La nozione di deducibile in tema di preclusione da giudicato

Download PDF

1° massima

La domanda di una lavoratrice avente ad oggetto la richiesta di un maggior trattamento retributivo per lo svolgimento di una prestazione lavorativa a tempo parziale, unilateralmente e discrezionalmente variata nella sua articolazione dalla società datrice non è preclusa dal giudicato formatosi tra le stesse parti, in ordine all’esclusione di nullità della clausola di part time e di trasformazione del rapporto da tempo parziale a tempo pieno, richieste dalla prima nei confronti della seconda. Non si configura, infatti, tra tali domande un rapporto di dipendenza indissolubile, tale da determinare l’assoluta inutilità di una decisione sulla seconda questione, ma sussiste piuttosto tra esse un rapporto di autonoma alternatività, per differenza di causa petendi e di petitum.

2° massima

Il deducibile non comprende ogni e qualsiasi controversia che possa sorgere tra le parti in relazione ad un medesimo presupposto, come il rapporto di lavoro, ma solo quella conseguenza o quella premessa direttamente ed immediatamente correlata. Non vi è preclusione di giudicato quando le domande, anche tra le stesse parti, siano tra loro autonome, per diversità di causa petendi e petitum, in un rapporto di subordinazione dell’una all’altra o di alternatività.

Lo ha ribadito la Suprema Corte Cassazione – sezione lavoro – con sentenza n. 17707 del 7 settembre 2015

La nozione di deducibile in tema di preclusione da giudicato

La nozione di deducibile in tema di preclusione da giudicato

Il caso

La Corte d’appello di Cagliari, s.d. di Sassari, in riforma della sentenza di primo grado (che, sul presupposto della formazione di giudicato ostativo tra le stesse parti, aveva respinto la domanda di una lavoratrice di condanna del datore di lavoro, di cui era dipendente part time, in situazione di costante reperibilità, di integrazione della retribuzione fino a concorrenza del trattamento erogato a dipendente a tempo pieno o a somma da liquidare in via equitativa in ragione della continua disponibilità richiesta), con sentenza in esito al secondo grado giudizio condannava la società datrice al pagamento, in suo favore, di una maggiorazione del 10% sulla retribuzione lorda globale dal I° aprile 1995 al 31 dicembre 2006 e alla rifusione delle spese dei due gradi di giudizio.

La insussistenza di precedente giudicato.

Preliminarmente esclusa la novità dell’eccezione di insussistenza di giudicato soltanto in grado d’appello proponibile, la Corte territoriale ne ravvisava la fondatezza per la sua formazione su domanda in precedente giudizio tra le stesse parti (di accertamento della nullità della clausola di part time e di trasformazione del rapporto, da tempo parziale a tempo pieno) diversa da quella oggetto di esame per causa petendi (maggiore penosità della prestazione, in ragione della discrezionale articolazione) e petitum (somma ragguagliante ai sensi dell’art. 36 Cost. l’effettiva consistenza della prestazione alla retribuzione), neppure deducibile nel precedente giudizio; nel merito, essa riteneva provata la maggiore onerosità, rispetto a quella ordinaria part time, della prestazione della lavoratrice (così come pretesa nella sua discrezionale articolazione datoriale, continuamente modificata all’ultimo momento, impediente la programmazione dei tempi di “non lavoro”), liquidabile secondo l’art. 36 Cost. in misura del 10% di maggiorazione su tutte le voci componenti la retribuzione mensile al lordo.

I motivi del ricorso per cassazione da parte del datore di lavoro

Con unico motivo, il datore di lavoro deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 c.c. e vizio di motivazione, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 e n. 5 c.p.c., per erroneo riconoscimento dell’ammissibilità (e fondatezza) della domanda di maggior trattamento retributivo per asserito svolgimento di prestazione lavorativa a tempo pieno anziché parziale, come convenuto, per inosservanza del principio di ne bis in idem, in presenza di giudicato tra le stesse parti di esclusione di una tale natura del suddetto rapporto di lavoro, tale da coprire anche la domanda in oggetto, deducibile nel primo giudizio definito con il giudicato invocato, per la sua dipendenza da un tale accertamento.

La Corte di legittimità ritiene infondato il ricorso

Per la Suprema Corte, infatti, la corte territoriale ha escluso la formazione di un giudicato (relativo a domanda in precedente giudizio tra le stesse parti di accertamento della nullità della clausola di part time e di trasformazione del rapporto da tempo parziale a tempo pieno) opponibile nell’odierna controversia, avente ad oggetto la richiesta di un maggior trattamento retributivo per svolgimento di una prestazione lavorativa a tempo parziale, unilateralmente e discrezionalmente variata nella sua articolazione dalla società datrice, in effetti – proseguono gli Ermellini – riconosciuto per la maggiore penosità della prestazione, in ragione di ciò e liquidato in via equitativa, sulla base dell’art. 36 Cost., in misura del 10% di maggiorazione su tutte le voci componenti la retribuzione mensile al lordo.

La nozione di deducibile in tema di preclusione da giudicato.

E ciò – proseguono i giudici di legittimità – per l’indeducibilità della questione nel precedente giudizio (in senso ostativo alla proposizione di autonoma domanda per preclusione appunto da giudicato), in quanto “il deducibile non comprende ogni e qualsiasi controversia che possa sorgere tra le parti in relazione ad un medesimo presupposto, come il rapporto di lavoro, ma solo quella conseguenza o quella premessa direttamente ed immediatamente correlata” (così a pag. 7 della sentenza).

Quando ricorre la deducibilità ostativa.

