, che indicano che era stata disposta la comparizione delle parti in camera di consiglio e che fanno fede fino a prova di falso. Ora, il Governo non ha avviato un procedimento per falso e in ogni caso il presidente della prima sezione della corte d’appello si è limitato a riferire il contenuto di affermazioni altrui senza attestare fatti di cui avrebbe avuto conoscenza diretta.

143.  E’ vero che una udienza pubblica si è svolta dinanzi alla Corte di cassazione. Tuttavia, quest’ultima non è un organo dotato di piena giurisdizione, perché non esamina il merito della causa e non deve giudicare sulla fondatezza dell’accusa o sulla pertinenza e sulla forza degli elementi di prova. Essa ha dunque rigettato qualsiasi argomento dei ricorrenti volto a contestare la valutazione delle prove fatte dalla CONSOB o dalla corte d’appello.

ii.  Il Governo

144.  Il Governo rileva che i ricorrenti hanno avuto accesso a un procedimento orale e pubblico dinanzi alla corte d’appello di Torino, che ha riesaminato nel merito tutte le prove e le informazioni raccolte dalla CONSOB sulle particolari circostanze della condotta addebitata, fatto che le ha permesso di verificare la proporzionalità delle sanzioni. La corte d’appello aveva poteri molto ampi in materia di produzione delle prove, anche d’ufficio, e poteva annullare o modificare la decisione della CONSOB. I ricorrenti avrebbero potuto chiedere l’audizione di testimoni o domandare di essere sentiti personalmente; ora, essi non hanno presentato alcuna domanda in tal senso. All’esito del procedimento giudiziario, la corte d’appello ha modificato la valutazione della CONSOB, riducendo le sanzioni inflitte per tre dei cinque ricorrenti.

145.  Il Governo sostiene che l’affermazione dei ricorrenti secondo la quale non vi sarebbe stata alcuna udienza pubblica dinanzi alla corte d’appello di Torino è falsa. In applicazione dell’articolo 23 della legge n. 689 del 1981, tutte le udienze che si sono svolte dinanzi a questa giurisdizione erano aperte al pubblico. Quanto alle dichiarazioni firmate dal dirigente la cancelleria della prima sezione della corte d’appello, prodotte dai ricorrenti (paragrafo 142 supra), il Governo sostiene che queste non rappresentassero realmente i fatti. Per contraddirle, produce cinque dichiarazioni firmate dal presidente della prima sezione della corte d’appello di Torino e dal cancelliere dirigente la stessa sezione precisando che, nelle cinque procedure riguardanti i ricorrenti e aventi ad oggetto la contestazione delle sanzioni inflitte dalla CONSOB, soltanto le udienze del subprocedimento cautelare si sono svolte in camera di consiglio, in quanto tutte le altre udienze sono state pubbliche. In queste dichiarazioni, datate 6 settembre 2013, il presidente della prima sezione della corte d’appello indica che all’epoca dei fatti egli non era assegnato a tale organo giudiziario (ha assunto l’incarico il 1° marzo 2013), ma che ha potuto ricostruire lo svolgimento dei fatti esaminando i registri e i fascicoli e sulla base di informazioni direttamente fornite dal personale della cancelleria e dai magistrati che si erano occupati delle cause in questione. In particolare, le cause dei ricorrenti erano state iscritte al ruolo della volontaria giurisdizione. In seguito, la legge n. 62 del 18 aprile 2005 aveva indicato che i procedimenti relativi all’articolo 187 del decreto legislativo n. 58 del 1998 si sarebbero dovuti svolgere nelle forme previste dall’articolo 23 della legge n. 689 del 1981 (che non prevede lo svolgimento di un’udienza in camera di consiglio). Anche se le cause dei ricorrenti erano rimaste iscritte al ruolo della volontaria giurisdizione, la procedura seguita è stata quella voluta dalla legge n. 62 del 2005.

146.  Basandosi su queste dichiarazioni, il Governo afferma che il 6 marzo 2007, i ricorrenti hanno chiesto la sospensione dell’esecuzione della decisione della CONSOB (articolo 187 septies punto 5 del decreto legislativo n. 58 del 1998). Nell’ambito di questo subprocedimento cautelare, si è svolta un’udienza il 28 marzo 2007, tenuta in camera di consiglio come previsto dagli articoli 283 e 351 del codice di procedura civile. In seguito, si è svolta un’udienza sul merito l’11 luglio 2007; conformemente all’articolo 23 della legge n. 689 del 1981, questa udienza è stata pubblica. Peraltro, due delle sentenze emesse dalla corte d’appello (in particolare, quelle a carico di Marrone e della società Giovanni Agnelli S.a.s.) fanno riferimento alla «udienza pubblica» fissata all’11 luglio 2007. Anche le udienze successive aventi ad oggetto il merito delle cause (ossia, quelle del 7 novembre e del 5 dicembre 2007) sono state pubbliche.

147.  Il Governo sottolinea anche che i ricorrenti hanno avuto la possibilità di ricorrere per cassazione, e che la causa è stata allora rimessa alle sezioni unite. Dinanzi queste ultime, si è svolta una procedura orale e pubblica pienamente rispettosa dei diritti della difesa e che verteva sia sull’interpretazione e l’applicazione della legge materiale o procedurale (errores in iudicando et in procedendo) sia sulla coerenza e sulla sufficienza dei motivi sostenuti dalla corte d’appello. Il Governo si riferisce, in particolare, alla causa Menarini Diagnostics S.r.l., sentenza sopra citata, dove la Corte ha concluso per la non violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione osservando che la sanzione amministrativa controversa era stata oggetto, da parte del tribunale amministrativo e del Consiglio di Stato, di un controllo di piena giurisdizione. Secondo il Governo, la stessa conclusione dovrebbe a maggior ragione imporsi nel caso di specie, dove i poteri della corte d’appello erano più ampi di quelli dei tribunali amministrativi e del Consiglio di Stato.

b)  Valutazione della Corte

148.  La Corte nota innanzitutto che nel caso di specie non vi sono elementi che permettano di dubitare dell’indipendenza e della imparzialità della corte d’appello di Torino. I ricorrenti peraltro non sollevano contestazioni in tal senso.

149.  La Corte osserva per di più che la corte d’appello era competente per giudicare sulla esistenza, in fatto e in diritto, dell’illecito definito dall’articolo 187 ter del decreto legislativo n. 58 del 1998, e aveva il potere di annullare la decisione della CONSOB. Essa doveva anche valutare la proporzionalità delle sanzioni inflitte rispetto alla gravità del comportamento ascritto. Di fatto, essa ha peraltro ridotto l’ammontare delle sanzioni pecuniarie e la durata della interdizione pronunciata per alcuni dei ricorrenti (paragrafi 30 e 31 supra) ed ha esaminato le loro diverse affermazioni di ordine fattuale o giuridico (paragrafi 32-36 supra). La sua competenza non si limitava dunque ad un semplice controllo di legalità.

150.  È vero che i ricorrenti contestano il fatto che la corte d’appello non ha interrogato i testimoni (paragrafo 142 supra). Tuttavia, essi non indicano alcuna norma procedurale che avrebbe impedito tale interrogatorio. Per di più, la richiesta di audizione dei testimoni formulata dal sig. Grande Stevens nella sua memoria del 25 settembre 2007 non indicava né i nomi delle persone che l’interessato desiderava fossero convocate né le circostanze sulle quali queste ultime avrebbero dovuto testimoniare. Inoltre, la richiesta era stata formulata in maniera puramente eventuale, dovendo essere esaminata unicamente nel caso in cui la corte d’appello avesse considerato insufficienti o non utilizzabili i documenti già inseriti nel fascicolo. Lo stesso si può dire per la domanda formulata dal sig. Marrone, che prospettava la possibilità di ascoltare i testimoni, di cui citava le dichiarazioni, soltanto «se necessario» (paragrafi 29 supra). Ad ogni modo, dinanzi alla Corte i ricorrenti non hanno indicato con precisione i testimoni la cui audizione sarebbe stata rifiutata dalla corte d’appello e le ragioni per le quali la loro testimonianza sarebbe stata decisiva per l’esito delle loro cause. Non hanno neanche sostenuto il loro motivo di ricorso relativo all’articolo 6 § 3 d) della Convenzione.

151.  Alla luce di quanto esposto, la Corte considera che la corte d’appello di Torino era certamente un «organo dotato di piena giurisdizione» ai sensi della sua giurisprudenza (si veda, mutatis mutandis, Menarini Diagnostics S.r.l., sopra citata, §§ 60-67). I ricorrenti stessi non sembrano contestarlo (paragrafo 141 supra).

152.  Resta da stabilire se le udienze sul merito svoltesi dinanzi alla corte d’appello di Torino siano state pubbliche, questione di fatto sulla quale le affermazioni delle parti divergono (paragrafi 142 e 145-146 supra). Al riguardo, la Corte non può che richiamare le sue conclusioni sulla necessità, nel caso di specie, di un’udienza pubblica (paragrafo 122 supra).

153.  La Corte nota che le parti hanno prodotto documenti contraddittori sul modo in cui si sarebbero svolte le udienze oggetto di contestazione; secondo le dichiarazioni scritte del dirigente la cancelleria della corte d’appello di Torino, prodotte dai ricorrenti, queste udienze si sarebbero svolte in camera di consiglio, mentre secondo le dichiarazioni scritte del presidente della corte d’appello, prodotte dal Governo, soltanto le udienze relative al subprocedimento cautelare si sarebbero svolte in camera di consiglio, tutte le altre udienze sarebbero state pubbliche. La Corte non è affatto in grado di dire quale delle due versioni sia vera. Comunque sia, davanti a queste due versioni, entrambe plausibili e provenienti da fonti qualificate, ma opposte, la Corte ritiene opportuno attenersi al contenuto degli atti ufficiali del procedimento. Ora, come i ricorrenti hanno giustamente sottolineato (paragrafo 142 supra), le sentenze emesse dalla corte d’appello indicano che queste ultime si erano svolte in camera di consiglio o che era stata disposta la comparizione delle parti in camera di consiglio (paragrafo 30 in fine supra).

154.  Facendo fede a queste menzioni, la Corte giunge pertanto alla conclusione che dinanzi alla corte d’appello di Torino non si sia svolta alcuna udienza pubblica.

155.  È vero che un’udienza pubblica si è svolta dinanzi alla Corte di cassazione. Tuttavia, quest’ultima non era competente per esaminare il merito della causa, accertare i fatti e valutare gli elementi di prova; il Governo peraltro non lo contesta. La Corte di cassazione non poteva dunque essere considerata come un organo dotato di piena giurisdizione ai sensi della giurisprudenza della Corte.

4.  Sulle altre affermazioni dei ricorrenti

156.  I ricorrenti affermano anche che i comunicati stampa del 24 agosto 2005 contenevano informazioni veritiere e che la loro condanna nonostante le prove a discolpa contenute nel fascicolo era stata il risultato di una «presunzione di colpevolezza» nei loro confronti. Secondo loro, non vi era alcun obbligo di riferire in questi comunicati su semplici progetti o accordi ipotetici non ancora perfezionati. Del resto, nelle istruzioni pubblicate dalla CONSOB, veniva precisato che le informazioni che potevano essere diffuse al pubblico dovevano essere legate a circostanze reali o ad un evento certo, e non a semplici ipotesi su situazioni future ed eventuali, che non avevano interesse per i mercati. Ora, alla data della diffusione dei comunicati stampa, non era stata presa alcuna iniziativa concreta dalle società ricorrenti rispetto alla scadenza del prestito convertibile. All’epoca, l’ipotesi prospettata era incerta perché rimaneva subordinata all’approvazione da parte della Merrill Lynch International Ltd e all’eventuale assenza di obbligo di lanciare una OPA. Un funzionario della CONSOB aveva partecipato alla redazione di uno dei comunicati, e il testo di quest’ultimo aveva ricevuto il preventivo consenso della CONSOB.

157.  Nonostante ciò, i ricorrenti ritengono che la CONSOB avrebbe formulato le sue accuse partendo dalla presunzione arbitraria secondo la quale l’accordo modificativo del contratto d’equity swap fosse stato concluso prima del 24 agosto 2005, e ciò nonostante mancassero prove scritte o orali tali da corroborare questa presunzione. Secondo i ricorrenti, la loro condanna è stata pronunciata senza alcuna prova in tal senso.

158.  La Corte rammenta che non le spetta esaminare gli errori di fatto o di diritto che si presumono commessi da un organo giudiziario interno, a meno che e nella misura in cui questi errori abbiano potuto ledere i diritti e le libertà salvaguardati dalla Convenzione (Khan c. Regno Unito, n. 35394/97, § 34, CEDU 2000-V), e che in linea di principio spetta alle autorità giudiziarie nazionali valutare i fatti e interpretare e applicare il diritto interno (Pacifico c. Italia (dec.), n. 17995/08, § 62, 20 novembre 2012). Ora, la Corte ha esaminato le decisioni interne contestate dai ricorrenti senza rilevare segni di arbitrio che possano costituire un diniego di giustizia o un evidente abuso (si veda, a contrario, De Moor c. Belgio, 23 giugno 1994, § 55 in fine, serie A n. 292 A, e Barać e altri c. Montenegro, n. 47974/06, § 32, 13 dicembre 2011).

159.  La Corte rammenta anche che il principio della presunzione d’innocenza richiede, tra l’altro, che nell’adempiere alle loro funzioni i membri del tribunale non partano dall’idea preconcetta che l’imputato abbia commesso l’atto contestato; l’onere della prova è a carico dell’accusa e il dubbio è a favore dell’accusato. Inoltre, spetta all’autorità che procede indicare all’interessato ciò che gli verrà addebitato – al fine di dargli modo di preparare e presentare la sua consequenziale difesa – e di offrire prove sufficienti per poter basare una dichiarazione di colpevolezza (si veda, in particolare Barberà, Messegué e Jabardo c. Spagna, 6 dicembre 1988, § 77, serie A n. 146; John Murray c. Regno Unito, 8 febbraio 1996, § 54, Recueil 1996-I; e Telfner c. Austria, n. 33501/96, § 15, 20 marzo 2001).

160.  Nel caso di specie la condanna degli interessati è stata pronunciata sulla base di un insieme di indizi giudicati precisi, gravi e concordanti prodotti dall’ufficio IT, e che facevano pensare che, all’epoca della diffusione dei comunicati stampa del 24 agosto 2005, l’accordo che modificava l’equity swap fosse stato concluso o stava per essere concluso. In tali circostanze, non può essere rilevata alcuna violazione del principio della presunzione di innocenza (si veda, mutatis mutandis, Previti c. Italia (dec.), n. 45291/06, § 250, 8 dicembre 2009).

6.  Conclusione

161.  Alla luce di quanto esposto, la Corte ritiene che, anche se il procedimento dinanzi alla CONSOB non ha soddisfatto le esigenze di equità e di imparzialità oggettiva dall’articolo 6 della Convenzione, i ricorrenti hanno beneficiato del successivo controllo da parte di un organo indipendente e imparziale dotato di piena giurisdizione, in questo caso la corte d’appello di Torino. Tuttavia, quest’ultima non ha tenuto un’udienza pubblica, fatto che, nel caso di specie, ha costituito una violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione.

