Comunione, condominio e ripartizione delle spese per consumi idrici

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Esula dall’ambito di operatività dell’art. 1110 c.c., il quale attiene alle spese necessarie per la conservazione della cosa comune, la domanda di rimborso delle spese derivanti dalla prestazione di un servizio condominiale di fornitura di acqua potabile a vantaggio di un’unità immobiliare di proprietà esclusiva, conseguenti alla ripartizione interna del consumo unitario del complesso immobiliare fatturato dall’ente erogatore e ripartite sulla base dei contatori di sottrazione installati nelle singole porzioni, ovvero in base ai rispettivi valori millesimali

Lo ha affermato la Suprema Corte di Cassazione – sezione seconda civile – con sentenza n°10864 del 25 maggio 2016

Il caso 

Comunione, condominio e ripartizione delle spese per consumi idrici

Comunione, condominio e ripartizione delle spese per consumi idrici

Con citazione del 15.02.2005 un Condominio conveniva davanti al Giudice di Pace territorialmente competente due soggetti asserendo che questi, quali proprietari di altro immobile, fossero debitori nei confronti del Condominio della somma di € 1.961,59, oltre interessi pari ad € 125,78, per “spese condominiali” relative agli anni 2001 – 2002 – 2003- 2004 (marzo).

L’attore domandava pertanto la condanna dei convenuti al pagamento della somma di € 2.087,37, comprensiva dell’importo di € 1,049,76 per il consumo di acqua potabile, il cui impianto di erogazione appartiene al Condominio, e di un residuo importo per costi di gestione e manutenzione di un piazzale comune sul quale affacciavano sia il Condominio stesso sia le tre villette a schiera, tra le quali vi era quella di proprietà dei convenuti.

La difesa dei convenuti

Si costituivano in giudizio i convenuti deducendo di non avere mai fatto parte del Condominio attore posto che l’unità immobiliare di loro proprietà era compresa in un diverso complesso denominato composto, appunto, da tre villette a schiera del tutto indipendenti dal Condominio attore.

Con sentenza del 29.11.2006 il Giudice di Pace rigettava la domanda per il difetto di approvazione delle spese ai sensi dell’art. 1005 c.c. Questa pronuncia veniva impugnata dal Condominio e il Tribunale di Monza, con sentenza n. 798 del 6 giugno 2011, accoglieva l’appello, condannando gli originari convenuti a corrispondere al Condominio la somma di € 2.087,37, oltre interessi legali.

La motivazione del giudice di appello.

Osservava il Tribunale che le spese relative all’erogazione ed al consumo dell’acqua potabile per gli anni 2001, 2002, 2003 e 2004 (pari ad € 1.049,76) avessero natura non di spese relative al godimento della cosa comune, cui applicare l’art. 1104 c.c., quanto di spese necessarie per l’utilità della cosa comune, ai sensi dell’art. 1110 c.c., sicchè esse prescindevano dall’approvazione assembleare ed andavano rimborsate al comunista che le aveva anticipate. Si trattava, secondo quanto accertato dal tribunale, di contributo dovuto per la fornitura di acqua potabile in favore dell’immobile degli appellati, da calcolare in proporzione delle quote dei partecipanti. La doverosità di tale rimborso era affermata dal giudice dell’appello sulla base del dato che il Condominio e le tre villette erano all’epoca delle vicende di causa dotate di un unico contatore dei consumi dell’acqua, sicché l’importo ivi registrato veniva unitariamente richiesto dall’ente erogatore al Condominio e la quota spettante alla singola villetta veniva calcolata sulla base delle risultanze di un conta litri autonomo apposto su ciascuna di esse. Sicché – prosegue il giudice di appello – sino al 31.12.1999 era stato provato in causa che i convenuti avessero pagato all’amministratore del Condominio attore le somme a titolo di “spese condominiali” determinate alla luce della lettura del rispettivo “conta litri”, il che rendeva ravvisabile un mandato per facta concludentia conferito al medesimo amministratore per individuare la quota di contribuzione alle spese per il consumo dell’acqua.

