Assemblea di condominio: quando l’apparenza inganna

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Assemblea di condominio: quando l’apparenza inganna

Assemblea di condominio: quando l’apparenza inganna

Alla assemblea di condominio deve essere convocato il proprietario che risulta tale dai registri immobiliari e non chi si comporta come proprietario. Ciò in quanto nei rapporti tra il condominio ed i singoli partecipanti ad esso mancano le condizioni per l’operatività del principio dell’apparenza del diritto volto, essenzialmente, alla tutela dei terzi di buona fede; e terzi, rispetto al condominio non possono essere ritenuti i condomini.

Lo ha ribadito la Suprema Corte di Cassazione – sezione seconda civile – con sentenza n.8824 del 30 aprile 2015

Il caso

Una condomina impugnava due delibere condominiali assumendone la nullità per non essere stata convocata alle relative riunioni.

Si costituiva il condominio eccependo che la condomina non aveva mai comunicato al condominio di essere proprietaria dell’immobile, risultando, per converso, che proprietario dei locali fosse il di lei marito il quale, tra l’altro, aveva partecipato alle riunioni condominiali.

Il Tribunale rigettava la domanda dell’attrice e la decisione veniva confermata in appello.

In particolare, secondo il la Corte territoriale, “dalla documentazione acquista agli atti del processo risultava che alla riunione condominiale aveva sempre partecipato il marito dell’appellante, comportandosi come titolare del diritto di proprietà dei locali posti nel condominio, e la di lui moglie non aveva mai comunicato di essere lei l’effettiva proprietaria ingenerando con il suo comportamento il ragionevole convincimento negli organi condominiali che il di lei marito fosse l’effettivo proprietario dei locali di cui si dice“.

Da qui il ricorso per cassazione della condomina.

La tesi della ricorrente

Secondo la ricorrente, nel nostro ordinamento non assume rilievo giuridico la figura del cosiddetto condomino apparente in quanto manca tra amministratore e singoli condomini quel rapporto di alterità che consente di far prevalere l’apparenza sulla realtà a tutela dei terzi di buona fede. Pertanto, la Corte di appello, sempre secondo la ricorrente, sarebbe incorsa in errore per quanto abbia affermato l’applicabilità del principio dell’apparentia iuris in spregio del costante orientamento della Suprema Corte di Cassazione espresso in più occasioni e, per altro, anche dalla Sezioni unite della stessa Corte con la sentenza n. 5035 del 2002. L’acclarata illegittimità della convocazione della effettiva proprietaria determinerebbe ipso iure la conseguente annullabilità delle predette adunanze.

Il principio di diritto espresso dalla Suprema Corte

Secondo gli Ermellini, “come è stato affermato in più occasioni da questa Corte (sent. n. 7849 del 2001, n. 2616 del 2005, in coerenza con il principio enunciato dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 5032 del 2002) nelle assemblee condominiali devono essere convocati solo i condomini, cioè i veri proprietari e non coloro che si comportano come tali senza esserlo. Nei rapporti tra il condominio ed i singoli partecipanti ad esso, infatti, mancano le condizioni per l’operatività del principio dell’apparenza del diritto volto, essenzialmente, alla tutela dei terzi di buona fede; e terzi, rispetto al condominio non possono essere ritenuti i condomini. D’altra parte, ed in generale, la tutela dell’apparenza del diritto non può essere invocata da parte del soggetto (nel nostro caso dal Condominio) che abbia trascurato di accertare l’effettiva realtà sui pubblici registri, contro ogni regola di prudenza. Del resto, il regime giuridico di pubblicità rappresenta un limite invalicabile all’operatività del principio dell’apparenza: pubblicità ed apparenza sono, infatti, istituti che si completano l’un l’altro, rispondenti alle medesime finalità di tutela dei terzi di buona fede; ma proprio per ciò stesso alternativi. La tutela dell’apparenza non può tradursi in un indebito vantaggio per chi abbia colpevolmente trascurato di accertarsi della realtà delle cose, pur avendone la concreta possibilità“.

Per tali motivi la Corte accoglie il ricorso e cassa la sentenza impugnata.

Una breve riflessione

La sentenza in evidenza applica in maniera precisa i principi che, sul punto, la giurisprudenza ha elaborato.

Il condomino non è terzo e pertanto non vi sono ragioni di tutelarlo, soprattutto allorquando la proprietà del bene può essere ricavata dai registri immobiliari.

Questo in estrema sintesi il concetto che sta alla base del principio espresso dalla Suprema Corte.

Ed il principio, così come espresso, non fa un grinza.

Certamente, però, è anche vero, a parere di chi scrive, che nessuna censura, neppure incidentalmente, viene fatta al comportamento del marito della condomina che partecipava alle assemblee dichiarandosi proprietario.

Vero è che attraverso degli accertamenti tramite i servizi di pubblicità immobiliare l’amministratore avrebbe potuto risalire all’effettivo proprietario, ma è altrettanto vero che, nella specie, il mancato accertamento è dipeso, evidentemente, proprio dal comportamento dell’apparente condomino, marito della effettiva proprietaria.

Pertanto, pur comprendendo e non potendo non condividere il principio di diritto espresso dai giudici di legittimità, v’è da chiedersi in che misura un simile comportamento possa effettivamente andare esente da censure. Giacchè, nella specie, viene in rilievo anche il principio di correttezza e buona fede, rispetto ai quali nulla si dice in sentenza.

Vero è che la effettiva proprietaria non può rispondere del comportamento altrui, ma è altrettanto vero che la medesima non può “ricordarsi” di essere proprietaria solo allorquando intende fare valere la illegittimità di una delibera e “tacere” allorquando la deliberazione è a lei favorevole.

Viene in rilievo, sotto tale profilo, specularmente ai principi di correttezza e buona fede, quello dell’affidamento.

Con ciò non si vuole non condividere quanto espresso dalla Suprema Corte. Si vuole solo dire che simili comportamenti non possono essere “incoraggiati” a causa della rigida applicazione di un principio, ma dovrebbero essere contrastati e adeguatamente sanzionati per evitare che, dagli stessi, possano sorgere contenziosi che, viceversa, avrebbero potuto essere evitati.

avv. Filippo Pagano (f.pagano@clouvell.com)

managing partner at clouvell (www.clouvell.com)

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