Pubblica amministrazione e rinuncia tacita alla prescrizione

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Il creditore che, per paralizzare l’eccezione di prescrizione del suo diritto, eccepisca a sua volta l’esistenza, da parte del debitore, di una rinuncia tacita alla prescrizione stessa, deve dimostrare non solo il compimento di fatti esplicitanti una volontà incompatibile con quella di avvalersi della prescrizione, ma anche che i fatti medesimi siano stati posti in essere dal soggetto in cui favore la prescrizione era maturata, e cioè dal soggetto che ha acquisito il diritto a farla valere e, quindi, anche a rinunciare ad essa, con la conseguenza che, ove la prescrizione sia maturata in favore di un ente pubblico che l’abbia ritualmente eccepita, il creditore che, a sua volta, ne controeccepisca la rinuncia deve provare anche che il comportamento esplicitante la volontà abdicativa sia stato posto in essere dal soggetto che, secondo la normativa vigente al momento di tale comportamento, era legittimato a disporre del diritto ad eccepire la prescrizione, ovvero a rinunciarvi.

Lo ha stabilito la Suprema Corte di Cassazione – sezione 1° civile – con sentenza n.14256 del giorno 8 luglio 2015

Pubblica amministrazione e rinuncia tacita alla prescrizione

Pubblica amministrazione e rinuncia tacita alla prescrizione

Il caso

Con atto di citazione notificato in data 12 dicembre 2007 un Comune impugnava davanti alla Corte di appello di Napoli nei confronti di una società per azioni il lodo arbitrale reso inter partes in data 14 aprile 2007, con il quale era stato condannato al pagamento della somma di euro 264.028,73, in relazione a lavori dati in appalto per l’adeguamento dell’impianto di depurazione dei liquami fognari.

Con la sentenza conclusiva del giudizio, la Corte territoriale ha accolto il motivo di impugnazione inerente alla liquidazione, in via equitativa, dei danni derivanti dal mancato collaudo, in assenza di qualsiasi indicazione, nel dolo, dei criteri posti alla base della determinazione del pregiudizio; procedendo in via rescissoria ha poi rigettato la relativa domanda.

Ogni altro motivo di impugnazione del lodo è stato rigettato: quanto alla violazione dell’art. 2937 cod. civ. si è rilevato che la relativa eccezione implicasse un esame, inammissibile in sede di impugnazione del lodo, delle valutazioni di merito inerenti all’interpretazione del documento ritenuto come valido atto interruttivo della prescrizione; nel resto si è rilevato che la motivazione del lodo fosse complessivamente congrua e tale da rendere intellegibili le ragioni della decisione; quanto, infine, alla decorrenza della revisione, si è del pari osservato che tale motivo di impugnazione implicasse un riesame, nel merito, della documentazione valutata dagli arbitri.

E’ stata altresì respinta l’impugnazione proposta in via incidentale dalla società, rilevandosi in primo luogo la sua proposizione in via condizionata.

Da qui il ricorso per cassazione, da parte del Comune, affidato ad unico ed articolato motivo, cui resiste la società, proponendo ricorso incidentale, affidato a due motivi.

I motivi di ricorso

Con unico motivo di ricorso, denunciando violazione dell’art. 829 cod. proc. civ., il Comune ricorrente in via preliminare ribadisce che le doglianze inerenti alla violazione, da parte del Collegio arbitrale, del precetto contenuto nell’art. 2937 cod. civ., costituivano valide denunzie di errori di diritto e, quindi, motivi di impugnazione del lodo pienamente ammissibili.

Si sostiene quindi, che, la richiesta di pagamento relativa al saldo revisionale venne avanzata dopo circa venti anni dalla consegna dell’impianto, essendosi per altro accertata l’impossibilità di eseguire il collaudo, e che la prescrizione di ogni credito vantato dalla società ritualmente eccepita dal Comune, erroneamente era stata esclusa sulla base di una lettera inviata dall’Ufficio tecnico Comunale in data 18 maggio 1995, che non poteva integrare una valida rinunzia alla prescrizione, in quanto non proveniente dall’organo al quale la legge attribuisce i poteri di disposizione.

Sotto altro profilo si sostiene che l’efficacia della ritenuta rinunzia alla prescrizione, in ipotesi concernente il solo credito rappresentato dal saldo revisionale, era stata riferita, in violazione degli artt. 2937 e 2944 cod. civ., al complesso delle pretese della società appaltatrice.

La Suprema Corte ritiene il motivo fondato.