III.  SULLA DEDOTTA VIOLAZIONE DELL’ARTICOLO 6 § 3 a) E c) DELLA CONVENZIONE

162.  Invocando l’articolo 6 § 3 a) e c) della Convenzione, il sig. Grande Stevens lamenta il fatto che l’accusa formulata a suo carico sia stata modificata a sua insaputa.

163.  Il Governo contesta tale affermazione.

164.  La Corte osserva che questo motivo di ricorso è collegato a quello sopra esaminato e deve essere dichiarato anch’esso ricevibile.

A.  Argomenti delle parti

1.  Il sig. Grande Stevens

165.  Rammentando che in un primo momento era stato accusato e condannato dalla CONSOB in qualità di amministratore della Exor, e che la corte d’appello di Torino ha successivamente riconosciuto che egli non aveva tale qualità (paragrafo 36 supra), il sig. Grande Stevens lamenta che la corte d’appello abbia ritenuto che egli potesse essere comunque punito a causa del parere da lui emesso in qualità di avvocato su richiesta delle società ricorrenti. Pertanto, l’accusa sarebbe stata modificata senza che il sig. Grande Stevens abbia avuto la possibilità di difendersi rispetto al nuovo «fatto» che la corte d’appello ha preso in considerazione come elemento materiale del reato.

2.  Il Governo

166.  Il Governo osserva che, dinanzi alla CONSOB, il sig. Grande Stevens è stato accusato di aver partecipato alla decisione che ha portato alla redazione dei comunicati stampa. L’indicazione della sua qualità di direttore della Exor serviva unicamente a far presente che faceva parte dell’alta dirigenza della società e che, di conseguenza, il suo comportamento poteva essere attribuito a quest’ultima. Pertanto, la corte d’appello ha giustamente ritenuto che tale erronea indicazione non avesse alcun effetto sulla regolarità della sanzione, osservando che la qualità attribuita al sig. Grande Stevens era ininfluente dal punto di vista legale in quanto l’illecito a lui ascritto poteva essere commesso da «chiunque». La corte d’appello di Torino non avrebbe dunque modificato l’accusa nei suoi confronti.

B.  Valutazione della Corte

167.  La Corte rammenta che dalle disposizioni dell’articolo 6 § 3 a) della Convenzione si deduce la necessità che l’«accusa» sia notificata all’interessato con estrema attenzione. L’atto d’accusa svolge un ruolo determinante nell’ambito dell’azione penale: a decorrere dalla sua notifica, la persona accusata viene ufficialmente avvisata per iscritto della base giuridica e fattuale delle accuse formulate nei suoi confronti (Kamasinski c. Austria, 19 dicembre 1989, § 79, serie A n. 168). Peraltro, l’articolo 6 § 3 a) riconosce all’accusato il diritto di essere informato non solo del motivo dell’accusa, ossia dei fatti materiali posti a suo carico e sui quali si basa l’imputazione, ma anche, in maniera dettagliata, della qualificazione giuridica attribuita a tali fatti (Pélissier e Sassi c. Francia [GC], n. 25444/94, § 51, CEDU 1999-II).

168.  La portata di tale disposizione deve essere valutata alla luce del diritto più generale a un processo equo sancito dal paragrafo 1 dell’articolo 6 della Convenzione (Sadak e altri c. Turchia (n. 1), nn. 29900/96, 29901/96, 29902/96 e 29903/96, § 49, CEDU 2001 VIII). La Corte considera che, in materia penale, una notifica precisa e completa all’accusato degli elementi a suo carico – compresa la qualificazione giuridica che il giudice potrebbe applicare nei suoi confronti – sia una condizione essenziale per l’equità del procedimento (Pélissier e Sassi, sopra citata, § 52).

169.  Esiste peraltro un collegamento tra i punti a) e b) dell’articolo 6 § 3, e il diritto di essere informato della natura e del motivo dell’accusa deve essere esaminato alla luce del diritto per l’accusato di preparare la sua difesa (Pélissier e Sassi, sopra citata, § 54).

170.  Nel caso di specie, la Corte osserva che le doglianze del sig. Grande Stevens sono inerenti al fatto che la CONSOB aveva indicato che egli aveva agito nella sua qualità di amministratore della Exor e che la corte d’appello di Torino, pur riconoscendo che egli non aveva tale qualità, ha comunque confermato la sua condanna (paragrafi 29 e 36 supra).

171.  La Corte osserva che la qualità di amministratore di una società quotata in borsa non rientra tra gli elementi costitutivi dell’illecito ascritto al sig. Grande Stevens, in quanto l’articolo 187 ter del decreto legislativo n. 58 del 1998 punisce «chiunque» diffonde informazioni false o fuorvianti che forniscano o siano suscettibili di fornire indicazioni false ovvero fuorvianti in merito agli strumenti finanziari (paragrafo 20 supra). La corte d’appello di Torino lo ha giustamente sottolineato, ritenendo che la questione che si poneva non fosse stabilire se l’interessato era uno degli amministratori della Exor, ma se aveva partecipato al processo decisionale che aveva condotto alla pubblicazione del comunicato stampa in questione (paragrafo 36 supra).

172.  Di conseguenza, la qualità di amministratore della Exor non faceva parte dell’«accusa» notificata al sig. Grande Stevens, e non costituiva nemmeno un «elemento intrinseco dell’accusa iniziale» che l’accusato avrebbe dovuto conoscere fin dall’inizio del procedimento (si veda, a contrario, De Salvador Torres c. Spagna, 24 ottobre 1996, § 33, Recueil 1996-V).

173.  Peraltro, nella misura in cui si potrebbe ritenere che la qualità di amministratore della Exor fosse uno degli elementi utilizzati dalle autorità nazionali per valutare se il sig. Grande Stevens si fosse reso colpevole dell’illecito ascrittogli, si deve osservare che l’interessato è stato informato in tempo utile del fatto che gli era stata attribuita tale qualità, e ha potuto presentare in merito argomenti fattuali e giuridici sia dinanzi alla CONSOB che dinanzi alla corte d’appello (paragrafo 29 supra; si veda, mutatis mutandis, D.C. c. Italia (dec.), n. 55990/00, 28 febbraio 2002, e Dallos c. Ungheria, n. 29082/95, §§ 49-53, 1° marzo 2001). E quest’ultima alla fine ha riconosciuto che il sig. Grande Stevens non aveva tale qualità (paragrafo 36 supra).

174.  Pertanto, la Corte non constata alcuna violazione del diritto, riconosciuto al ricorrente dall’articolo 6 § 3 a) e b) della Convenzione, di essere informato della natura e dei motivi dell’accusa formulata nei suoi confronti e di disporre del tempo e delle condizioni necessarie per preparare la sua difesa.

175.  Infine, per quanto riguarda il motivo di ricorso sollevato dal sig. Grande Stevens ai sensi del punto c) del terzo paragrafo dell’articolo 6, la Corte non comprende in che modo l’interessato sarebbe stato privato del suo diritto di difendersi personalmente o con l’assistenza di un difensore di fiducia.

IV.  SULLA DEDOTTA VIOLAZIONE DELL’ARTICOLO 1 DEL PROTOCOLLO N. 1

176.  I ricorrenti lamentano una violazione del loro diritto al rispetto dei loro beni, sancito dall’articolo 1 del Protocollo n. 1.

Tale disposizione recita:

«Ogni persona fisica o giuridica ha diritto al rispetto dei suoi beni. Nessuno può essere privato della sua proprietà se non per causa di pubblica utilità e nelle condizioni previste dalla legge e dai principi generali del diritto internazionale.

Le disposizioni precedenti non portano pregiudizio al diritto degli Stati di porre in vigore le leggi da essi ritenute necessarie per disciplinare l’uso dei beni in modo conforme all’interesse generale o per assicurare il pagamento delle imposte o di altri contributi o delle ammende.»

177.  Il Governo contesta le affermazioni dei ricorrenti.

178.  La Corte osserva che questo motivo di ricorso è legato a quelli sopra esaminati e pertanto deve essere dichiarato anch’esso ricevibile.

A.  Argomenti delle parti

1.  I ricorrenti

179.  I ricorrenti ritengono che le violazioni della «legalità convenzionale» da essi denunciate dal punto di vista dell’articolo 6 della Convenzione abbiano inficiato la legalità delle sanzioni loro inflitte, e dunque delle misure che hanno leso il loro diritto al rispetto dei loro beni. Rammentano che nella giurisprudenza della Corte numerosi esempi mostrano che una violazione dell’articolo 1 del Protocollo n. 1 può derivare dalla violazione di altre disposizioni della Convenzione (si vedano, in particolare, Luordo c. Italia, n. 32190/96, 17 luglio 2003; Sud Fondi S.r.l. e altri c. Italia, n. 75909/01, 20 gennaio 2009; e Centro Europa 7 S.r.l. e Di Stefano c. Italia [GC], n. 38433/09, 7 giugno 2012).

180.  Poiché le sanzioni in questione non hanno una base legale sufficiente, sarebbe anche venuto meno il giusto equilibrio che deve essere garantito in materia di regolamentazione dell’uso dei beni. Al riguardo, i ricorrenti osservano che, secondo le istruzioni impartite dalla stessa CONSOB, non vi era l’obbligo di informare il pubblico su ipotetici accordi non ancora perfezionati.

2.  Il Governo

181.  Il Governo sostiene che i ricorrenti non sono stati puniti per una omissione e che le sanzioni inflitte erano previste da una legge – ossia l’articolo 187 ter del decreto legislativo n. 58 del 1998 – accessibile e di applicazione prevedibile. I ricorrenti, operatori finanziari professionisti, erano perfettamente a conoscenza della natura falsa e fuorviante dei comunicati stampa in questione; non sarebbe ragionevole pensare che essi non fossero al corrente delle iniziative adottate per permettere alla Exor di rimanere l’azionista di controllo della FIAT. Inoltre, tali sanzioni erano proporzionate alla gravità dell’illecito, hanno mantenuto un giusto equilibrio tra l’interesse pubblico e l’interesse privato e sono state inflitte all’esito di un lungo procedimento amministrativo e giudiziario che ha offerto garanzie sufficienti contro ogni abuso. La CONSOB e le autorità giudiziarie hanno tenuto debitamente conto della natura della condotta contestata, del danno provocato e dei guadagni ottenuti, nonché della posizione, del grado di partecipazione e delle intenzioni dei ricorrenti.

182.  Il Governo sottolinea che il comportamento dei ricorrenti ha seriamente compromesso l’integrità dei mercati finanziari e la fiducia del pubblico nella sicurezza delle transazioni. Inoltre, il reato è stato commesso nell’ambito di un’operazione finanziaria straordinaria e di enorme portata, costata più di 500.000.000 EUR e inerente al controllo di uno dei maggiori costruttori automobilistici mondiali.

B.  Valutazione della Corte

1.  Sull’esistenza di un’ingerenza e sulla norma applicabile

183.  La Corte osserva che i ricorrenti sono stati condannati dalla CONSOB e dalla corte d’appello di Torino al pagamento di pesanti sanzioni pecuniarie, comprese tra 500.000 e 3.000.000 EUR (paragrafi 25 e 30 supra), il che si traduce in una ingerenza nel diritto degli interessati al rispetto dei beni. Peraltro, ciò non viene messo in discussione dal Governo.

184.  La Corte rammenta che l’articolo 1 del Protocollo n. 1 contiene tre norme distinte: la prima, contenuta nella prima frase del primo comma e avente carattere generale, enuncia il principio del rispetto della proprietà; la seconda, contenuta nella seconda frase dello stesso comma, prevede la privazione della proprietà subordinandola ad alcune condizioni; la terza, prevista nel secondo comma, riconosce agli Stati contraenti il potere di disciplinare l’uso dei beni, conformemente all’interesse generale o per assicurare il pagamento delle imposte o di altri contributi o delle sanzioni pecuniarie (si vedano, tra le altre, National & Provincial Building Society, Leeds Permanent Building Society e Yorkshire Building Society c. Regno Unito, 23 ottobre 1997, § 78, Recueil 1997-VII).

185.  La Corte ritiene che le sanzioni pecuniarie inflitte ai ricorrenti rientrino nelle previsioni del secondo comma dell’articolo 1, in particolare nel diritto dello Stato di disciplinare l’uso dei beni per assicurare il pagamento delle sanzioni pecuniarie.

2.  Sulla legalità dell’ingerenza

186.  La Corte rammenta che l’articolo 1 del Protocollo n. 1 esige, innanzitutto e soprattutto, che un’ingerenza della pubblica autorità nel godimento del diritto al rispetto dei beni sia legale (Varesi e altri c. Italia (dec.), n. 49407/08, § 36, 12 marzo 2013): la seconda frase del primo comma di tale articolo autorizza una privazione della proprietà solo «nelle condizioni previste dalla legge»; il secondo comma riconosce agli Stati il diritto di disciplinare l’uso dei beni adottando «leggi» (OAO Neftyanaya Kompaniya Yukos c. Russia, n. 14902/04, § 559, 20 settembre 2011). Inoltre, la preminenza del diritto, uno dei principi fondamentali in una società democratica, è inerente al complesso degli articoli della Convenzione (Iatridis c. Grecia [GC], n. 31107/96, § 58, CEDU 1999-II, e Capital Bank AD c. Bulgaria, n. 49429/99, § 133, CEDU 2005 XII (estratti)).

187.  Per rispondere a questa esigenza di legalità, il diritto interno deve offrire un certo margine di protezione contro le ingerenze arbitrarie delle pubbliche autorità nel diritto al rispetto dei beni (Capital Bank AD, sopra citata, § 134; Zlínsat, spol. s r.o. c. Bulgaria, n. 57785/00, § 98, 15 giugno 2006; Družstevní Záložna Pria e altri c. Repubblica ceca, n. 72034/01, § 89, 31 luglio 2008; e Forminster Enterprises Limited c. Repubblica ceca, n. 38238/04, § 69, 9 ottobre 2008).

188.  Nonostante il silenzio dell’articolo 1 del Protocollo n. 1 in materia di esigenze procedurali, le procedure applicabili nel caso di specie devono offrire alla persona interessata un’adeguata opportunità di esporre i suoi argomenti alle autorità competenti allo scopo di contestare effettivamente le misure che ledono i diritti sanciti da tale disposizione (Sovtransavto Holding c. Ucraina, n. 48553/99, § 96, CEDU 2002 VII; Anheuser-Busch Inc. c. Portogallo [GC], n. 73049/01, § 83, CEDU 2007-I; J.A. Pye (Oxford) Ltd e J.A. Pye (Oxford) Land Ltd c. Regno Unito [GC], n. 44302/02, § 57, CEDU 2007-III; Ucraina Tyumen c. Ucraina, n. 22603/02, § 51, 22 novembre 2007; Zehentner c. Austria, n. 20082/02, § 75, 16 luglio 2009; e Shesti Mai Engineering OOD e altri c. Bulgaria, n. 17854/04, § 79, 20 settembre 2011; si vedano anche, mutatis mutandis, Al Nashif c. Bulgaria, n. 50963/99, § 123, 20 giugno 2002). Per assicurarsi che tale condizione sia rispettata, si devono valutare le procedure applicabili da un punto di vista generale (si vedano Jokela c. Finlandia, n. 28856/95, § 45, CEDU 2002-IV, e Družstevní Záložna Pria e altri, sopra citata, § 89).