Parimenti fondato risultava per il Tribunale il residuo importo preteso per le spese di conservazione e godimento del piazzale comune, in quanto afferenti costi sostenuti per la pulizia dei cassonetti e del giardino e per il taglio dell’erba, ovvero spese di conservazione e godimento in ordine alle quali era superabile la mancata convocazione dell’assemblea ex art. 1104 c.c. Bastavano, secondo il giudice dell’appello, a determinare la relativa quota di contribuzione a tali spese dovuta dai convenuti la natura propter rem dell’obbligo, tale da rendere superflua la deliberazione assembleare, come pure il Regolamento contrattuale dell’altro, pur mai costituito Condominio (di cui facevano parte le villette dei convenuti), che prevedeva la misura del concorso di quest’ultimo alle spese nella misura di 3/23, nonché l’accordo per facta concludentia intercorso per anni fra le parti circa il concorso dei proprietari delle villette alle spese del piazzale comune. Da qui il ricorso per cassazione avverso la sentenza del Tribunale

I motivi di ricorso

Il primo ed il secondo motivo di ricorso, unitariamente esposti, deducono violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1110 c.c. nonché “omessa applicazione” degli artt. 1104 e 1105 c.c., in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c.

Si assume che le spese per fornitura d’acqua non rientrano tra quelle necessarie alla conservazione della cosa comune, essendo al più utili per il godimento. Né ricorrerebbe il presupposto per l’applicabilità dell’art. 1110 c.c. costituito dalla trascuranza degli altri partecipanti. Così come non condivisibile per i ricorrenti è l’affermazione fatta dal Tribunale circa la superfluità della deliberazione assembleare quanto alle spese relative alla conservazione ed al godimento del piazzale comune.

Il terzo motivo di ricorso censura, ex art. 360 n. 5 c.p.c., il difetto di motivazione, per aver il Tribunale, quanto alle spese per l’acqua potabile, omesso di considerare che la misurazione era stata eseguita da un soggetto estraneo senza contraddittorio con i proprietari, e per aver, invece, ritenuto credibile che per gli anni pregressi i ricorrenti avessero pagato le spese sulla base dei soli conteggi presentati dall’amministratore del condominio. Si oppone al riguardo un’errata valutazione delle risultanze probatorie, in particolare di quelle documentali che vengono fotocopiate in ricorso.

La Corte ritiene fondati i primi due motivi di ricorso.

Per gli Ermellini risulta dalla sentenza impugnata quale circostanza incontestata che la somma di E 1.049,76 pretesa a rimborso attiene alla fornitura di acqua potabile “in favore dell’immobile di proprietà” degli originari convenuti. A tale causale il Tribunale – giudice di appello – ha ritenuto applicabile l’art. 1110 c.c.

La portata dell’articolo 1110 c.c.

Secondo i giudici di legittimità, l’art. 1110 c.c. attiene, però, alle “spese necessarie per la conservazione della cosa comune”, stabilendo il diritto al rimborso in favore del partecipante alla comunione, il quale, in caso di trascuranza degli altri compartecipi o dell’amministratore, abbia sostenuto i relativi esborsi. Condizionano tale diritto al rimborso il preventivo interpello o, quantomeno, avviso degli altri partecipanti o dell’amministratore, ovvero l’inattività di questi ultimi; e poi – proseguono gli Ermellini – essenzialmente, il presupposto che si tratti di spese indispensabili per il mantenimento dell’integrità del bene comune, e non soltanto occorrenti per la migliore fruizione della cosa comune (Cass. 09/09/2013, n. 20652; Cass. 8 gennaio 2013, n. 253).

Esula, quindi, del tutto dall’ambito di operatività dell’art. 1110 c.c., il pagamento delle spese derivanti dalla prestazione di un servizio condominiale (potendo rientrare nell’ambito dell’art. 1117 c.c., ed ancor più dell’art. 1117-bis c.c., aggiunto dalla legge 11 dicembre 2012, n. 220, anche il caso di edifici e proprietà singole, nella specie villette a schiera, che abbiano parti o servizi comuni: cfr. Cass. 18/09/2015, n. 18344) di fornitura di acqua potabile a vantaggio di un’unità immobiliare di proprietà esclusiva, conseguenti alla ripartizione interna del consumo unitario del complesso immobiliare fatturato dall’ente erogatore e ripartite sulla base dei contatori di sottrazione installati nelle singole porzioni, ovvero in base ai rispettivi valori millesimali.

Le spese per la conservazione e il godimento del piazzale comune.

Diversa soluzione va data, a giudizio dei giudici di piazza Cavour, per le spese relative alla conservazione ed al godimento del piazzale comune (concernenti la pulizia dei cassonetti e del giardino, e il taglio dell’erba). Le stesse sono state ricondotte dal Tribunale alla sfera dell’art. 1104 c.c. e i ricorrenti lamentano che non poteva allora superarsi la necessità della preventiva convocazione dell’assemblea dei comproprietari e della relativa deliberazione di approvazione.