E la deducibilità ostativa ricorre – per gli Ermellini – esclusivamente quando il decisum sia l’antecedente logico necessario del decidendum: nel senso che tra la questione decisa in modo espresso e quella che si vuole implicitamente risolta sussista un rapporto di dipendenza indissolubile, tale da determinare l’assoluta inutilità di una decisione sulla seconda questione (Cass. 6 aprile 2012, n. 5581, con specifico riferimento alla non preclusione della domanda del lavoratore di risarcimento da mancata contribuzione per giudicato esplicito sulla domanda di risarcimento da mancata retribuzione, trattandosi di domande, pur unificate da una comune istanza risarcitoria, tuttavia dirette al conseguimento di beni giuridici distinti e fondate su fatti costitutivi autonomi).

Quando non sussiste la indeducibilità.

Per i giudici della Suprema Corte, tale indeducibilità non sussiste quando le domande, anche tra le stesse parti, siano tra loro autonome, per diversità di causa petendi e petitum, in un rapporto di subordinazione dell’una all’altra o di altematività: così in tema di riconoscimento di mansioni superiori, il giudicato formatosi in relazione ad un determinato momento contrattuale non preclude la proposizione di una ulteriore domanda, relativa al medesimo rapporto ma riferita a diverso e successivo momento contrattuale, di modo che la pronuncia di illegittima esclusione da un concorso ed al conseguente risarcimento del danno non impedisce la proposizione di una successiva domanda di riconoscimento della qualifica a cui si riferiva la procedura concorsuale dichiarata illegittima, ma basata sull’effettivo svolgimento delle relative mansioni (Cass. 28 ottobre 2014, n. 22838); così neppure precludendo il decreto ingiuntivo non opposto, relativo a spettanze retributive per un limitato periodo temporale, all’ente pubblico ingiunto la contestazione dell’avvenuta instaurazione di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato al di fuori di procedure di carattere concorsuale (Cass. 9 febbraio 2015, n. 2370). O ancora la preclusione da giudicato è stata esclusa su domande riguardanti l’accertamento di inclusione di voci diverse nella base di computo T.r.f. (Cass. 21 novembre 2003, n. 17754) o l’impugnazione del licenziamento per ragioni diverse (Cass. 16 giugno 2000, n. 8217).

Perché la decisione impugnata è corretta.

Secondo i giudici di piazza Cavour, la Corte territoriale ha esattamente applicato la norma di diritto (infondatamente) denunciata, avendo correttamente argomentato (per le ragioni esposte a pagg. 6 e 7 della sentenza) l’insussistente preclusione da giudicato (in riferimento ad una domanda sulla quale, tra l’altro, il Tribunale autore della sentenza in tesi pregiudicante neppure aveva pronunciato sul rilievo di non rituale richiesta in quel giudizio: come riportato a pag. 3 della sentenza e ribadito all’ultimo capoverso di pag. 2 del controricorso) e chiaramente distinto le due azioni in oggetto, per diversità di causa petendi (accertamento della nullità della clausola di part time, per la prima; maggiore penosità della prestazione, in ragione dell’unilaterale discrezionale articolazione datoriale, per la seconda) e di petitum (trasformazione del rapporto, da tempo parziale a pieno, per la prima; somma ragguagliante ai sensi dell’art. 36 Cost. l’effettiva consistenza della prestazione alla retribuzione, per la seconda). Neppure prospettandosi un’estensione della causa petendi né del petitum della domanda originaria coperti da giudicato, in assenza di una soluzione delle questioni di fatto o di diritto ad essa relative che faccia stato nell’odierno giudizio (Cass. 6 marzo 2014, n. 5245).

Il principio di diritto affermato dalla Suprema Corte.

“La domanda di una lavoratrice avente ad oggetto la richiesta di un maggior trattamento retributivo per lo svolgimento di una prestazione lavorativa a tempo parziale, unilateralmente e discrezionalmente variata nella sua articolazione dalla società datrice non è preclusa dal giudicato formatosi tra le stesse parti, in ordine all’esclusione di nullità della clausola di part time e di trasformazione del rapporto da tempo parziale a tempo pieno, richieste dalla prima nei confronti della seconda. Non si configura, infatti, tra tali domande un rapporto di dipendenza indissolubile, tale da determinare l’assoluta inutilità di una decisione sulla seconda questione, ma sussiste piuttosto tra esse un rapporto di autonoma alternatività, per differenza di causa petendi e di petitum”.

Da qui il rigetto del ricorso.

Una breve riflessione

La sentenza in rassegna riveste notevole interesse non tanto per la specifica questione oggetto del contendere, quanto perché chiarisce il confine tra deducibile ed indeducibile in tema di preclusione da giudicato.

Si sente affermare spesso che il giudicato copre il dedotto ed il deducibile. Cosa sia il dedotto, nulla quaestio. Le cose cambiano per il deducibile, nozione tecnica di difficile intuizione.

Come ci ricorda la Suprema Corte, il deducibile non comprende ogni e qualsiasi controversia che possa sorgere tra le parti in relazione ad un medesimo presupposto, come il rapporto di lavoro, ma solo quella conseguenza o quella premessa direttamente ed immediatamente correlata. Non vi è preclusione di giudicato quando le domande, anche tra le stesse parti, siano tra loro autonome, per diversità di causa petendi e petitum, in un rapporto di subordinazione dell’una all’altra o di alternatività.

Ciò detto, v’è da chiedersi come l’applicazione di un tale principio possa conciliarsi con l’orientamento della Suprema Corte (cfr. Cass.28286 del 2011) in forza del quale è vietato un uso parcellizzato della tutela processuale.

avv. Filippo Pagano (f.pagano@clouvell.com)

managing partner at clouvell (www.clouvell.com)

 

Download PDF