Sentenza penale di condanna: il giudice deve dare conto della commisurazione della pena

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“Quando il Giudice del merito irroga una pena base pari o superiore a quella media edittale stabilita per il reato ritenuto in sentenza, ha l’obbligo di indicare specificamente i criteri soggettivi ed oggettivi desunti dall’art. 133 cod. pen., ai quali si è attenuto per la commisurazione della pena stessa, obbligo motivazionale che si intensifica in misura sempre maggiore quanto più il Giudice, distaccandosi dal limite edittale medio, si avvicina al limite edittale massimo stabilito per il reato in ordine al quale l’imputato ha riportato la condanna e criteri che vanno valutati ed apprezzati tenendo conto della funzione rieducativa, retributiva e preventiva della pena”.

Lo ha ribadito la Suprema Corte di Cassazione – sezione terza penale – con sentenza n.3875 del 26 gennaio 2016

Il caso

Sentenza penale di condanna: il giudice deve dare conto della commisurazione della pena

Sentenza penale di condanna: il giudice deve dare conto della commisurazione della pena

Un imputato ricorre personalmente per cassazione impugnando la sentenza con la quale la Corte di appello, a seguito di giudizio di rinvio, aveva, su appello proposto dal medesimo ricorrente avverso la sentenza del Tribunale di Napoli, rideterminato la pena di anni cinque di reclusione ed euro 60.000,00 di multa in ordine al reato di cui all’articolo 73, commi 1 e 1-bis, d.p.r. 9 ottobre 1990, n. 309 per avere illecitamente trasportato ingenti quantitativi di sostanza stupefacente del tipo marijuana, di cui grammi 1146,60 netti, composti da fogli e di infiorescenze, con principio attivo del 19,8% equivalente anni 227,03 di THC puro e al numero di 9081 dosi medie singole e grammi 8,42 netti, 1 principio attivo del 17%, equivalente a grammi 1,43 di Delta 9 THC pur e al numero di 57 dosi medie singole.

Il ricorso per cassazione

Per la cassazione dell’impugnata sentenza, il ricorrente solleva un unico motivo di impugnazione, con il quale denuncia la violazione della legge penale in relazione all’articolo 133 cod. pen. (articolo 606, comma 1, lettera b), codice di procedura penale) sul rilievo che la Corte territoriale non avrebbe dato conto dei criteri legali ai quali si è attenuto nella scelta, tra il minimo e massimo, della pena edittale determinata in quanto, se è vero che il giudice di merito gode di un’ampia discrezionalità nella determinazione della pena, egli comunque è tenuto ad indicare le ragioni e i criteri legali in relazione alla gravità complessiva del fatto e alla capacità a delinquere dell’imputato. Nello specifico, il ricorrente deduce che la Corte di appello ha irrogato, senza dare conto dei criteri seguiti, una pena eccessiva e sproporzionata incorrendo pertanto nell’inosservanza ed erronea applicazione della legge penale.

Le ragioni della decisione

Secondo gli Ermellini, la Corte territoriale ha liquidato la fase rescissoria del giudizio di rinvio dedicando alla questione circa la determinazione della pena sei righe, affermando che “stante l’ambito limitato della valutazione rimessa a questa Corte, non deve che individuarsi la pena base da applicare nella specie ai sensi della pre vigente disciplina e operare sulla stessa l’aumento della metà previsto per il tipo di recidiva contestato e la riduzione di 1/3 per il rito. Pena base congrua la Corte reputa quella di anni cinque di reclusione ed euro 60.000,00 di multa, che aumenta ad anni sette di reclusione ed euro 90.000,00 di multa per la recidiva ed euro 60.000 per il rito”.

Senonchè, per i giudici di piazza Cavour, l’operazione di rideterminazione della pena si è risolta nella formulazione di un calcolo aritmetico del tutto svincolato, salvo il nudo riferimento alla congruità, dai parametri legali e dagli obblighi motivazionali che sono previsti e richiesti nei casi di irrogazione della sanzione penale.