189.  La Corte osserva che le parti sono d’accordo nel riconoscere che le sanzioni pecuniarie inflitte ai ricorrenti avevano una base legale sufficientemente chiara ed accessibile nel diritto italiano, ossia l’articolo 187 ter del decreto legislativo n. 58 del 24 febbraio 1998 (paragrafo 20 supra). Tale disposizione sanziona, tra l’altro, chiunque diffonde informazioni false o fuorvianti a proposito di strumenti finanziari. Secondo le autorità nazionali, i ricorrenti hanno avuto un comportamento di questo tipo quando hanno emesso i comunicati stampa descritti ai paragrafi 13 e 14 supra.

190.  La Corte osserva per di più che le sanzioni pecuniarie in questione sono state inflitte dalla CONSOB all’esito di un procedimento nel corso del quale i ricorrenti hanno potuto presentare le loro difese. Anche se il procedimento dinanzi alla CONSOB non ha soddisfatto tutte le esigenze dell’articolo 6 della Convenzione, come precedentemente osservato (paragrafo 151 supra), i ricorrenti hanno successivamente avuto accesso a un organo giudiziario di piena giurisdizione, ossia la corte d’appello di Torino, competente ad esaminare tutte le questioni di fatto e di diritto inerenti all’esito della loro causa. Per di più, hanno potuto presentare ricorso per cassazione contro le sentenze della corte d’appello (paragrafo 37 supra) disponendo in tal modo di un controllo supplementare di legalità.

191.  Stando così le cose, la Corte non può concludere che i ricorrenti non hanno disposto di garanzie procedurali adeguate contro l’arbitrio o non hanno avuto la possibilità di contestare le misure che hanno leso il loro diritto al rispetto dei loro beni.

192.  È vero che la Corte ha appena concluso che vi è stata violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione per il fatto che le udienze dinanzi alla corte d’appello di Torino non sono state pubbliche (paragrafo 161 supra). Tuttavia, questa circostanza non può, da sola, inficiare la legalità delle misure controverse o essere costitutiva di una inosservanza degli obblighi positivi derivanti per lo Stato dall’articolo 1 del Protocollo n. 1.

193.  Resta da stabilire se l’ingerenza fosse conforme all’interesse generale e proporzionata agli scopi legittimi perseguiti.

3.  Sulla questione di stabilire se l’ingerenza fosse conforme all’interesse generale

194.  La Corte osserva che il divieto di diffondere informazioni false o fuorvianti in merito a strumenti finanziari è volto a garantire l’integrità dei mercati finanziari e a mantenere la fiducia del pubblico nella sicurezza delle transazioni.

195.  Non vi sono dubbi per la Corte che si tratti di uno scopo di interesse generale. La Corte è consapevole dell’importanza che ha per gli Stati membri la lotta contro gli abusi di mercato e osserva che alcune norme comunitarie (ossia la direttiva 2003/6/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 28 gennaio 2003 – paragrafo 60 supra) sono volte a istituire dispositivi efficaci contro gli abusi di informazioni privilegiate e le manipolazioni di mercato.

4.  Sulla proporzionalità dell’ingerenza

196.  Resta da stabilire se le autorità abbiano, nel caso di specie, mantenuto un rapporto ragionevole di proporzionalità tra i mezzi impiegati e lo scopo perseguito, e dunque un «giusto equilibrio» tra le esigenze dell’interesse generale della collettività e quelle della tutela dei diritti fondamentali dell’individuo (Beyeler c. Italia [GC], n. 33202/96, § 107, CEDU 2000-I, e Air Canada c. Regno Unito, 5 maggio 1995, § 36, serie A n. 316-A). Questo giusto equilibrio viene rotto se la persona interessata deve sostenere un onere eccessivo e sproporzionato (Sporrong e Lönnroth c. Svezia, 23 settembre 1982, §§ 69-74, serie A n. 52, e Maggio e altri c. Italia, nn. 46286/09, 52851/08, 53727/08, 54486/08 e 56001/08, § 57, 31 maggio 2011).

197.  Nel caso di specie, avvalendosi del loro diritto di accertare i fatti, le autorità nazionali hanno ritenuto che il 24 agosto 2005, data dei comunicati stampa in questione, il piano che prevedeva la rinegoziazione del contratto di equity swap con la Merrill Lynch International Ltd esisteva ed era in corso di esecuzione, e che i ricorrenti abbiano volontariamente omesso di menzionare tale circostanza, dando in questo modo una falsa rappresentazione della situazione dell’epoca (paragrafi 27 e 35 supra).

198.  La Corte osserva che, con la conclusione dell’accordo che modificava il contratto di equity swap, la Exor ha mantenuto la sua partecipazione del 30 % nel capitale della FIAT (paragrafo 19 supra), uno dei principali costruttori automobilistici mondiali. Pertanto, la prospettiva di un’acquisizione del 28 % del capitale sociale da parte di banche è stata scartata, e con essa tutte le conseguenze che una tale acquisizione avrebbe potuto produrre sul controllo della FIAT (paragrafo 7 supra). Secondo la Corte, si trattava di questioni che rivestivano, all’epoca, un interesse fondamentale per gli investitori, e la circostanza che al riguardo siano state diffuse informazioni false o fuorvianti era indiscutibilmente grave.

199.  Pertanto, le sanzioni pecuniarie inflitte ai ricorrenti, benché severe, non sembrano sproporzionate rispetto alla condotta loro ascritta. Al riguardo, la Corte osserva che, nel fissare l’importo delle sanzioni, la CONSOB ha preso in considerazione la posizione occupata dalle persone interessate e l’esistenza di un dolo (paragrafo 27 supra) e che la corte d’appello ha ridotto le sanzioni inflitte a tre dei ricorrenti (paragrafo 30 supra). Di conseguenza, non si può considerare che le autorità interne abbiano applicato le sanzioni senza tenere conto delle circostanze particolari del caso di specie o del fatto che i ricorrenti sono stati costretti a sostenere un onere eccessivo e sproporzionato.

5.  Conclusione

200.  Alla luce di quanto sopra esposto, la Corte ritiene che le sanzioni inflitte ai ricorrenti fossero «legali» ai sensi dell’articolo 1 del Protocollo n. 1 e che costituissero misure necessarie per garantire il pagamento delle sanzioni pecuniarie.

201.  Di conseguenza non vi è stata violazione dell’articolo 1 del Protocollo n. 1.

V.  SULLA DEDOTTA VIOLAZIONE DELL’ARTICOLO 4 DEL PROTOCOLLO N. 7

202.  I ricorrenti si considerano vittime di una violazione del principio ne bis in idem, sancito dall’articolo 4 del Protocollo n. 7.

Tale disposizione recita:

«1. Nessuno può essere perseguito o condannato penalmente dalla giurisdizione dello stesso Stato per un reato per il quale è già stato assolto o condannato a seguito di una sentenza definitiva conformemente alla legge e alla procedura penale di tale Stato.

2. Le disposizioni del paragrafo precedente non impediscono la riapertura del processo, conformemente alla legge e alla procedura penale dello Stato interessato, se fatti sopravvenuti o nuove rivelazioni o un vizio fondamentale nella procedura antecedente sono in grado di inficiare la sentenza intervenuta.

3. Non è autorizzata alcuna deroga al presente articolo ai sensi dell’articolo 15 della Convenzione.»

203.  Il Governo contesta l’affermazione dei ricorrenti.

A.  Sulla ricevibilità

1.  La riserva dell’Italia relativa all’articolo 4 del Protocollo n. 7

204.  Il Governo osserva che l’Italia ha fatto una dichiarazione secondo la quale gli articoli 2 – 4 del Protocollo n. 7 si applicano solo agli illeciti, ai procedimenti e alle decisioni che la legge italiana definisce penali. La legge italiana tuttavia non definisce penali gli illeciti sanzionati dalla CONSOB. Inoltre, la dichiarazione dell’Italia sarebbe simile a quelle fatte da altri Stati (in particolare, Germania, Francia e Portogallo).

205.  I ricorrenti replicano che l’articolo 4 del Protocollo n. 7, per il quale non è prevista alcuna deroga ai sensi dell’articolo 15 della Convenzione, riguarda un diritto che rientra nella sfera nell’ordine pubblico europeo. Secondo loro, la dichiarazione fatta dall’Italia in occasione del deposito dello strumento di ratifica del Protocollo n. 7 non avrebbe la portata di una riserva ai sensi dell’articolo 57 della Convenzione, che non autorizza le riserve di carattere generale. Inoltre, la dichiarazione in questione non si ricollega a «una legge» in vigore al momento della sua formulazione e non contiene una «breve esposizione» di tale legge. Essa sarebbe dunque ininfluente per quanto riguarda gli obblighi assunti dall’Italia.

206.  La Corte osserva che il Governo afferma di avere emesso una riserva per quanto riguarda l’applicazione degli articoli 2 – 4 del Protocollo n. 7 (paragrafo 204 supra). Indipendentemente dalla questione dell’applicabilità di tale riserva, la Corte deve esaminarne la validità: in altri termini, essa deve stabilire se la riserva soddisfi le esigenze dell’articolo 57 della Convenzione (Eisenstecken c. Austria, n. 29477/95, § 28, CEDU 2000-X).
Tale disposizione recita:

«1.  Ogni Stato, al momento della firma della presente Convenzione o del deposito del suo strumento di ratifica, può formulare una riserva riguardo a una determinata disposizione della Convenzione, nella misura in cui una legge in quel momento in vigore sul suo territorio non sia conforme a tale disposizione. Le riserve di carattere generale non sono autorizzate ai sensi del presente articolo.

2.  Ogni riserva emessa in conformità al presente articolo comporta una breve esposizione della legge in questione.»

207.  La Corte rammenta che, per essere valida, una riserva deve presentare i seguenti requisiti: 1) deve essere fatta al momento in cui la Convenzione o i suoi Protocolli vengono firmati o ratificati; 2) deve riguardare leggi ben precise in vigore all’epoca della ratifica; 3) non deve essere di carattere generale; 4) deve contenere una breve esposizione della legge interessata (Põder e altri c. Estonia (dec.), n. 67723/01, CEDU 2005 VIII, e Liepājnieks c. Lettonia (dec.), n. 37586/06, § 45, 2 novembre 2010).

208.  La Corte ha avuto modo di precisare che l’articolo 57 § 1 della Convenzione esige da parte degli Stati contraenti «precisione e chiarezza», e che, chiedendo loro di presentare una breve esposizione della legge in questione, tale disposizione non enuncia un «semplice requisito formale» ma stabilisce una «condizione sostanziale» che costituisce «un elemento di prova e, allo stesso tempo, un fattore di sicurezza giuridica» (Belilos c. Svizzera, 29 aprile 1988, §§ 55 e 59, serie A n. 132; Weber c. Svizzera, 22 maggio 1990, § 38, serie A n. 177; e Eisenstecken, sopra citata, § 24).

209.  Per «riserva di carattere generale», l’articolo 57 intende in particolare una riserva redatta in termini troppo vaghi o ampi per poterne valutare con precisione il senso e il campo di applicazione. Il testo della dichiarazione deve permettere di valutare esattamente la portata dell’impegno dello Stato contraente, in particolare per quanto riguarda le categorie di controversie previste, e non deve prestarsi a diverse interpretazioni (Belilos, sopra citata, § 55).

210.  Nel caso di specie, la Corte rileva che la riserva in questione non contiene una «breve esposizione» della legge o delle leggi asseritamente incompatibili con l’articolo 4 del Protocollo n. 7. Dal testo della riserva si può dedurre che l’Italia ha inteso escludere dal campo di applicazione di tale disposizione tutti gli illeciti e le procedure che non sono qualificati come «penali» dalla legge italiana. Ciò non toglie che una riserva che non invoca né indica le disposizioni specifiche dell’ordinamento giuridico italiano che escludono alcuni illeciti o alcune procedure dal campo di applicazione dell’articolo 4 del Protocollo n. 7 non offra sufficienti garanzie che non andrà oltre le disposizioni esplicitamente escluse dallo Stato contraente (si vedano, mutatis mutandis, Chorherr c. Austria, 25 agosto 1993, § 20, serie A n. 266 B; Gradinger c. Austria, 23 ottobre 1995, § 51, serie A n. 328 C; e Eisenstecken, sopra citata, § 29; si veda anche, a contrario, Kozlova e Smirnova c. Lettonia (dec.), n. 57381/00, CEDU 2001 XI). Al riguardo, la Corte rammenta che nemmeno difficoltà pratiche notevoli nell’indicazione e nella descrizione di tutte le disposizioni interessate dalla riserva possono giustificare l’inosservanza delle condizioni dettate dall’articolo 57 della Convenzione (Liepājnieks, decisione sopra citata, § 54).

211.  Di conseguenza, la riserva invocata dall’Italia non soddisfa le esigenze dell’articolo 57 § 2 della Convenzione. Questa conclusione è sufficiente per determinare la nullità della riserva, senza che sia necessario esaminare se siano state rispettate le altre condizioni formulate nell’articolo 57 (si veda, mutatis mutandis, Eisenstecken, sopra citata, § 30).

2.  Altri motivi di irricevibilità

212.  La Corte constata che questo motivo di ricorso non è manifestamente infondato ai sensi dell’articolo 35 § 3 a) della Convenzione e non incorre in altri motivi di irricevibilità. È dunque opportuno dichiararlo ricevibile.

B.  Sul merito

1.  Argomenti delle parti

a)  I ricorrenti

213.  I ricorrenti osservano che hanno subito una sanzione penale all’esito del procedimento dinanzi alla CONSOB, e che sono stati oggetto di un’azione penale per gli stessi fatti.

214.  Per quanto riguarda la questione di stabilire se il procedimento dinanzi alla CONSOB e il procedimento penale fossero relativi allo stesso «illecito», i ricorrenti rammentano i principi enunciati dalla Grande Camera nella causa Sergueï Zolotoukhine c. Russia ([GC], n. 14939/03, 10 febbraio 2009), in cui la Corte ha concluso affermando che è vietato perseguire una persona per un secondo «illecito» quando quest’ultimo è basato su fatti identici o fatti che sono in sostanza gli stessi. Secondo i ricorrenti, è proprio ciò che si è verificato nel caso di specie.
Al riguardo, i ricorrenti rammentano che, se è vero che la CGUE ha precisato che l’articolo 50 della Carta dei diritti fondamentali non si opponeva al fatto che uno Stato membro imponesse in momenti diversi, per un unico e medesimo insieme di fatti di inosservanza di obblighi dichiarativi in materia di imposta sul valore aggiunto, una sanzione fiscale e una sanzione penale, la condizione era comunque che la prima sanzione non fosse di natura penale (si veda Åklagaren c. Hans Åkerberg Fransson, sentenza sopra citata, punto 1 del dispositivo); invece, secondo loro, tale condizione non sussiste nel caso di specie, poiché nonostante la loro qualificazione formale nel diritto italiano, le sanzioni comminate dalla CONSOB sarebbero proprio di natura penale secondo la giurisprudenza della Corte.

b)  Il Governo

215.  Facendo riferimento agli argomenti esposti dal punto di vista dell’articolo 6 della Convenzione, il Governo sostiene anzitutto che il procedimento dinanzi alla CONSOB non riguardava una «accusa in materia penale» e che la decisione della CONSOB non era di natura «penale».