Per i giudici della cassazione se, tuttavia, le spese relative ad un bene ricadente in comunione (quale si afferma essere dai medesimi ricorrenti il piazzale sul quali si affacciano le proprietà per cui è causa) sono necessarie alla conservazione o al godimento dello stesso, l’obbligo di contribuirvi per i partecipanti sorge dalla legge, essendo propter rem, e non richiede la deliberazione presa a norma degli artt. 1105 e 1108 c.c. La stessa lettera dell’art. 1104 c.c. – proseguono i giudici di piazza Cavour  -impone distintamente ai comunisti di concorrere “nelle spese necessarie per la conservazione e per il godimento della cosa comune e nelle spese deliberate dalla maggioranza a norma delle disposizioni seguenti”.

Avendo quindi il Tribunale, con accertamento di fatto compiutamente motivato e non sindacabile in sede di legittimità, ritenuto che l’importo di E 1.037,61 concernesse spese per la conservazione ed il godimento del piazzale comune, ovvero necessarie per custodire e mantenere il bene in modo che esso duri a lungo senza deteriorarsi, o comunque funzionali alle utilità che la cosa comune può offrire, le stesse costituiscono – a detta degli Ermellini – obligationes propter rem, sicché il comproprietario non può sottrarsi all’obbligo del loro pagamento se non rinunciando al suo diritto sul bene.

Né per l’insorgenza dell’obbligazione del partecipante ex art. 1104 c.c. di contribuire alle spese relative necessarie per la conservazione ed il godimento della cosa comune, occorre verificare – concludono i giudici della Suprema Corte – l’esistenza di una previa deliberazione assemblare di approvazione (come per le spese utili o voluttuarie), bastando la prova dei presupposti dell’esistenza del condominio o della comunione.

Da qui l’annullamento della sentenza impugnata con rinvio della causa al Tribunale in diversa composizione per nuovo esame, il quale si uniformerà al seguente

principio di diritto:

“Esula dall’ambito di operatività dell’art. 1110 c.c., il quale attiene alle spese necessarie per la conservazione della cosa comune, la domanda di rimborso delle spese derivanti dalla prestazione di un servizio condominiale di fornitura di acqua potabile a vantaggio di un’unità immobiliare di proprietà esclusiva, conseguenti alla ripartizione interna del consumo unitario del complesso immobiliare fatturato dall’ente erogatore e ripartite sulla base dei contatori di sottrazione installati nelle singole porzioni, ovvero in base ai rispettivi valori millesimali”.

Una breve riflessione

La sentenza in rassegna detta due interessanti principi che trovano frequente applicazione nella prassi.

Difatti, accade spesso che l’ente erogatore dell’acqua potabile rifornisca il condominio e poi quest’ultimo provveda ad effettuare la relativa ripartizione ai vari condomini che ne usufruiscono.

Nella specie, in realtà, i soggetti che ne usufruivano non erano (o non si dichiaravano) condomini del condominio attore. Ciononostante, essi fruivano dell’acqua potabile erogata al condominio.

La querelle riguarda l’applicabilità o meno dell’articolo 1110 c.c., norma che prevede che “il partecipante che, in caso di trascuranza degli altri partecipanti o dell’amministratore, ha sostenuto spese necessarie per la conservazione della cosa comune, ha diritto al rimborso”.

Sul punto si contrappongo la tesi del giudice di primo grado e la tesi del giudice di appello.

E la Suprema Corte predilige la tesi del giudice di primo grado, affermando che non rientra nella previsione dell’articolo 1110 c.c. la ripartizione delle spese per i consumi idrici in favore di una unità immobiliare di proprietà esclusiva.

Dunque, era ed è necessaria una previa approvazione assembleare, potendo – a giudizio dei giudici di legittimità  – rientrare tale ipotesi nella previsione di cui all’articolo 1117 o 1117-bis codice civile.

L’altro principio riguarda invece una serie di spese alla cui contribuzione il comunista è obbligato a partecipare a prescindere dalla esistenza o dalla approvazione di una specifica delibera assembleare, trattandosi di obbligazioni propter rem.

avv. Filippo Pagano (f.pagano@clouvell.com)

managing partner at clouvell (www.clouvell.com)

 

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