Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 4 marzo 2015, n. 4437

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Qui di seguito la motivazione integrale della sentenza della Suprema Corte di Cassazione, sez. VI Civile 4 marzo 2015, n. 4437

In fatto

Con ricorso del 5.9.2012 R.M. adiva la Corte d’appello di Salerno per ottenere la condanna del Ministero dell’Economia e delle Finanze al pagamento di un equo indennizzo, ai sensi dell’art. 2 della legge 24 marzo 2001, n. 89, in relazione all’art. 6, paragrafo 1 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (CEDU), del 4.11.1950, ratificata con legge n. 848/55, per l’eccessiva durata di un processo amministrativo instaurato innanzi al T.A.R. di Catanzaro il 17.7.2000 e definito in appello con sentenza del Consiglio di Stato depositata il 13.4.2012.
Il Ministero dell’Economia e delle Finanze non svolgeva attività difensiva.
Con decreto del 26.5.2013 la Corte d’appello adita dichiarava inammissibile il ricorso, in quanto la domanda aveva ad oggetto l’indennizzo non per la durata complessiva del giudizio, ma per la sola frazione relativa al grado d’appello, nel quale soltanto si era verificato lo sforamento dello standard biennale, previsto dalla giurisprudenza della Corte EDU.
Per la cassazione di tale decreto ricorre R.M., in base ad un unico motivo.
Il Ministero dell’Economia e delle Finanze ha depositato un “atto di costituzione” al fine della partecipazione all’udienza di discussione.

Motivi della decisione

1. – Con l’unico motivo di ricorso è dedotta la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2 legge n. 89/01 (nel testo anteriore alle modifiche apportate dal D.L. n. 83/12 convertito in legge n. 134/12) e dell’art. 112 c.p.c.
Parte ricorrente premette di aver specificato nel ricorso introduttivo del procedimento ex lege n. 89/01 che innanzi al T.A.R. il processo era durato dal 17.7.2000 al 24.1.2002 e che, dunque, esso era stato contenuto in una durata rientrante in quella massima normalmente prevista per il giudizio di primo grado. Al contrario, il giudizio d’appello era durato 9 anni e sei mesi, sicché era relativamente a quest’ultimo che si era verificata la lesione del diritto ad un processo di durata ragionevole.
Quindi, sostiene parte ricorrente che a termini dell’art. 2 legge “Pinto” rientra nella disponibilità della parte limitare la propria domanda al solo grado che abbia avuto una durata eccedente il limite di ragionevolezza, fermo restando che compete al giudice considerare la complessiva durata del giudizio, in tutti i gradi e le fasi in cui questo si sia articolato, al fine di valutare la fondatezza della domanda, senza che ciò implichi una divergenza tra il chiesto e il pronunciato.
2. – Il motivo è fondato.
Com’è noto secondo la giurisprudenza di questa Corte in tema di equa riparazione ai sensi della legge 24 marzo 2001, n. 89, pur essendo possibile individuare degli standard di durata media ragionevole per ogni fase del processo, quando quest’ultimo sia stato articolato in vari gradi e fasi, agli effetti dell’apprezzamento del mancato rispetto del termine ragionevole di cui all’art. 6, paragrafo 1, della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, occorre avere riguardo all’intero svolgimento del processo medesimo, dall’introduzione fino al momento della proposizione della domanda di equa riparazione, dovendosi addivenire ad una valutazione sintetica e complessiva dell’unico processo da considerare nella sua complessiva articolazione. Ne consegue che non rientra nella disponibilità della parte riferire la sua domanda ad uno solo dei gradi di giudizio, optando per quello nell’ambito del quale si sia prodotta una protrazione oltre il limite della ragionevolezza (così e per tutte, Cass. n. 14786/13).
Ciò comporta il divieto di frazionare la domanda quante volte tale opzione sia diretta a falsare il giudizio finalizzato all’applicazione della legge c.d. Pinto, cioè ad impedire che la durata più che ragionevole di un grado possa compensare quella eccedente di un altro.
Tuttavia ciò non significa che la parte, la quale fornisca tutti gli elementi di valutazione circa la durata della causa presupposta nel suo intero svolgimento, non possa variamente ridurre la propria pretesa (salvo specifici profili di correttezza processuale, non ravvisabili nel caso in esame). Il giudice non è per questo espropriato del potere di effettuare una valutazione complessiva della durata del giudizio, poiché il divieto di pronunciarsi ultra o extra petita gli impedisce soltanto di porre a base della decisione fatti non allegati.
Ed invero, va chiarito che anche in tema di equa riparazione per l’irragionevole durata del processo la parte attrice può disporre del quantum della domanda, ma non dell’allegazione dei fatti storico-normativi che ne condizionano l’ammissibilità, nel senso che tali fatti essa non può selezionare e tacere a suo piacimen-_o senza incorrere nella relativa sanzione. La parte, pertanto, ha l’onere di precisare l’intera durata del giudizio presupposto, inclusi i gradi e le fasi di durata conforme agli standand di ragionevolezza. Assolto che sia tale onere, il giudice deve procedere alla valutazione unitaria della durata del processo, anche se nel formulare la domanda la parte si sia precipuamente riferita ai soli segmenti processuali in cui, a suo avviso, sarebbe stato superato il limite di durata ragionevole.
2.1. – Nella specie, la specifica allegazione della durata del primo grado, che la stessa parte ricorrente ha giudicato congrua, pone perfettamente il giudice di merito nelle condizioni di valutare il giudizio nella sua durata complessiva e di stabilire se, in qual misura e a partire da quale momento si sia registrata una durata eccedente il limite di ragionevolezza.
E dunque la Corte territoriale, supponendosi erroneamente vincolata per effetto della formulazione della domanda a valutare la sola durata del grado d’appello, ha tratto l’altrettanto errata conclusione che la domanda fosse stata strumentalmente frazionata in violazione dei principi più volte enunciati da questa Corte.
3. – Il decreto impugnato va dunque cassato con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di Salerno, che nel decidere si atterrà al seguente principio di diritto: “Anche in tema di equa riparazione per l’irragionevole durata del processo la parte attrice può disporre del quantum della domanda, ma non dell’allegazione dei fatti storico-normativi che ne condizionano l’ammissibilità, nel senso che tali fatti essa non può selezionare e tacere a suo piacimento senza incorrere nella relativa sanzione. La parte, pertanto, ha l’onere di precisare l’intera durata del giudizio presupposto, inclusi i gradi e le fasi di durata conforme agli standand di ragionevolezza. Assolto che sia tale onere, il giudice deve procedere alla valutazione unitaria della durata del processo, anche se nel formulare la domanda la parte si sia precipuamente riferita ai soli segmenti processuali in cui, a suo avviso, sarebbe stato superato il limite di durata ragionevole”.
4. – Il giudice di rinvio provvederà anche in ordine alle spese di cassazione, il cui regolamento gli è rimesso ai sensi dell’art. 385, terzo comma c.p.c.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso e cassa il decreto impugnato con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di Salerno, che provvederà anche sulle spese di cassazione.

 

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