216.  Peraltro, il diritto dell’Unione europea ha espressamente autorizzato il ricorso a una doppia sanzione (amministrativa e penale) nell’ambito della lotta contro le condotte abusive sui mercati finanziari. Un tale ricorso costituirebbe una tradizione costituzionale comune agli Stati membri, in particolare in ambiti quali la tassazione, le politiche ambientali e la sicurezza pubblica. Tenuto conto di ciò, e del fatto che alcuni Stati non hanno ratificato il Protocollo n. 7 o hanno emesso dichiarazioni a proposito dello stesso, sarebbe lecito considerare che la Convenzione non garantisce il principio ne bis in idem come fa invece per quanto riguarda altri principi fondamentali. Pertanto, non sarebbe opportuno ritenere che l’imposizione di una sanzione amministrativa definitiva impedisca l’avvio di un’azione penale. Il Governo fa riferimento, su questo punto, all’opinione espressa dinanzi alla CGUE dall’avvocato generale nelle sue conclusioni del 12 giugno 2012 sulla causa Åklagaren c. Hans Åkerberg Fransson, sopra citata.

217.  In ogni caso, il procedimento penale pendente nei confronti dei ricorrenti non riguarderebbe lo stesso fatto che è stato sanzionato dalla CONSOB. In effetti, vi sarebbe una differenza netta tra gli illeciti previsti rispettivamente dagli articoli 187 ter e 185 del decreto legislativo n. 58 del 1998, in quanto solo il secondo esige l’esistenza di un dolo (non essendo sufficiente una semplice negligenza) e della idoneità delle informazioni false o fuorvianti diffuse a produrre un’alterazione significativa dei mercati finanziari. Peraltro, solo il procedimento penale può portare a infliggere pene privative della libertà. Il Governo fa riferimento alla causa R.T. c. Svizzera ((dec.), n. 31982/96, 30 maggio 2000), in cui la Corte ha precisato che il fatto che due diverse autorità (una amministrativa e l’altra penale) infliggano sanzioni non è incompatibile con l’articolo 4 del Protocollo n. 7. A questo riguardo, la circostanza che una stessa condotta possa violare contemporaneamente l’articolo 187 ter e l’articolo 185 del decreto legislativo n. 58 del 1998 non sarebbe pertinente, in quanto si tratterebbe di una caso tipico di concorso formale di reati, caratterizzato dalla circostanza che un unico fatto penale si scinde in due illeciti distinti (si veda Oliveira c. Svizzera, n. 25711/94, § 26, 30 luglio 1998; Goktan c. Francia, n. 33402/96, § 50, 2 luglio 2002; Gauthier c. Francia (dec.), n. 61178/00, 24 giugno 2003; e Ongun c. Turchia (dec.), n. 15737/02, 10 ottobre 2006).

218.  Infine, si deve notare che, allo scopo di assicurare la proporzionalità della pena rispetto ai fatti ascritti, il giudice penale può tenere conto del fatto che sia stata precedentemente inflitta una sanzione amministrativa, e decidere di ridurre la sanzione penale. In particolare, l’importo della sanzione pecuniaria amministrativa viene detratto dalla pena pecuniaria (articolo 187 terdecies del decreto legislativo n. 58 del 1998) e i beni già sottoposti a sequestro nell’ambito del procedimento amministrativo non possono essere confiscati.

2.  Valutazione della Corte

219.  La Corte rammenta che, nella causa Sergueï Zolotoukhine (sopra citata, § 82), la Grande Camera ha precisato che l’articolo 4 del Protocollo n. 7 deve essere inteso nel senso che esso vieta di perseguire o giudicare una persona per un secondo «illecito» nella misura in cui alla base di quest’ultimo vi sono fatti che sono sostanzialmente gli stessi.

220.  La garanzia sancita all’articolo 4 del Protocollo n. 7 entra in gioco quando viene avviato un nuovo procedimento e la precedente decisione di assoluzione o di condanna è già passata in giudicato. In questa fase, gli elementi del fascicolo comprenderanno ovviamente la decisione con la quale si è concluso il primo «procedimento penale» e la lista delle accuse mosse nei confronti del ricorrente nell’ambito del nuovo procedimento. Tali documenti includono ovviamente un’esposizione dei fatti relativi all’illecito per cui il ricorrente è stato già giudicato e una descrizione del secondo illecito di cui è accusato. Tali esposizioni costituiscono un utile punto di partenza, per l’esame da parte della Corte, per poter stabilire se i fatti oggetto dei due procedimenti sono identici o sono in sostanza gli stessi.
Non è importante sapere quali parti di queste nuove accuse siano alla fine ammesse o escluse nella procedura successiva, poiché l’articolo 4 del Protocollo n. 7 enuncia una garanzia contro nuove azioni penali o contro il rischio di tali azioni, e non il divieto di una seconda condanna o di una seconda assoluzione (Sergueï Zolotoukhine, sopra citata, § 83).

221.  La Corte, pertanto, deve esaminare la causa dal punto di vista dei fatti descritti nelle suddette esposizioni, che costituiscono un insieme di circostanze fattuali concrete a carico dello stesso contravventore e indissolubilmente legate tra loro nel tempo e nello spazio; l’esistenza di tali circostanze deve essere dimostrata affinché possa essere pronunciata una condanna o esercitata l’azione penale (Sergueï Zolotoukhine, sopra citata, § 84).

222.  Applicando tali principi nel caso di specie, la Corte osserva anzitutto che ha appena concluso, dal punto di vista dell’articolo 6 della Convenzione, che era opportuno considerare che il procedimento dinanzi alla CONSOB riguardava una «accusa in materia penale» contro i ricorrenti (paragrafo 101 supra) e osserva anche che le condanne inflitte dalla CONSOB e parzialmente ridotte dalla corte d’appello sono passate in giudicato il 23 giugno 2009, quando sono state pronunciate le sentenze della Corte di cassazione (paragrafo 38 supra). A partire da tale momento, i ricorrenti dovevano dunque essere considerati come «già condannati per un reato a seguito di una sentenza definitiva» ai sensi dell’articolo 4 del Protocollo n. 7.

223.  Malgrado ciò, la nuova azione penale che nel frattempo era stata avviata nei loro confronti (paragrafi 39-40 supra) non è stata interrotta, e ha portato alla pronuncia di sentenze di primo e secondo grado.

224.  Resta da determinare se il nuovo procedimento in questione fosse basato su fatti che erano sostanzialmente gli stessi rispetto a quelli che sono stati oggetto della condanna definitiva. A tale riguardo, la Corte osserva che, contrariamente a quanto sembra affermare il Governo (paragrafo 217 supra), dai principi enunciati nella causa Sergueï Zolotoukhine sopra citata risulta che la questione da definire non è quella di stabilire se gli elementi costitutivi degli illeciti previsti dagli articoli 187 ter e 185 punto 1 del decreto legislativo n. 58 del 1998 siano o meno identici, ma se i fatti ascritti ai ricorrenti dinanzi alla CONSOB e dinanzi ai giudici penali fossero riconducibili alla stessa condotta.

225.  Dinanzi alla CONSOB, i ricorrenti erano accusati, sostanzialmente, di non aver menzionato nei comunicati stampa del 24 agosto 2005 il piano di rinegoziazione del contratto di equity swap con la Merrill Lynch International Ltd mentre tale progetto già esisteva e si trovava in una fase di realizzazione avanzata (paragrafi 20 e 21 supra). Successivamente, essi sono stati condannati per tale fatto dalla CONSOB e dalla corte d’appello di Torino (paragrafi 27 e 35 supra).

226.  Dinanzi ai giudici penali, gli interessati sono stati accusati di avere dichiarato, negli stessi comunicati, che la Exor non aveva né avviato né messo a punto iniziative con riguardo alla scadenza del contratto di finanziamento, mentre l’accordo che modificava l’equity swap era già stato esaminato e concluso, informazione che sarebbe stata tenuta nascosta allo scopo di evitare un probabile crollo del prezzo delle azioni FIAT (paragrafo 40 supra).

227.  Secondo la Corte, si tratta chiaramente di una unica e stessa condotta da parte delle stesse persone alla stessa data. Peraltro la stessa corte d’appello di Torino, nelle sentenze del 23 gennaio 2008, ha ammesso che gli articoli 187 ter e 185 punto 1 del decreto legislativo n. 58 del 1998 avevano ad oggetto la stessa condotta, ossia la diffusione di false informazioni (paragrafo 34 supra). Di conseguenza, la nuova azione penale riguardava un secondo «illecito», basato su fatti identici a quelli che avevano motivato la prima condanna definitiva.

228.  Questa constatazione è sufficiente per concludere che vi è stata violazione dell’articolo 4 del Protocollo n. 7.

229.  Peraltro, nella misura in cui il Governo afferma che il diritto dell’Unione europea avrebbe apertamente autorizzato il ricorso a una doppia sanzione (amministrativa e penale) nell’ambito della lotta contro le condotte abusive sui mercati finanziari (paragrafo 216 supra), la Corte, pur precisando che il suo compito non è interpretare la giurisprudenza della CGUE, osserva che nella sua sentenza del 23 dicembre 2009, resa nella causa Spector Photo Group, sopra citata, la CGUE ha indicato che l’articolo 14 della direttiva 2003/6 non impone agli Stati membri di prevedere sanzioni penali a carico degli autori di abusi di informazioni privilegiate, ma si limita ad enunciare che tali Stati sono tenuti a vigilare affinché siano applicate sanzioni amministrative nei confronti delle persone responsabili di una violazione delle disposizioni adottate in applicazione di tale direttiva. Essa ha anche messo in guardia gli Stati sul fatto che tali sanzioni amministrative potevano, ai fini dell’applicazione della Convenzione, essere qualificate come sanzioni penali (paragrafo 61 supra). Inoltre, nella sentenza Åklagaren c. Hans Åkerberg Fransson, sopra citata, in materia di imposta sul valore aggiunto, la CGUE ha precisato che, in virtù del principio ne bis in idem, uno Stato può imporre una doppia sanzione (fiscale e penale) per gli stessi fatti solo a condizione che la prima sanzione non sia di natura penale (paragrafo 92 supra).

VI.  SULL’APPLICAZIONE DEGLI ARTICOLI 41 E 46 DELLA CONVENZIONE

230.  Ai sensi dell’articolo 41 della Convenzione,

«Se la Corte dichiara che vi è stata violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli e se il diritto interno dell’Alta Parte contraente non permette se non in modo imperfetto di rimuovere le conseguenze di tale violazione, la Corte accorda, se del caso, un’equa soddisfazione alla parte lesa.»

231.  Nelle sue parti pertinenti, l’articolo 46 della Convenzione recita:

«1. Le Alte Parti contraenti si impegnano a conformarsi alle sentenze definitive della Corte sulle controversie nelle quali sono parti.

2. La sentenza definitiva della Corte è trasmessa al Comitato dei Ministri che ne controlla l’esecuzione (…)»

A.  Indicazione di misure generali e individuali

1.  Principi generali

232.  Tutte le sentenze che constatino una violazione comportano per lo Stato convenuto l’obbligo giuridico rispetto all’articolo 46 della Convenzione di porre fine alla violazione e di eliminarne le conseguenze, in modo tale da ripristinare per quanto possibile la situazione precedente a quest’ultima. Se, invece, il diritto nazionale non permette o permette solo in modo imperfetto di rimuovere le conseguenze della violazione, l’articolo 41 autorizza la Corte ad accordare alla parte lesa, se del caso, la soddisfazione che ritiene appropriata. Ne consegue in particolare che lo Stato convenuto riconosciuto responsabile di una violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli è chiamato non solo a versare agli interessati le somme assegnate a titolo di equa soddisfazione, ma anche a scegliere, sotto il controllo del Comitato dei Ministri, le misure generali e/o, se del caso, individuali da adottare nel suo ordinamento giuridico interno (Maestri c. Italia [GC], n. 39748/98, § 47, CEDU 2004 I; Assanidzé c. Georgia [GC], n. 71503/01, § 198, CEDU 2004 II; e Ilaşcu e altri c. Moldavia e Russia [GC], n. 48787/99, § 487, CEDU 2004-VII).

233.  La Corte rammenta che le sue sentenze sono essenzialmente di natura dichiaratoria e che, in generale, è in primo luogo lo Stato in causa a dover scegliere, sotto il controllo del Comitato dei Ministri, i mezzi da utilizzare nel proprio ordinamento giuridico interno per adempiere al proprio obbligo rispetto all’articolo 46 della Convenzione, purché tali mezzi siano compatibili con le conclusioni contenute nella sentenza della Corte (si vedano, tra le altre, Scozzari e Giunta c. Italia [GC], nn. 39221/98 e 41963/98, § 249, CEDU 2000-VIII; Brumărescu c. Romania (equa soddisfazione) [GC], n. 28342/95, § 20, CEDU 2001-I; e Öcalan c. Turchia [GC], n. 46221/99, § 210, CEDU 2005-IV). Tale potere di apprezzamento per quanto riguarda le modalità di esecuzione di una sentenza esprime la libertà di scelta che accompagna l’obbligo fondamentale imposto dalla Convenzione agli Stati contraenti: assicurare il rispetto dei diritti e delle libertà sanciti (Papamichalopoulos e altri c. Grecia (Articolo 50), 31 ottobre 1995, § 34, serie A n. 330 B).

234.  Tuttavia, a titolo eccezionale, per aiutare lo Stato convenuto ad adempiere ai propri obblighi ai sensi dell’articolo 46 della Convenzione, la Corte cerca di indicare il tipo di misure da adottare per porre fine alla situazione strutturale da essa constatata. In questo contesto, essa può formulare varie opzioni la cui scelta e realizzazione vengono lasciate alla discrezione dello Stato interessato (si veda, ad esempio, Broniowski c. Polonia [GC], n. 31443/96, § 194, CEDU 2004-V). In alcuni casi, accade che la natura stessa della violazione constatata non offra realmente una scelta tra vari tipi di misure idonee a porvi rimedio, nel qual caso la Corte può decidere di indicare una sola misura di questo tipo (si vedano, ad esempio, Assanidzé, sopra citata, §§ 202 e 203; Alexanian c. Russia, n. 46468/06, § 240, 22 dicembre 2008; Fatullayev c. Azerbaijan, n. 40984/07, §§ 176 e 177, 22 aprile 2010; e Oleksandr Volkov c. Ucraina, n. 21722/11, § 208, 9 gennaio 2013).