L’obbligo di motivazione in ordine ai criteri soggettivi ed oggettivi ex art. 133 c.p.

In tal modo – proseguono i giudici di legittimità – la Corte territoriale ha pesantemente disatteso il principio di diritto secondo il quale l’irrogazione di una pena base pari o superiore, come nella specie, alla media edittale richiede una specifica motivazione in ordine ai criteri soggettivi ed oggettivi elencati dall’art. 133 cod. pen., valutati ed apprezzati tenendo conto della funzione rieducativa, retributiva e preventiva della pena (Sez. 3, n. 10095 del 10/01/2013, Monterosso, Rv. 255153).

La discrezionalità giudiziale in materia di commisurazione della pena

Gli Ermellini ricordano come la discrezionalità giudiziale in materia di commisurazione della pena sia una discrezionalità cd. guidata, ossia vincolata, non già assolutamente libera e affrancata da specifici parametri di riferimento, perché, ai sensi dell’art. 132, comma 1, cod. pen., se è vero che il giudice applica la pena discrezionalmente nei limiti fissati dalla legge, è anche vero che “esso deve indicare i motivi che giustificano l’uso di tale potere discrezionale”, secondo i parametri legislativamente disegnati dall’art. 133 cod. pen.

Ed ancora, i giudici della Suprema Corte ricordano che, in tema di determinazione della pena, quanto più il giudice intenda discostarsi dal minimo edittale, tanto più ha il dovere di dare ragione del corretto esercizio del proprio potere discrezionale, indicando specificamente, fra i criteri oggettivi e soggettivi enunciati dall’art. 133 cod. pen., quelli ritenuti rilevanti ai fini di un tale giudizio (Sez. 6, n. 35346 del 12/06/2008, Bonarrigo ed altri, Rv. 241189) e ciò in sintonia con la giurisprudenza costituzionale sull’art. 27, comma 3, Cost. Sicché, nella determinazione della pena, quanto più il giudice si avvicina al massimo edittale, tanto più stringente deve essere per lui l’obbligo di motivazione circa l’esercizio del potere discrezionale conferitogli dalla legge.

Il principio di diritto.

Il giudice di rinvio dovrà attenersi, nella specie, al seguente principio di diritto: quando il Giudice del merito irroga una pena base pari o superiore a quella media edittale stabilita per il reato ritenuto in sentenza, ha l’obbligo di indicare specificamente i criteri soggettivi ed oggettivi desunti dall’art. 133 cod. pen., ai quali si è attenuto per la commisurazione della pena stessa, obbligo motivazionale che si intensifica in misura sempre maggiore quanto più il Giudice, distaccandosi dal limite edittale medio, si avvicina al limite edittale massimo stabilito per il reato in ordine al quale l’imputato ha riportato la condanna e criteri che vanno valutati ed apprezzati tenendo conto della funzione rieducativa, retributiva e preventiva della pena.

Una breve riflessione

Interessante principio che viene, nell’occasione, ribadito dalla Suprema Corte. Interessante è pure l’inferenza relativa alla entità della pena irrogata, nel senso che, tanto più la pena è alta, maggiore sarà l’obbligo del giudice e quindi più stringente diviene il controllo sul suo potere discrezionale.

Il riferimento, poi, alla funzione rieducativa, retributiva e preventiva della pena, della quale il giudice deve tenere conto, è davvero illuminante in ordine alla “ratio” del principio espresso e ribadito dalla Suprema Corte.

In altre parole, vero è che il giudice può irrogare la pena tra il minimo ed il massimo previsti dalla legge, ma è anche vero che, proprio in funzione della funzione della pena, qualora la pena irrogata sia pari o superiore alla media edittale, il giudice dovrà dare conto dei criteri utilizzati. E tale obbligo, come sopra detto, sarà tanto più stringente quanto più la pena verrà irrogata in misura superiore alla media edittale e, quindi, in misura prossima al massimo edittale.

avv. Filippo Pagano (f.pagano@clouvell.com)

managing partner at clouvell (www.clouvell.com)

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