Per la Suprema corte, nel caso di specie, come precisato nella stessa decisione impugnata, è applicabile, ratione temporis, la disciplina dell’arbitrato quale risultante dalla c.d. riforma del 1994, che, per quanto in quella sede maggiormente rileva, normalmente prevede, a differenza della disposizione attualmente contenuta nell’art. 829, comma 3, cod. proc. civ., l’impugnabilità del lodo per violazione di norme di diritto. Nel caso di specie – proseguono gli Ermellini – è agevole constatare la natura squisitamente giuridica del motivo di impugnazione inerente all’invalidità della rinuncia alla prescrizione, con riferimento alla carenza di poteri dispositivi in capo al soggetto dal quale il documento prodotto dalla società appaltatrice promanava: l’affermazione secondo cui si sarebbe trattato di “una inammissibile rivisitazione delle valutazioni di merito operate dagli arbitri” si risolve in un ingiustificato “non liquet”. Ciò in quanto la verifica del rapporto fra un determinato fatto e gli elementi normativi attiene, nella sostanza, ad un giudizio sull’applicabilità o meno di una disposizione normativa a una determinata fattispecie, e non può essere confinata in una mera valutazione delle risultanze processuali (v. Cass., 19 gennaio 1979, n. 394; Cass., 6 dicembre 2000, n. 15485; Cass., 16 agosto 2005, n. 16958; Cass., 4 settembre 2012, n. 14773).

Il principio di diritto a cui si rifà la Corte Suprema.

Per i giudici di piazza Cavour, il creditore che, per paralizzare l’eccezione di prescrizione del suo diritto, eccepisca a sua volta l’esistenza, da parte del debitore, di una rinuncia tacita alla prescrizione stessa, deve dimostrare non solo il compimento di fatti esplicitanti una volontà incompatibile con quella di avvalersi della prescrizione, ma anche che i fatti medesimi siano stati posti in essere dal soggetto in cui favore la prescrizione era maturata, e cioè dal soggetto che ha acquisito il diritto a farla valere e, quindi, anche a rinunciare ad essa, con la conseguenza che, ove la prescrizione sia maturata in favore di un ente pubblico che l’abbia ritualmente eccepita, il creditore che, a sua volta, ne controeccepisca la rinuncia deve provare anche che il comportamento esplicitante la volontà abdicativa sia stato posto in essere dal soggetto che, secondo la normativa vigente al momento di tale comportamento, era legittimato a disporre del diritto ad eccepire la prescrizione, ovvero a rinunciarvi (Cass., 17 gennaio 2003, n. 651; Cass., 19 maggio 2014, n. 10955).

E poiché nella specie oggetto di esame, in relazione a un atto di competenza del Consiglio comunale, ovvero della Giunta che ne assuma i poteri, la corte territoriale ha omesso di verificare se l’invio di un conteggio da parte di un funzionario potesse o meno ricondursi all’espressione dell’atto abdicativo proveniente da un soggetto legittimato a disporre del diritto in base alla normativa all’epoca vigente, la Corte di legittimità ha annullato la sentenza con rinvio per nuovo esame.

Una breve riflessione.

La sentenza in rassegna costituisce lo spunto per plurime riflessioni.

Innanzitutto, uno dei temi trattati è quello della rinuncia alla prescrizione, ed in particolare della rinunzia tacita.

Sul punto, l’articolo 2937 del codice civile stabilisce che la rinunzia può risultare da un fatto incompatibile con la volontà di valersi della prescrizione.

Orbene, come è facilmente intuibile, trattandosi di atti o comportamenti c.d. concludenti, occorre, di volta in volta fare un apprezzamento, in punto di fatto, su tali atti o comportamenti al fine di verificare se ad essi possa attribuirsi il significato, discendente dalla citata fonte normativa, di abdicazione agli effetti favorevoli discendenti dalla prescrizione.

Altro problema affrontato dalla sentenza dei giudici di legittimità è quello relativo alla titolarità del potere di rinunzia.

Recita la citata norma che non può rinunziare alla prescrizione chi non può disporre validamente del diritto.

Norma talmente ovvia da apparire quasi banale. Ma tanto banale, in fondo, la questione non è in quanto nella specie, proprio in forza della lettura della norma ex art. 2937 c.c., la Suprema Corte accoglie il ricorso.

Un conteggio effettuato da un funzionario del Comune non viene ritenuto atto idoneo a rinunciare alla prescrizione in quanto egli non aveva il potere di abdicare agli effetti favorevoli conseguenti all’intervenuta prescrizione in favore dell’ente pubblico. Potere che spettava al Consiglio comunale ovvero alla Giunta.

Ciò da un punto di vista strettamente giuridico è vero.

Ma è altrettanto vero che, in siffatto modo, viene ad essere violato il principio del legittimo affidamento che il privato ripone negli atti provenienti dalla pubblica amministrazione.

Il privato non dovrebbe preoccuparsi (e, quindi, sul privato non dovrebbero ricadere le conseguenze) della mancata legittimazione da parte del soggetto che, in base ad un rapporto di immedesimazione organica, esterna pur sempre la volontà dell’ente.

Esigenze di tutela del privato e dell’affidamento richiederebbero dunque che, in un caso come quello oggetto di esame, la volontà dell’ente, esternata tramite un soggetto privo dei poteri ma che come tale appare, dovrebbe esplicare egualmente i propri effetti, salva eventuale azione di responsabilità che l’ente potrebbe promuovere contro colui che ha esternato tale volontà.

avv. Filippo Pagano (f.pagano@clovuell.com)

managing partner at clouvell (www.clouvell.com)

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