2.  Applicazione di questi principi al caso di specie

235.  Nelle circostanze particolari della presente causa, la Corte non ritiene necessario indicare misure generali che lo Stato dovrebbe adottare per l’esecuzione della presente sentenza.

236.  Per quanto riguarda, invece, le misure individuali, la Corte ritiene che, nel caso di specie, la natura stessa della violazione constatata non offra veramente una scelta tra vari tipi di misure che possono porvi rimedio.

237.  Di conseguenza, considerate le circostanze particolari della causa e la necessità urgente di porre fine alla violazione dell’articolo 4 del Protocollo n. 7 (paragrafo 228 supra), la Corte ritiene che spetti allo Stato convenuto fare in modo che i nuovi procedimenti penali avviati contro i ricorrenti in violazione di tale disposizione e ancora pendenti, alla data delle ultime informazioni ricevute, nei confronti dei sigg. Gabetti e Grande Stevens, vengano chiusi nel più breve tempo possibile e senza conseguenze pregiudizievoli per i ricorrenti (si vedano, mutatis mutandis, Assanidzé, sopra citata, § 203, e Oleksandr Volkov, sopra citata, § 208).

B.  Danno

238.  Per il danno materiale che avrebbero subito, i ricorrenti chiedono la restituzione delle somme pagate alla CONSOB a titolo di sanzione pecuniaria (per un importo complessivo di 16.000.000 EUR), maggiorate degli interessi legali. Essi chiedono inoltre una riparazione per il danno morale – di cui chiedono alla Corte di fissare l’importo in via equitativa – e sottolineano di voler ristabilire la loro onorabilità professionale, che ritengono sia stata gravemente compromessa dalla pubblicazione della loro condanna nel bollettino della CONSOB e dall’eco mediatica della loro vicenda.

239.  Il Governo non ha presentato osservazioni a tale proposito.

240.  La Corte osserva di avere appena concluso per la violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione in quanto non vi è stata un’udienza pubblica dinanzi alla corte d’appello di Torino, e dell’articolo 4 del Protocollo n. 7 per il fatto che sono stati avviati nuovi procedimenti penali dopo la condanna definitiva dei ricorrenti. Tali constatazioni non implicano che le sanzioni inflitte dalla CONSOB fossero di per sé contrarie alla Convenzione o ai suoi Protocolli. Al riguardo, la Corte osserva di avere ritenuto che non vi era stata violazione del diritto al rispetto dei beni dei ricorrenti, sancito dall’articolo 1 del Protocollo n. 1 (paragrafo 201 supra). In queste circostanze, la Corte non vede alcun nesso di causalità tra le violazioni constatate e l’asserito danno materiale e rigetta la relativa domanda.

241.  Per quanto riguarda il danno morale legato al fatto che non vi è stata una pubblica udienza dinanzi alla corte d’appello di Torino e che sono stati avviati nuovi procedimenti penali a carico dei ricorrenti, la Corte, deliberando in via equitativa, decide di accordare 10.000 EUR a ciascuno dei ricorrenti a tale titolo.

C.  Spese

242.  Basandosi sulle note spese dei loro avvocati, i ricorrenti chiedono anche la somma totale di 20.638.980,69 EUR per le spese sostenute sia dinanzi ai giudici nazionali che dinanzi alla Corte.

243.  Il Governo non ha presentato osservazioni in proposito.

244.  Secondo la giurisprudenza della Corte, un ricorrente può ottenere il rimborso delle spese sostenute solo nella misura in cui ne siano accertate la realtà e la necessità, e il loro importo sia ragionevole. Nella presente causa, tenuto conto dei documenti di cui dispone, della propria giurisprudenza e del fatto che i ricorrenti sono stati costretti a difendersi nell’ambito di un procedimento penale avviato e condotto in violazione dell’articolo 4 del Protocollo n. 7, la Corte considera ragionevole la somma di 40.000 EUR per l’insieme delle spese e la accorda congiuntamente ai ricorrenti.

D.  Interessi moratori

245.  La Corte ritiene opportuno basare il tasso degli interessi moratori sul tasso di interesse delle operazioni di rifinanziamento marginale della Banca centrale europea maggiorato di tre punti percentuali.

PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE

  1. Dichiara, all’unanimità, il resto dei ricorsi ricevibili;
  2. Dichiara, all’unanimità, che vi è stata violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione;
  3. Dichiara, con sei voti contro uno, che non vi è stata violazione dell’articolo 6 § 3 a) e c) nei confronti del sig. Grande Stevens;
  4. Dichiara, con cinque voti contro due, che non vi è stata violazione dell’articolo 1 del Protocollo n. 1;
  5. Dichiara, all’unanimità, che vi è stata violazione dell’articolo 4 del Protocollo n. 7;
  6. Dichiara, all’unanimità, che lo Stato convenuto deve fare in modo che i nuovi procedimenti penali avviati contro i ricorrenti in violazione dell’articolo 4 del Protocollo n. 7 e ancora pendenti, alla data delle ultime informazioni ricevute, nei confronti dei sigg. Gabetti e Grande Stevens, vengano chiusi nel più breve tempo possibile (paragrafo 237 supra);
  7. Dichiara, all’unanimità,
    1. che lo Stato convenuto deve versare, entro tre mesi a decorrere dalla data in cui la sentenza diverrà definitiva conformemente all’articolo 44 § 2 della Convenzione, le somme seguenti:
      1. 10.000 EUR (diecimila euro), più l’importo eventualmente dovuto a titolo di imposta, a ciascun ricorrente per il danno morale;
      2. 40.000 EUR (quarantamila euro), più l’importo eventualmente dovuto a titolo di imposta dai ricorrenti, a questi ultimi congiuntamente per le spese;
    2. che a decorrere dalla scadenza e fino al versamento tali importi dovranno essere maggiorati di un interesse semplice a un tasso equivalente a quello delle operazioni di rifinanziamento marginale della Banca centrale europea maggiorato di tre punti percentuali;
  8. Rigetta, con cinque voti contro due, la domanda di equa soddisfazione per il resto.

Fatta in francese, poi comunicata per iscritto il 4 marzo 2014, in applicazione dell’articolo 77 §§ 2 e 3 del regolamento.

Stanley Naismith Işıl Karakaş
Cancelliere Presidente

Alla presente sentenza è allegata, conformemente agli articoli 45 § 2 della Convenzione e 74 § 2 del regolamento, l’esposizione dell’opinione comune in parte concordante e in parte dissenziente dei giudici Karakaş e Pinto de Albuquerque.

A.I.K.
S.H.N.

OPINIONE IN PARTE CONCORDANTE E IN PARTE DISSENZIENTE DEI GIUDICI KARAKAŞ E  PINTO DE ALBUQUERQUE

1.  Nella causa Grande Stevens e altri la Corte si è di nuovo occupata dell’importante problema del controllo giurisdizionale delle sanzioni amministrative pecuniarie e non pecuniarie irrogate dalle autorità amministrative italiane[1]. L’importanza di questa causa non risiede solo nella complessità dei vari vizi di procedura che hanno inficiato sia il procedimento amministrativo sia il procedimento giudiziario, i quali hanno condotto all’irrogazione di sanzioni amministrative manifestamente sproporzionate, ma anche nel fatto che in seguito alcuni ricorrenti sono stati perseguiti e sanzionati nell’ambito di un nuovo procedimento penale, per gli stessi fatti oggetto del procedimento amministrativo. Considerata la circostanza che diverse autorità giudiziarie europee devono confrontarsi con problemi simili, si può affermare che la ripercussione di questa causa oltrepassa di gran lunga i confini del sistema giudiziario italiano.

2.  Siamo d’accordo con la maggioranza quando si afferma che l’articolo 6 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (la Convenzione) nel suo profilo penale è applicabile al procedimento amministrativo ed al procedimento giudiziario previsti dall’articolo 187 septies del TUF (Testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria) e dall’articolo 23 della legge n. 689 del 24 novembre 1981, nonché alle pene conseguentemente inflitte in virtù dell’articolo 187 ter del TUF; che il procedimento amministrativo dinanzi alla CONSOB (Commissione Nazionale per le Società e la Borsa) non è stato equo; e che il procedimento dinanzi alla corte d’appello ed alla Corte di cassazione non ha posto rimedio a detta mancanza di equità. Invece, contrariamente alla maggioranza, riteniamo che la conclusione secondo la quale i ricorrenti non disponevano di nessun ricorso effettivo dinanzi ai giudizi nazionali non sia solo la conseguenza del fatto che la corte d’appello non ha tenuto udienze pubbliche. Riteniamo che la violazione dell’articolo 6 risieda essenzialmente nel fatto che non vi è stato esame in contraddittorio delle testimonianze contestate e che i ricorrenti non sono stati sentiti durante un’udienza tenuta dinanzi ad un tribunale.

3.  Non condividiamo nemmeno il parere della maggioranza riguardo alla legalità ed alla proporzionalità delle pene inflitte dalla corte d’appello e confermate dalla Corte di cassazione e dell’importo dell’equa soddisfazione determinata dalla Corte europea dei diritti dell’uomo (la Corte). Il giudice Pinto de Albuquerque ritiene altresì che la modifica dell’accusa da parte della corte d’appello non sia compatibile con la Convenzione.

La mancanza di equità del procedimento dinanzi alla CONSOB

4.  I ricorrenti sono stati giudicati colpevoli dell’illecito amministrativo della manipolazione del mercato. Tale illecito è previsto dall’articolo 187 ter del TUF ed è passibile di sanzioni stabilite con una procedura definita negli articoli 187 septies del TUF e 23 della legge n. 689 del 24 novembre 1981. La procedura condotta dinanzi alla CONSOB non è stata equa rispetto alle norme sancite dall’articolo 6 della Convenzione[2].

5.  Secondo l’articolo 2 della delibera n. 15086 della CONSOB del 21 giugno 2005, il procedimento sanzionatorio ha inizio con la formale contestazione all’interessato degli addebiti sulla base degli elementi emersi a seguito dell’attività di vigilanza svolta dall’istituto. Ex officio o sulla base di una segnalazione pervenuta da un’altra autorità pubblica nazionale o straniera o di una denuncia presentata da un soggetto privato, la CONSOB può avviare una fase pre-istruttoria, durante la quale la persona controllata può essere assoggettata ai poteri enunciati all’articolo 187 octies del TUF. Poiché la fase pre-istruttoria non è limitata nel tempo, non sussiste una chiara delimitazione tra la funzione generale di supervisione della CONSOB e la sua funzione sanzionatoria, con il rischio che l’indeterminatezza fra le diverse funzioni possa essere strumentalizzata, al fine di trarre vantaggio dagli obblighi giuridici, sussistenti in capo alla persona controllata, relativi ad informazione, comunicazione di documenti e collaborazione con la CONSOB, in quanto organo di supervisione del mercato. Nell’ambito del procedimento sanzionatorio sussiste una separazione formale ed organica tra l’Ufficio Insider Trading, competente a promuovere un procedimento contro la persona sospettata ed a valutare le sue deduzioni difensive, l’Ufficio Sanzioni Amministrative, competente ad effettuare l’indagine e redigere il rapporto finale con la formulazione dell’addebito formale e la proposta dell’importo della sanzione da infliggere, e la CONSOB in quanto commissione, la quale è competente ad emettere la decisione amministrativa definitiva. Tuttavia, tale separazione formale ed organica non garantisce la separazione effettiva tra le funzioni istruttorie e le funzioni decisorie, prevista dallo stesso articolo 187 septies n. 2 del TUF, e ciò per quattro ragioni. In primo luogo, il presidente della CONSOB è incaricato di effettuare una supervisione della fase istruttoria, nonché di impartire istruzioni sul funzionamento degli uffici e direttive finalizzate al loro coordinamento[3]. In secondo luogo, partecipa direttamente all’esercizio dei più importanti poteri di ispezione e degli altri poteri di indagine conferiti alla CONSOB dagli articoli 115 e 187 octies del TUF, su proposta degli uffici competenti[4]. In terzo luogo, la CONSOB in quanto commissione può esercitare poteri di indagine molto incisivi, ad esempio procedere al sequestro di beni[5]. Da ultimo, la decisione della CONSOB può essere motivata per relationem, in riferimento ai precedenti atti di procedura[6], e può anche essere considerata un tacito assenso dei membri della commissione[7]. Tutto considerato, la CONSOB in quanto commissione è ben lungi dall’essere un organo imparziale ed indipendente dai servizi istruttori e sanzionatori dell’Ufficio Insider Trading e dell’Ufficio Sanzioni Amministrative. A tale fondamentale mancanza sistemica del procedimento amministrativo si aggiunge una grave disuguaglianza fra le parti.

6.  È vero che l’Ufficio Insider Trading ha espresso il suo parere in una relazione istruttoria del 13 settembre 2006 e in una nota complementare del 19 ottobre 2006, entrambe comunicate ai ricorrenti, e che il termine di 30 giorni, entro il quale era possibile rispondere alla nota, appariva ragionevole. Ma il punto è che non vi è stato un controinterrogatorio dei testimoni sentiti dal suddetto ufficio. Inoltre, ad eccezione del sig. Stevens, i ricorrenti non sono stati interrogati. L’Ufficio sanzioni amministrative ha dal canto suo adottato l’atto d’accusa conclusivo in data 19 gennaio 2007, ma tale atto non è stato notificato ai ricorrenti[8]. La CONSOB ha adottato la sua decisione il 9 febbraio 2007. I ricorrenti erano stati certamente avvertiti di quanto deliberato dalla CONSOB, ma non avevano potuto esporre i loro argomenti. La decisione è stata inoltre adottata al termine di una riunione a porte chiuse con un dipendente dell’Ufficio Sanzioni Amministrative, riunione alla quale i ricorrenti non hanno potuto assistere e della quale non hanno ricevuto il verbale. Solo l’accusa ha avuto il diritto di parola dinanzi alla CONSOB, mentre i ricorrenti non hanno potuto esporre i loro argomenti[9].

7.  La ragione della natura inquisitoria e non egualitaria di tale procedimento è la seguente: secondo la Corte di cassazione, gli articoli 24 (diritto di difesa) e 111 (giusto processo) della Costituzione italiana non si applicano alla fase amministrativa del procedimento sanzionatorio e il «diritto a dibattere durante il procedimento non si applica né alla sanzione, né ai suoi criteri di qualificazione»[10]. Per tale ragione è possibile che le delibere della CONSOB n. 12697 del 2 agosto 2000 e n. 15086 del 21 giugno 2005 non rispettino le citate garanzie costituzionali, in particolare quelle che impongono un controinterrogatorio dei testimoni a carico dinanzi ad un tribunale e la comparizione dei testimoni a difesa nelle stesse condizioni dei testimoni a carico. In breve, la lodevole intenzione che animava il legislatore italiano nella stesura della nuova versione dell’articolo 187 septies punto 2 del TUF nel 2005 è stata disattesa nella prassi sia dalla giurisprudenza sia dalle decisioni amministrative. La successione di due fasi di presentazione dei documenti difensivi, prima all’Ufficio Insider Trading e poi all’Ufficio Sanzioni Amministrative, non apporta un reale valore aggiunto al procedimento e non compensa il fatto che la presentazione e l’esame degli elementi di prova non avvengano in contraddittorio e che non vi sia parità di armi tra le parti.
La mancanza di controllo giurisdizionale effettivo sulla decisione della CONSOB.

8.  Il controllo giurisdizionale delle decisioni con le quali vengono irrogate sanzioni amministrative da parte della CONSOB avveniva in un primo tempo mediante un ricorso alla corte d’appello ai sensi dell’articolo 187 septies punto 6 del TUF e dell’articolo 23 della legge 689/1981 e mediante un ricorso alla Corte di cassazione in virtù dell’articolo 360 del codice di procedura civile (CPC). Detti articoli sono stati in seguito abrogati dal nuovo CPA (Codice del Processo Amministrativo) approvato con decreto legislativo n. 104 del 2 luglio 2010. Il nuovo articolo 133 c. 1, l) del CPA conferiva al giudice amministrativo la giurisdizione esclusiva in materia di provvedimenti sanzionatori della CONSOB ed il nuovo articolo 134 c. 1, c) del medesimo codice includeva in questa giurisdizione esclusiva le controversie relative alle sanzioni pecuniarie con cognizione estesa al merito, vale a dire che in virtù di tali disposizioni il giudice amministrativo non controllava solo la regolarità dell’azione amministrativa, ma anche l’opportunità, la convenienza, l’utilità e l’equità della stessa. Nella sentenza n. 162 del 27 giugno 2012 la Corte costituzionale dichiarava incostituzionali le citate disposizioni del decreto legislativo 104/2010 e la competenza in materia di procedimenti sanzionatori della CONSOB veniva nuovamente attribuita al giudice ordinario, ossia alla corte d’appello[11].

9.  In virtù dell’articolo 187 septies punto 6 del TUF in combinato disposto con l’articolo 23 della legge 689/1981, applicabili al caso di specie, la corte d’appello può di propria iniziativa determinare gli elementi di prova che ritiene necessari, citare testimoni, annullare in tutto o in parte la decisione impugnata o riformarla anche solo in relazione all’importo delle sanzioni e sentire in udienza l’appellante. In altri termini, ciò significa che essa ha non solo il potere di controllare la decisione impugnata, ma anche quello di riesaminare il caso tota re perspecta, ossia l’intera questione alla luce dei punti di diritto e di fatto sollevati dagli appellanti[12].

10.  Nell’esercizio dei poteri di controllo conferiti dall’articolo 187 septies punto 6 del TUF e dall’articolo 23 della legge 689/1981, la corte d’appello ha un solo limite: il divieto di reformatio in pejus[13]. D’altronde, le sanzioni amministrative pecuniarie e di altra natura irrogate dalla CONSOB devono dipendere dalla «gravità della violazione» e tener conto di una «eventuale recidiva» dell’autore della violazione, vale a dire che esse sono legate a criteri che non possono essere considerati espressione di un potere amministrativo discrezionale[14]. I medesimi criteri sono vincolanti per la corte d’appello ai fini della verifica delle decisioni con le quali sono state irrogate sanzioni amministrative da parte della CONSOB.

11.  Ebbene, la corte d’appello nel caso di specie ha rinunciato ad esercitare i suoi poteri di riesame. Ciò si evince chiaramente da un’attenta lettura del fascicolo ed in particolare delle cinque sentenze emesse nell’ambito della causa in questione. In effetti, la corte d’appello ha rigettato i ricorsi sulla base degli elementi contenuti nel fascicolo dell’accusa formato dall’organo amministrativo, mentre tali elementi erano stati acquisiti in segreto ed in assenza di esame dei testimoni in contraddittorio e la loro pertinenza oggettiva e soggettiva era stata contestata. La corte si è accontentata delle dichiarazioni scritte degli appellanti e dei documenti dell’accusa. E questo era tutto! Non sono stati ascoltati testimoni, né sono stati interrogati i ricorrenti, non sono state richieste perizie. Invece, essa ha utilizzato come prove principali, sulle quali basare la condanna dei ricorrenti, le deposizioni dei testimoni Claudio Salini, responsabile dell’Ufficio controllo mercati, e Antonio Rosati, direttore generale della CONSOB, deposizioni che sono state trascritte nelle sentenze quasi alla lettera[15].  In termini giuridici, la corte d’appello ha fatto una semplice reformatio della coerenza logica della decisione contestata, evitando di procedere ad una reale revisio della causa.

12.  Eppure gli appellanti avevano chiesto che la loro causa fosse interamente riesaminata ed i sigg. Stevens e Marrone avevano anche chiesto che la corte d’appello sentisse determinati testimoni sui fatti di causa[16]. E’ evidente che i fatti oggetto della richiesta audizione erano quelli menzionati nelle deposizioni scritte che i testi avevano firmato nella fase extragiudiziale del procedimento. E’ ancor più evidente che essi auspicavano che fosse la corte d’appello a raccogliere dette testimonianze, il che rientrava nell’esercizio dei suoi poteri, sia su richiesta degli appellanti, sia di propria iniziativa, senza dover indicare quali fossero gli elementi da dimostrare. Il fatto che gli appellanti avessero pregato la corte d’appello di sentire i testimoni, ove occorresse o in caso di eventuale insufficienza o inutilizzabilità dei documenti, non cambia evidentemente la loro intenzione, né la natura della loro richiesta.  In effetti, essi hanno semplicemente menzionato nelle loro richieste di istanze istruttorie i termini della stessa legge, secondo i quali spetta al giudice stabilire le prove ritenute  «necessarie» al fine di deliberare sulla causa e di provare la versione dei fatti fornita dagli appellanti[17].

13.  Era essenziale procedere ad un controinterrogatorio dei testimoni dinanzi ad un tribunale, in quanto le loro rispettive versioni sulla dinamica dei fatti avvenuti tra aprile e agosto 2005 presentavano gravi contraddizioni. Era cruciale che i ricorrenti fossero interrogati da un giudice, tenuto conto del fatto che era in questione la loro intenzione di trarre in inganno[18]. In altri termini, era di capitale importanza stabilire se la CONSOB fosse a conoscenza della soluzione giuridica elaborata dal sig. Stevens e non avesse ritenuto necessario renderla pubblica, a causa del suo stato embrionale, incerto ed ipotetico, nonché al fine di evitare un impatto artificioso su un mercato già molto instabile. Se tale versione dei fatti fosse stata confermata, sarebbe emerso che la condotta della CONSOB aveva creato le circostanze per la commissione dello stesso illecito e che in tal modo la commissione aveva teso una trappola ai ricorrenti ed in seguito li aveva sanzionati per quella che sapeva essere ancora un’intenzione al momento dei fatti (cogitatio poenam nemo patitur). L’aspetto sorprendente di questa causa non è il solo fatto che non sia stata rispettata una formalità (la celebrazione di una pubblica udienza), come sembra affermare la maggioranza. Si tratta di molto di più. Ciò che è realmente scioccante è la totale assenza di esame in contraddittorio degli elementi di prova confutati e relativi a fatti cruciali, nel contesto di un’udienza in tribunale. La corte d’appello ha accettato ed avallato senza riserve le testimonianze raccolte dall’accusa senza lasciare ai ricorrenti la possibilità di effettuare un controinterrogatorio dei testimoni sui fatti di causa[19]. Sebbene tali mancanze siano state eccepite dinanzi alla Corte di cassazione, questa non vi ha posto rimedio, rigettando il ricorso presentato sulla base di vizi procedurali in quanto tardivo e dichiarando che in ogni caso il procedimento sanzionatorio relativo alla delibera n. 15608 della CONSOB era nel suo complesso idoneo ad assicurare il rispetto dei principi dell’equo processo.

14.  L’importanza di sottoporre i testimoni ad un controinterrogatorio dinanzi ad un tribunale non può essere e non avrebbe dovuto essere sottovalutato in un procedimento sanzionatorio, al termine del quale era possibile l’irrogazione di pene pecuniarie per l’ammontare di diversi milioni di euro e di pene non pecuniarie, le quali avrebbero potuto pregiudicare fortemente o annientare definitivamente la carriera dei condannati. La Corte stessa ha sottolineato in casi molto meno gravi la necessità che i giudici di secondo grado dimostrino la solidità delle testimonianze a carico ed a discarico nel contesto di un pubblico dibattimento dinanzi ad un giudice[20]. Ciò vale a fortiori per gli interrogatori di appellanti, di cui è stata riconosciuta la necessità, anche in secondo grado, in particolare quando è in causa l’elemento soggettivo del reato[21]. Nel caso di specie, i giudici nazionali non hanno rispettato tali norme enunciate dalla Corte.

La modifica dell’accusa da parte della corte d’appello a svantaggio dell’appellante[22].

15.  Il sig. Stevens lamenta il fatto che la corte d’appello abbia modificato l’accusa mossa nei suoi confronti. Giustamente. Per accusare qualcuno di aver commesso l’illecito previsto dall’articolo 187 ter del TUF (illecito amministrativo di manipolazione del mercato), non è sufficiente affermare in termini generali che l’interessato ha partecipato alla diffusione di notizie false. Ciò significherebbe semplicemente ripetere il testo della norma di legge. L’accusa deve precisare quali siano i fatti che integrano la fattispecie in questione. In termini tecnici, deve essere descritto, con il necessario grado di esattezza, come, quando, dove e con quali mezzi l’accusato ha partecipato alla commissione dell’illecito. Nel caso di specie, la CONSOB aveva accusato il sig. Stevens di aver partecipato alla decisione di diffondere presunte informazioni false nella sua qualità di «amministratore dell’IFIL», il che si è rivelato essere falso. Per evitare di dover pronunciare un’assoluzione, la corte d’appello ha quindi modificato l’oggetto dell’accusa, addebitando all’appellante un fatto differente: egli avrebbe partecipato alla commissione dell’illecito in quanto avvocato nell’ambito della sua attività di consulenza legale. Questa modifica dell’accusa da parte della corte d’appello a svantaggio dell’appellante è inammissibile.

16.  Ai sensi dell’articolo 23 della legge 689/1981, la corte d’appello ha il potere di modificare la decisione contestata per quanto concerne i punti di diritto ed i punti di fatto. Tale potere ha tuttavia chiaramente dei limiti intrinseci.
In virtù del principio del divieto di reformatio in pejus, il controllo giurisdizionale può modificare la decisione contestata solo a favore dell’appellante e non a suo svantaggio. Inoltre, se i principi generali della «corrispondenza tra contestazione e condanna»[23]e della distinzione tra funzioni istruttorie e funzioni decisorie[24] sono applicabili ai procedimenti amministrativi, lo sono a fortiori ad un procedimento giudiziario dinanzi ad una corte d’appello. La stessa corte d’appello assumerebbe il ruolo di organo istruttorio, qualora modificasse l’accusa introducendo nuovi fatti a carico dell’appellante. Ebbene, è esattamente questo che ha fatto la corte d’appello di Torino nel caso di specie.

17.  Deve essere esposta un’ultima controdeduzione. Il ragionamento secondo il quale il fatto nuovo è una «qualità giuridica senza pertinenza» e può quindi essere aggiunto all’accusa appare erroneo e non deve essere considerato per tre ragioni. In primo luogo, nella sua decisione, la CONSOB aveva inasprito la pena del sig. Stevens in quanto amministratore dell’IFIL Investments spa.[25]. In secondo luogo, la qualità giuridica delle funzioni svolte dal sig. Stevens rappresenta la differenza, in quanto in base a detta qualità è possibile stabilire se l’interessato fosse l’autore principale dell’illecito, il quale aveva il potere di prendere la decisione di diffondere le informazioni in questione, o se fosse solo un complice, il quale aveva solo il potere di fornire un parere giuridico ai responsabili della citata decisione.  Modificando detta qualità, la corte d’appello ha modificato un elemento essenziale dell’accusa, evidentemente pertinente ai fini della valutazione della colpevolezza oggettiva e soggettiva del sig. Stevens, e ciò senza il consenso dell’interessato[26]. Da ultimo, questo fatto nuovo era pertinente anche dal punto di vista della responsabilità delle persone giuridiche coinvolte nel procedimento, dal momento che se il sig. Stevens era uno degli amministratori dell’IFIL Investments spa., l’impresa era responsabile rispetto all’articolo 187 quinquies del TUF.

Il carattere illegale e sproporzionato delle pene pecuniarie e delle sanzioni non pecuniarie inflitte ai ricorrenti.

18.  I ricorrenti sostengono che le pene pecuniarie e non pecuniarie loro inflitte non erano né legali né proporzionate. In virtù dell’articolo 187 ter del TUF, l’illecito amministrativo di manipolazione del mercato può essere punito con una sanzione pecuniaria fino a cinque milioni di euro[27], la quale può essere aumentata fino al triplo o fino al maggior importo di dieci volte il prodotto o il profitto dell’illecito quando, per le qualità personali del colpevole, per l’entità del prodotto o del profitto conseguito dall’illecito ovvero per gli effetti prodotti sul mercato, esse appaiono inadeguate anche se applicate nel massimo. Se il fatto che la sanzione inflitta per un illecito amministrativo dipenda dall’importo del prodotto o del profitto dell’illecito senza che sia fissato un limite massimo all’importo della stessa pone già in sé un problema rispetto al principio nulla poena sine legge stricta sancito dall’articolo 7 della Convenzione, appare ancora più problematica la possibilità conferita dall’articolo 187 ter punto 5 del TUF di aumentare in modo significativo l’importo della pena pecuniaria[28]. In ogni caso le sanzioni inflitte nel caso di specie non erano né legali, né proporzionate.

19.  Le sanzioni inflitte ai ricorrenti erano irregolari in quanto i relativi procedimenti amministrativi e giudiziari erano inficiati da gravi mancanze.  Pretendere che queste mancanze non abbiano realmente pregiudicato ab imo l’esercizio da parte dei ricorrenti dei diritti della difesa e supporre che nessun vizio di procedura avrebbe potuto incidere sulla decisione di irrogazione delle sanzioni, nella misura in cui detta decisione era la conseguenza necessaria dell’accertamento dell’illecito, costituisce una grave petizione di principio, basata sull’inammissibile premessa che un procedimento equo non avrebbe condotto ad un diverso risultato e, in definitiva, che la colpevolezza di un individuo può essere accertata con un procedimento inquisitorio e non egualitario.

20.  Inoltre, le sanzioni pecuniarie inflitte dalla corte d’appello sono sproporzionate: al sig. Gabetti, che era il presidente delle imprese commerciali IFIL Investments SPA e Giovanni Agnelli & C. e che aveva preso la decisione di diffondere i comunicati stampa, è stata inflitta una sanzione inferiore a quella irrogata al sig. Stevens, l’avvocato che non aveva potere decisionale, agendo solo come consulente legale[29]. In tal modo, la corte d’appello ha condannato l’amministratore che aveva preso la decisione a una pena pecuniaria dell’importo di unmilioneduecentomila euro (un milione di euro per la sua condotta in qualità di rappresentante dell’IFIL SPA e 200.000 euro per la sua condotta in qualità di rappresentante della  Giovanni Agnelli & C.), e l’avvocato che aveva solo un ruolo consultivo, la cui opinione poteva non essere considerata dall’amministratore, ad oltre il doppio, ossia tre milioni di euro. In altri termini, la sanzione pecuniaria inflitta al complice era ben più grave di quella inflitta all’autore principale!

21.  La stessa critica può essere mossa alle pene non pecuniarie. Al sig. Stevens è stato inflitto il divieto di assumere incarichi per la durata di quattro mesi, così come al sig. Gabetti. In tal modo, il complice che ha espresso un parere non vincolante e l’autore principale che ha preso la decisione sono stati condannati alle stesse sanzioni non pecuniarie, come se le rispettive responsabilità professionali fossero state allo stesso livello!

22.  Il carattere sproporzionato delle pene rispettivamente inflitte dalla corte d’appello  al sig. Gabetti ed al sig. Stevens non è evidente solo in sede di comparazione delle stesse, ma si evince anche dal fatto incomprensibile che la corte d’appello abbia inflitto al sig. Stevens la stessa pena di tre milioni di euro, già irrogata dalla CONSOB quando la commissione aveva considerato l’interessato come un amministratore dell’IFIL Investments SPA, mentre la corte d’appello ha riconosciuto che egli era solo un avvocato che non esercitava poteri direttivi. Così, pur addebitando al sig. Stevens una responsabilità di livello inferiore, non considerandolo autore principale bensì complice dell’illecito, la corte d’appello ha determinato la stessa pena già inflitta dalla CONSOB. In sostanza, essa ha dunque effettuato una forma dissimulata di reformatio in pejus a svantaggio dell’appellante. A sostegno di tale severa scelta non sono state addotte ragioni plausibili.

23.  Le sanzioni inflitte al sig. Marrone erano anch’esse infondate, poiché come stabilito dalla Corte di cassazione in una sentenza definitiva del 20 giugno 2012, egli non aveva partecipato alla contestata diffusione di presunte notizie false.

24.  Infine, la IFIL Investments è stata condannata a pagare una pena pecuniaria di un milione di euro per la violazione commessa dal sig.  Gabetti, e la Giovanni Agnelli & C. una pena pecuniaria di 600.000 euro per le violazioni commesse dal sig. Gabetti e dal sig. Marrone. In virtù dell’articolo 187 quinquies del TUF, la responsabilità amministrativa delle persone giuridiche non ha limite massimo, ma dipende dal numero delle persone fisiche che hanno commesso l’illecito a nome della persona giuridica. Si fatica quindi a comprendere come una pena inflitta per la diffusione di presunte false informazioni ad opera di una sola persona fisica possa essere pari quasi al doppio di una pena inflitta per la diffusione delle stesse informazioni ad opera della stessa persona con la partecipazione di un’altra persona fisica. Inoltre, la CONSOB ha altresì ordinato, come confermato dalla corte d’appello, che le due imprese provvedessero al pagamento delle sanzioni inflitte ai loro dipendenti in solido con i medesimi, in virtù della responsabilità solidale prevista dall’articolo 6 c. 3 della legge 689/1981. Secondo la giurisprudenza costante della Corte di cassazione, l’articolo 187 quinquies del TUF e l’articolo 6 della legge n. 689/1981 possono essere applicati alla stessa persona giuridica per i medesimi fatti, in quanto il primo concerne la «responsabilità amministrativa diretta della persona giuridica» mentre il secondo è un «caso speciale di debito senza colpa (debt without responsibility), poiché l’ente è responsabile della violazione commessa da uno dei suoi organi interni e direttamente responsabile in quanto adiectus solutionis causa». Inoltre, le due imprese sono state accusate di un altro illecito «amministrativo» in virtù dell’articolo 25 sexies del decreto legislativo n. 231 dell’8 giugno 2001. In concreto, esse avrebbero dovuto pagare per gli stessi fatti tre diverse pene pecuniarie di importo sproporzionato. Nella sua stessa struttura concettuale, questo sistema di sanzioni rimette in questione nel caso delle persone giuridiche i diritti garantiti dagli articoli 1 del Protocollo n. 1 e 7 della Convenzione. Nell’ambito della presente opinione, ci limiteremo ad osservare che la IFIL Investments SPA e la Giovanni Agnelli & C. sono state assolte con sentenza della corte d’appello del 28 febbraio 2013, divenuta definitiva in merito a questo punto. I giudici hanno effettivamente concluso che non potevano essere addebitati alle citate imprese commerciali alcuna condotta illegale ed ancor meno un illecito «amministrativo». Alla luce dell’articolo 187 quinquies punto 4 del TUF, gli elementi prodotti a difesa dell’IFIL Investments SPA e della Giovanni Agnelli & C., che sono stati sufficienti a convincere i giudici dell’assenza di responsabilità «amministrativa» rispetto all’articolo 6 del decreto legislativo n. 231 dell’8 giugno 2001, dovrebbero essere considerati sufficienti anche ai fini dell’esclusione della  responsabilità «amministrativa» delle medesime persone giuridiche rispetto all’articolo 187 quinquies del TUF.

La limitata applicazione del principio del ne bis in idem nel caso di una condanna definitiva ad una sanzione amministrativa

24.  La direttiva 2003/6/CE sugli abusi di mercato ha istituito un quadro completo di divieti e di sanzioni in materia di abuso di informazioni privilegiate e di pratiche di manipolazione del mercato. Essa impone agli Stati membri l’irrogazione di sanzioni amministrative imperative, fatto salvo il diritto di infliggere ulteriori sanzioni penali[30].

25.  Tale direttiva è stata attuata in Italia con le disposizioni contenute nel Titolo I bis della parte V del TUF. Gli articoli 185, 187 ter e 187 duodecies del TUF stabiliscono un «sistema a doppio binario» per il procedimento sanzionatorio a carico delle persone fisiche, in virtù del quale sono contestualmente condotti un procedimento penale ed un procedimento amministrativo per i «medesimi fatti». Le sanzioni amministrative sono stabilite, fatte salve «le sanzioni penali quando il fatto costituisce reato». Inoltre, il procedimento amministrativo e la relativa procedura di controllo giurisdizionale non vengono sospesi quando è in corso un procedimento penale «avente ad oggetto i medesimi fatti o fatti dal cui accertamento dipende la relativa definizione». Questo «sistema a doppio binario» si applica anche alle persone giuridiche, alle quali possono essere inflitte sanzioni amministrative per i medesimi fatti in virtù degli articoli 187 quinquies del TUF e 25 sexies del decreto legislativo n. 231 dell’8 giugno 2001[31]. Tale sistema di sanzioni a doppio binario viola il principio del ne bis in idem, sia nella sua concezione dogmatica, sia nella sua attuale  applicazione[32].

26.  Secondo la Corte di cassazione, l’articolo 185 prevede un «illecito di mera condotta», accertato mediante una valutazione ex ante delle conseguenze che la diffusione di informazioni veritiere avrebbe potuto avere sul mercato, e non un «illecito di evento», accertato mediante una valutazione ex post della reale situazione del mercato dopo la diffusione dei comunicati stampa[33]. Il Governo ha ulteriormente sviluppato questo ragionamento della Corte di cassazione, aggiungendo che il reato previsto dall’articolo 185 del TUF era un «reato di pericolo concreto» – il che significa che occorre accertare che la diffusione di false informazioni abbia causato il rischio reale della modifica del prezzo di uno strumento finanziario, anche se non è necessario un impatto reale sul prezzo di detto strumento finanziario affinché la fattispecie di reato sia integrata – mentre l’illecito amministrativo previsto dall’articolo 187 ter del TUF era un «reato di pericolo astratto», che includeva quindi ogni condotta che potesse teoricamente influenzare le scelte degli investitori, indipendentemente dalla circostanza che le informazioni false o fuorvianti avessero effettivamente condotto a scelte di investimento che altrimenti non sarebbero state compiute.

27. Affinché lo stesso fatto illecito non sia punito due volte (bis in idem), il sistema italiano prevede due garanzie: il «principio di specialità», previsto dall’articolo 9 della legge 689/1981[34], ed il principio di detrazione della sanzione amministrativa dalla sanzione penale, stabilito dall’articolo 187 terdecies del TUF. Queste due garanzie non sono tuttavia sufficienti, come dimostra la presente causa. Sebbene il procedimento penale ed il procedimento amministrativo riguardassero esattamente la stessa situazione,  la Corte di cassazione e la corte d’appello di Torino hanno ripetutamente dichiarato, in modo non convincente, che il principio di specialità non trovava applicazione nei loro confronti. Il reato previsto dall’articolo 185 e l’illecito amministrativo previsto dall’articolo 187 ter hanno entrambi per oggetto una violazione derivante da una sola condotta e le relative norme tutelano lo stesso «bene giuridico», ossia la trasparenza del mercato. La differenza tra l’uno e l’altro è che il primo è un «reato di pericolo concreto» ed il secondo un «reato di pericolo astratto». E’ quindi evidente che il principio di specialità doveva essere applicato: la norma relativa ad un rischio reale rappresentava la disposizione speciale rispetto a quella concernente un rischio astratto di pregiudizio allo stesso «bene giuridico» e di conseguenza il procedimento penale doveva prevalere sul procedimento amministrativo ed escluderlo. La sovrapposizione materiale di sanzioni penali ed amministrative non soltanto sovraccarica lo Stato, che deve  farsi carico di due inchieste autonome, con il rischio di giungere a conclusioni differenti sui medesimi fatti, ma viola altresì il principio di specialità.

28.  Anche volendo supporre, ai fini della discussione, che il principio di specialità non venga applicato, resta il fatto che il sistema italiano del doppio binario non impedisce l’apertura di un procedimento penale in idem dopo l’adozione, da parte del competente organo giudiziario di controllo, di una decisione definitiva di condanna per illeciti amministrativi. Per contro, l’articolo 2 del Protocollo n. 7 vieta anche il «doppio giudizio» per gli stessi fatti. Un procedimento penale non può quindi essere aperto per gli stessi fatti oggetto di una decisione amministrativa definitivamente confermata dai tribunali e passata quindi in giudicato. Il sistema italiano non fornisce tale garanzia in diritto ed essa non è stata applicata nel caso concreto dei ricorrenti[35].

L’insufficienza dell’equa soddisfazione accordata dalla Corte

29.  I gravi vizi del procedimento amministrativo e del procedimento giudiziario prima menzionati ed il conseguente carattere illegale e sproporzionato delle sanzioni applicate ai ricorrenti richiedono una riparazione totale ed urgente. Come possono essere confermate delle pene pecuniarie così sproporzionate, pari a diversi milioni di euro, nonostante la sussistenza di gravi violazioni dei diritti procedurali e materiali dei ricorrenti? Dovrebbe essere celebrato un nuovo processo, conforme all’articolo 23 della legge 689/1981, se gli illeciti amministrativi non sono già prescritti.

30.  Inoltre, nel presente caso la giustizia impone l’indennizzo dei ricorrenti, i quali hanno subito un grave danno, finanziario e morale:  essi hanno già pagato elevatissime pene pecuniarie e non hanno potuto esercitare la loro attività professionale per lungo tempo. L’importo dell’indennizzo stabilito dalla Corte nella fattispecie è evidentemente insufficiente a risarcire il danno in questione.  Quanto meno avrebbe dovuto essere ordinata la restituzione ai ricorrenti delle somme versate a titolo di pena pecuniaria.

31.  Peraltro, i procedimenti penali tuttora pendenti dovrebbero essere immediatamente conclusi ed i relativi imputati – il sig. Gabetti e il sig. Stevens – esonerati da ogni responsabilità penale. Nelle particolari circostanze della causa, nessun’altra misura può porre rimedio all’ingiustizia subita dai ricorrenti a causa dell’apertura di un procedimento penale, che si è aggiunto all’irrogazione di una sanzione amministrativa ingiusta ed eccessiva.

Conclusione

32.  Gli Stati europei sono di fronte ad un dilemma. Per assicurare l’integrità dei mercati europei e rilanciare la fiducia degli investitori nei mercati, hanno creato illeciti amministrativi di ampia portata, basati sulla condotta, i quali puniscono il rischio astratto di danno al mercato con pene pecuniarie e non pecuniarie, severe e di importo imprecisato, definite sanzioni amministrative ed inflitte da autorità amministrative «indipendenti» nell’ambito di procedure inquisitorie, non egualitarie e  sbrigative. Queste autorità dispongono di poteri sanzionatori ed inquisitori, nonché di ampie facoltà di supervisione su un settore particolare del mercato ed esercitano quest’ultima in modo da facilitare l’esercizio dei primi, imponendo talvolta alla persona controllata/sospettata l’obbligo di collaborare con i propri accusatori. La successione di tre o quattro fasi di comunicazione di documenti scritti ai fini della difesa (due dinanzi all’autorità amministrativa, una dinanzi alla corte d’appello ed eventualmente un’altra dinanzi alla Corte di cassazione) è una garanzia illusoria che non compensa l’intrinseca mancanza di equità del procedimento. E’ evidente la tentazione di delegare a questi «nuovi» procedimenti amministrativi la repressione di condotte che non possono essere perseguite con gli strumenti classici del diritto penale e della procedura penale. Tuttavia, la pressione dei mercati non può prevalere sugli obblighi internazionali di rispetto dei diritti dell’uomo, sussistenti in capo agli Stati aderenti alla Convenzione. Non si può evitare la repressione dei reati e la severità della pena, che implicano chiaramente il beneficio della tutela fornita dalle garanzie procedurali e materiali sancite dagli articoli 6 e 7 della Convenzione.

33.  Riteniamo che i ricorrenti siano stati trattati ingiustamente dalla CONSOB e dai giudici nazionali e che la nostra Corte abbia reso loro giustizia solo a metà. Per tale ragione sottoscriviamo solo in parte il ragionamento della maggioranza. Auspichiamo che la presente sentenza costituisca l’occasione per i giudici nazionali di rendere piena giustizia ai ricorrenti e che la medesima induca il legislatore italiano a porre rimedio alle mancanze strutturali del procedimento amministrativo e del procedimento giudiziario di applicazione e di controllo delle sanzioni amministrative della CONSOB. Se il legislatore raccoglierà tale sfida, ciò potrà rappresentare un esempio ed una fonte di ispirazione per gli altri legislatori che debbano affrontare un analogo problema sistemico.

nota I L’importo di questa sanzione è stato quintuplicato dall’articolo 39 punto 3 della legge 28 dicembre 2005, n. 262, entrata in vigore dopo la diffusione dei comunicati stampa in questione.

nota 1 Si veda Menarini Diagnostics SRL c. Italia, n. 43509/08, 27 settembre 2011, sulle pene comminate dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato.

nota 2 L’applicabilità dell’articolo 6 al procedimento amministrativo condotto dinanzi alla CONSOB e alle pene pronunciate all’esito di tale procedimento è stata già spiegata dalla maggioranza in modo convincente.

nota 3 Articolo 1 c. 6 e 18 della legge n. 216 del 7 giugno 1974 ed articolo 5 c. 1 b) e e) della delibera n. 8674 della CONSOB del 17 novembre 1994.

nota 4 Delibera n. 15087 del 21 giugno 2005.

nota 5 Delibere della CONSOB nn. 15086 del 21 giugno 2005, 15131 del 5 agosto 2005 e 16483 del 20 maggio 2008. Nelle osservazioni presentate il 7 giugno 2013, il Governo ha ammesso tale circostanza, sostenendo però che nella fattispecie il presidente della CONSOB non aveva «esercitato nessuno di tali poteri» durante la fase istruttoria. Questo argomento non è pertinente. Il semplice fatto che il presidente dell’organo che delibera sul caso possa intervenire nella fase antecedente al giudizio pregiudica l’imparzialità e l’indipendenza oggettive di tale organo.

nota 6 Sentenze della Corte di cassazione nn. 10757 del 24 aprile 2008 e 389 dell’11 gennaio 2006.

nota 7 Articolo 18 della delibera n. 8674/1994 della CONSOB del 17 novembre 1994.

nota 8 Tale mancanza di notifica è stata ritenuta contraria al principio del contraddittorio, con particolare riferimento alla determinazione della pena, che si basa in genere su fatti non comunicati alla persona sospettata (sentenza n. 51 della corte d’appello di Genova, 24 gennaio e 21 febbraio 2008).

nota 9 Tale fatto è stato ritenuto inammissibile alla luce del principio di imparzialità (sentenza n. 3070 del Tribunale amministrativo regionale (TAR) del Lazio, Roma, 10 aprile 2002).

nota 10 Si veda per esempio la sentenza del 23 giugno 2009 della Corte di cassazione, pagina 38. Tale giurisprudenza è stata contestata (ad esempio, il Consiglio di Stato ha difeso la tesi opposta nel suo parere n. 485 del 13 aprile 1999).

nota 11 Si veda in proposito, ad esempio, la sentenza n. 6211 della prima sezione del tribunale amministrativo regionale del Lazio (Roma) del 20 giugno 2013. Questo caso riveste un ulteriore interesse, in quanto dimostra che le disposizioni applicabili alla presente causa sono tuttora in vigore.

nota 12 Tale controllo giurisdizionale è quindi diverso dal sindacato giurisdizionale «debole» delle sanzioni amministrative irrogate dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, che esercitava la funzione di giudice amministrativo prima dell’entrata in vigore del nuovo CPA (si veda l’opinione del giudice Pinto de Albuquerque nella causa Menarini Diagnostics).

nota 13 Si vedano le sentenze della Corte di cassazione nn. 23930 del 9 novembre 2006 e 1761 del 27 gennaio 2006.

nota 14 Si vedano le sentenze della Corte di cassazione nn. 13703 del 22 luglio 2004, 1992 dell’11 febbraio 2003 e 9383 dell’11 luglio 2001.

nota 15 Si vedano le pagine 27, 32, 33, 38 e 39 della sentenza emessa dalla corte d’appello il 5 dicembre 2007  sul ricorso del sig. Stevens (depositata il 23 gennaio 2008). In essa sono contenuti otto riferimenti alle deposizioni di questi due testimoni, talvolta accompagnati da lunghe citazioni. Lo stesso vale per le pagine 28, 29, 38, 39, 40 e 41 della sentenza emessa sull’appello proposto dal sig. Gabetti e le pagine 38, 47, 48 e 49 della sentenza emessa sull’appello proposto dalla IFIL Investments spa. Le altre due sentenze ripetono in sostanza gli stessi argomenti. In effetti, le cinque sentenze sono state emesse da collegi di tre giudici, due dei quali erano sempre gli stessi.

nota 16 Osservazioni presentate alla corte d’appello il 25 settembre 2007: pagine 81 e 82 delle osservazioni del sig. Stevens e pagine 64 e 65 delle osservazioni del sig. Marrone. Il sig. Stevens chiedeva che la corte d’appello interrogasse i testimoni «sui fatti riferiti dai documenti medesimi», sottoponendo la seguente lista dei testimoni: Enrico Chiapparoli, Maurizio Tamagnini, John Winteler, Virgilio Marrone, Alistair Featherstone, Stephen Woodhead, Michael O’Donnell, Sergio Marchionne, Lupo Rattazi, Teodorani Fabbri, Antonio Marroco, Claudio Salini e Antonio Rosati. Anche il sig. Marrone era molto chiaro, chiedendo che i testimoni Andrea Griva e John Winteler fossero sentiti sui fatti esposti nelle loro precedenti deposizioni scritte, con riserva di ulteriori istanze istruttorie alla luce dei documenti che la CONSOB avrebbe successivamente inviato.

nota 17 Articolo 23 c. 6 della legge n. 689/1981.

nota 18 È incomprensibile che la corte d’appello abbia deliberato sulla questione generale del dolus malus del sig. Stevens ed in particolare sull’affermazione, secondo la quale egli avrebbe commesso un errore di diritto a causa della CONSOB, senza interrogare l’interessato e solo sulla base delle deposizioni dei testimoni a carico, il sig. Salini e il sig. Rosati (pagine 38 e 39 della sentenza della corte d’appello). Era estremamente importante procedere ad un confronto tra detti testimoni ed il sig. Stevens, al fine di valutare la sua mens rea, e con i rappresentanti della Merryl Linch, sigg. Enrico Chiapparoli e Maurizio Tamagnini, al fine di verificare l’esistenza di false informazioni (si vedano altresì le testimonianze di Lupo Ratazzi, Pio Fabbri e Antonio Marocco, che contraddicono la tesi della CONSOB). E’ dunque inammissibile affermare, come ha fatto il Governo nelle sue osservazioni del 7 giugno 2013 (pagine 58 e 59), che «la natura e il livello di particolare sofisticatezza degli illeciti di manipolazione del mercato non si prestano ad un procedimento  «orale».

nota 19 È esattamente la doglianza formulata più volte dai ricorrenti dinanzi alla Corte nei loro ricorsi e nelle loro osservazioni. L’ultimo periodo del paragrafo 150 della sentenza è semplicemente erroneo e persino contraddittorio rispetto alle asserzioni dei paragrafi 110 e 117 in fine della sentenza.

nota 20 La sentenza di principio è la sentenza Ekbatani c. Svezia (plenaria), n. 10563/83, 26 maggio 1988. Ai paragrafi 32 e 33 di tale sentenza, la Corte conclude per la violazione dell’articolo 6 proprio a causa dell’assenza di audizione del ricorrente e della parte attrice in una causa nella quale era stato chiesto al giudice di secondo grado il riesame dei punti di diritto e dei punti di fatto. Va sottolineato che è stata in quel caso constatata una violazione, sebbene il giudice di primo grado avesse deliberato sulle accuse penali mosse al ricorrente al termine di una pubblica udienza, durante la quale l’interessato era comparso, aveva reso dichiarazioni ed esposto gli argomenti in sua difesa. Nella presente causa, la corte d’appello di Torino ha deliberato come giudice di primo grado, il che rendeva ancor più necessario procedere al controinterrogatorio dei testimoni ed interrogare gli appellanti dinanzi al tribunale in pubblica udienza.

nota 21 Nella causa Tierce e altri c. San Marino (nn. 24954/94, 24971/94 e 24972/94, 25 luglio 2000), i ricorrenti non avevano potuto, in appello, assistere e deporre in pubblica udienza. Come il sig. Stevens, il sig. Tierce affermava in particolare che non sussisteva l’elemento soggettivo del reato (l’intento di trarre in inganno). In un’altra causa, la Corte è andata ancora più in là, concludendo che la presenza di informazioni riservate in un fascicolo non implicava automaticamente la necessità di tenere l’udienza a porte chiuse senza effettuare un bilanciamento tra la pubblicità del procedimento e gli interessi della sicurezza nazionale (Belashev c. Russia, n. 28617/03, 4 dicembre 2008).

nota 22 Il giudice Karakaş non è in disaccordo con la maggioranza per quanto concerne la regolarità della modifica dell’accusa da parte della corte d’appello.

nota 23 Secondo l’articolo 14 della legge n. 689/1981, la persona sospettata non può essere riconosciuta colpevole di fatti che non le sono stati addebitati nella notifica della contestazione (sentenze della Corte di cassazione n. 10145 del 2 maggio 2006 e n. 9528 dell’8 settembre 1999).

nota 24 Articolo 187 septies punto 2 del TUF.

nota 25 Si veda la pagina 137 della decisione CONSOB del 9 febbraio 2007.

nota 26 Tale constatazione è valida anche per le violazioni che non sono illecito proprio, vale a dire che possono essere commesse solo da alcune categorie di persone: il fatto che l’illecito amministrativo di manipolazione del mercato previsto dall’articolo 187 ter del TUF non sia illecito proprio non esonera l’organo preposto all’istruttoria dall’obbligo di descrivere nella formulazione dell’accusa le principali caratteristiche, pertinenti ai fini dell’imputazione, della condotta dell’autore dell’illecito e quindi un fatto relativo alla natura della partecipazione dell’accusato all’illecito è incontestabilmente una caratteristica principale che deve essere esposta dall’accusa.

nota 27 L’articolo 39 c. 3 della legge n. 262 del 28 dicembre 2005 ha innalzato detto importo a 25 milioni di euro.

nota 28 Questa regola va ben oltre quella enunciata all’articolo  17 c. 4 della legge tedesca sugli illeciti amministrativi (Ordnungswidrigkeitengesetz, OWiG), che permette di infliggere una sanzione pecuniaria equivalente all’importo del profitto dell’illecito, anche qualora quest’ultimo fosse superiore al limite massimo della pena prevista, e quella prevista dall’articolo 18 c. 2 della legge portoghese sugli illeciti amministrativi (Regime Geral das Contra-Ordenações, RGCO), che stabilisce la stessa regola, specificando che l’importo della sanzione adeguato all’importo del profitto dell’illecito non può comunque superare di un terzo il limite massimo della sanzione prevista dalla legge.

nota 29 Al pari dell’articolo 14 dell’OWiG in Germania e dell’articolo 16 della RGCO in Portogallo, che sanciscono entrambi il «concetto di autore unitario dell’illecito» (Einheitstäterbegriff), l’articolo 5 della legge italiana n. 689/1981 non distingue formalmente gli autori dai complici e non prevede limiti differenziati per le sanzioni inflitte rispettivamente agli autori principali ed ai complici in caso di illecito commesso da più persone. Tuttavia, la pena inflitta a ciascuno dei partecipanti alla commissione dello stesso illecito deve essere proporzionata alla gravità oggettiva della condotta e della personale colpevolezza soggettiva (si vedano ad esempio l’articolo 187 ter punto 5 del TUF, che menziona le «qualità personali del colpevole», e l’articolo 187 quater punto 3 del TUF, che menziona la «gravità della violazione» e il «grado della colpa»). Come dimostrato alla nota 14 supra, la Corte di cassazione ha considerato nella sua giurisprudenza la necessità di valutare con cura questi diversi elementi nella determinazione delle sanzioni amministrative, esattamente ciò che non è stato fatto nel caso di specie.

nota 30 Questa interpretazione è confermata dal paragrafo 77 della sentenza Spector Photo Group NV della CGUE del 23 dicembre 2009 (causa C-45/08). Dal momento che l’entità delle sanzioni amministrative variava ampiamente da uno Stato membro all’altro, le divergenze fra i procedimenti sanzionatori amministrativi favorivano l’arbitraggio regolamentare. Inoltre, quattro Stati membri non consideravano la manipolazione del mercato come reato e la definizione dello stesso e delle relative pene variava considerevolmente tra gli Stati nei quali esso era previsto. La recente approvazione da parte del Parlamento europeo di una nuova direttiva sulle sanzioni penali relative agli abusi di mercato e l’accordo politico relativo ad un futuro regolamento sulle misure amministrative da adottare a contrasto degli abusi di mercato cambierà la situazione nell’Unione europea. Gli Stati membri dovranno far sì che l’irrogazione delle sanzioni penali relative alle violazioni previste dalla nuova direttiva e delle sanzioni amministrative irrogate sulla base del futuro regolamento non conduca ad una violazione del principio del ne bis in idem.

nota 31 La Corte di cassazione lo ha espressamente riconosciuto nella sentenza pronunciata nel caso di specie il 30 settembre 2009. Il Governo riconosce nelle sue osservazioni del 7 giugno 2013, a pagina 23, che la responsabilità in virtù dell’articolo 25 sexies del decreto n. 231/2001 «possiede tutte le caratteristiche della responsabilità ‘penale’».

nota 32 E’ inconfutabile che la riserva espressa dall’Italia riguardo all’articolo 4 del Protocollo n. 7 non sia conforme alle severe norme stabilite nella giurisprudenza della Corte: essa è di portata troppo ampia. Non trovando applicazione tale riserva, la norma in questione è del tutto vincolante per lo Stato convenuto.

nota 33 Sentenza n. 40393 della Corte di cassazione, 15 ottobre 2012.

nota 34 Secondo le osservazioni del Governo del 7 giugno 2013 (pagina 8), il principio di specialità si applica quando due reati presentano gli stessi elementi costitutivi fondamentali, ma uno di essi è di portata più ristretta a causa di una precisazione o di un’integrazione al fatto, nel qual caso prevale il reato specifico.

nota 35 Nel sistema giuridico italiano non vi è una disposizione analoga all’articolo 84 dell’OWiG tedesca o all’articolo 79 della RGCO portoghese.

ALLEGATO
N. Ricorso n. Presentato il Ricorrente
Data di nascita
Luogo di residenza
Rappresentato da
1. 18640/10 27/03/2010 Franzo GRANDE STEVENS
13/09/1928 – Torino
Aldo BOZZI, avvocato del foro di Milano,
Giuseppe BOZZI, avvocato del foro di Roma e
Natalino IRTI, avvocato del foro di Milano
2. 18647/10 27/03/2010 Gianluigi GABETTI
29/08/1924 – Torino
Aldo BOZZI, avvocato del foro di Milano
e Giuseppe BOZZI, avvocato del foro di Roma
3. 18663/10 27/03/2010 Virgilio MARRONE
02/08/1946 – Torino
Aldo BOZZI, avvocato del foro di Milano
e Giuseppe BOZZI, avvocato del foro di Roma
4 18668/10 27/03/2010 EXOR S.P.A.
Società per azioni con sede a Torino
Aldo BOZZI, avvocato del foro di Milano
e Giuseppe BOZZI, avvocato del foro di Roma
5. 18698/10 27/03/2010 GIOVANNI AGNELLI & C. s.a.p.a.
Società in accomandita per azioni con sede a Torino
Aldo BOZZI, avvocato del foro di Milano
e Giuseppe BOZZI, avvocato del foro di Roma
Download PDF