Udienza preliminare e sentenza di non luogo a procedere

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Ai fini della pronuncia della sentenza di non luogo a procedere, il Gup, in presenza di fonti di prova che si prestano ad una molteplicità ed alternatività di soluzioni valutative, deve limitarsi a verificare l’inutilità o superfluità del dibattimento, senza dover, invece, operare valutazioni di tipo sostanziale o di merito del materiale probatorio, essendogli inibito il proscioglimento in tutti i casi in cui le fonti di prova si prestino a soluzioni alternative e aperte o, comunque, ad essere diversamente rivalutate.

Lo ha ribadito la Suprema Corte di Cassazione – sezione seconda penale – con sentenza n. 39466 del 15 settembre 2015

Il caso

Udienza preliminare e sentenza di non luogo a procedere

Udienza preliminare e sentenza di non luogo a procedere

Con sentenza in data 4/3/2015, il Gup presso il Tribunale di Messina dichiarava non doversi procedere nei confronti di un imputato di falso e truffa con la formula perchè il fatto non costituisce reato.

Il ricorso per cassazione da parte delle persone danneggiate dal reato.

Avverso tale sentenza propongono ricorso le sorelle ed il fratello dell’imputato, costituiti parte civile, nella qualità di persone danneggiate dal reato, chiedendo l’annullamento della sentenza impugnata per mancata correlazione fra la contestazione e la sentenza e deducendo, altresì, il vizio di motivazione illogica e contraddittoria per contrasto con il contenuto del testamento della de cuius.

Il primo motivo di ricorso

Quanto al primo motivo i ricorrenti eccepiscono che nell’intestazione della sentenza erroneamente il Gup ha fatto riferimento alle imputazioni originariamente contestate dal P.M. in quanto – a loro dire – nel corso dell’udienza preliminare del 12/3/2014, il P.M. avrebbe modificato l’originaria imputazione procedendo a contestare i reati di falso e truffa con la formula suggerita dalle parti civili.

Il secondo motivo di ricorso.

Quanto al secondo motivo eccepiscono che erroneamente il Gup ha ritenuto che il testamento avesse istituito l’imputato come erede universale, trattandosi invece di semplice legatario.

La Corte di cassazione ritiene fondato il secondo motivo di ricorso.

Quanto al primo motivo, rilevano gli Ermellini che nel nostro ordinamento penale non esiste l’azione penale privata. La formulazione dell’imputazione è compito esclusivo del P.M. e qualora questi ritenga di modificare il capo di imputazione, la nuova formulazione deve essere dettata a verbale, nè può essere assunta per relationem rispetto alle formule suggerite dalle parti civili.

Ed infatti, nel caso di specie, dal verbale dell’udienza del 12/3/2014 non risulta che il P.M. abbia proceduto ad una modifica del capo di imputazione originario secondo la formula suggerita dalle parti civili, in quanto si legge testualmente: “il pubblico ministero chiede di contestare il capo di imputazione”, espressione del tutto generica, inidonea, secondo i giudici di legittimità, a determinare una modifica dell’originario capo di imputazione.

Il travisamento della prova

Per i giudici di legittimità, viceversa, risulta fondata la censura sollevata con il secondo motivo con il quale i ricorrenti deducono – in sostanza – il travisamento della prova, assumendo che, con il testamento in atti, l’imputato non è stato istituito erede universale, ma soltanto legatario.

La valutazione del GUP ai fini del proscioglimento

Ricordano i giudici della Suprema Corte che secondo la giurisprudenza di legittimità il giudice dell’udienza preliminare nel pronunciare sentenza di non luogo a procedere, a norma dell’art. 425, comma terzo, cod. proc. pen., deve valutare, sotto il solo profilo processuale, se gli elementi acquisiti risultino insufficienti, contraddittori o comunque non idonei a sostenere l’accusa in giudizio, non potendo procedere a valutazioni di merito del materiale probatorio ed esprimere, quindi, un giudizio di colpevolezza dell’imputato ed essendogli inibito il proscioglimento in tutti i casi in cui le fonti di prova si prestino a soluzioni alternative e aperte o, comunque, ad essere diversamente rivalutate (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 48831 del 14/11/2013 Cc. (dep. 05/12/2013 ) Rv. 257645).

Pertanto – proseguono gli Ermellini – ai fini della pronuncia della sentenza di non luogo a procedere, il Gup, in presenza di fonti di prova che si prestano ad una molteplicità ed alternatività di soluzioni valutative, deve limitarsi a verificare l’inutilità o superfluità del dibattimento, senza dover, invece, operare valutazioni di tipo sostanziale (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 39401 del 21/03/2013 Ud. (dep. 24/09/2013 ) Rv. 256848).

Nella fattispecie cui si riferisce detta ultima decisione, il Gup, dopo aver prefigurato varie opzioni interpretative in relazione alle condotte incriminate, era pervenuto al proscioglimento degli imputati per mancanza del dolo, sulla base non di un giudizio prognostico, ma di valutazioni di tipo sostanziale, proprie della fase del merito.

E poiché nel caso in esame il Gup ha commesso lo stesso errore di diritto, pervenendo al proscioglimento dell’imputato sulla base di valutazioni sostanziali, proprie del giudizio di merito, la sentenza viene annullata con rinvio al Tribunale di Messina per nuovo esame.

Una breve riflessione

La sentenza in rassegna affronta una questione davvero interessante relativi ai limiti del Gup in sede di udienza preliminare.

L’antico brocardo latino “in dubio pro reo” tratto dal Digesto giustinianeo non si applica dunque alla fase della udienza preliminare.

Particolare interesse merita la distinzione che la Suprema Corte opera tra valutazione processuale e valutazione di merito.

Il Gup deve limitarsi ad una valutazione processuale, essendogli inibito di entrare nel merito della responsabilità dell’imputato. Se vi sono più soluzioni possibiliste o alternative, il giudice deve privilegiare il dibattimento disponendo il rinvio a giudizio dell’incolpato.

Solo allorchè la fase dibattimentale non potrà portare un quid pluris, allora, e solo allora, il Gup potrà pronunziare sentenza di proscioglimento con la relativa formula.

Il differente trattamento che viene riservato al Gup rispetto al giudice del dibattimento, lungi dal rappresentare una violazione del principio del favor rei, in realtà si giustifica per la ovvia ragione che, in caso di rinvio a giudizio, nessun pregiudizio avrà l’imputato, il quale potrà pienamente discolparsi dalla accusa ottenendo una sentenza di assoluzione con efficacia piena e quindi ben più “forte” rispetto alla sentenza di non luogo a procedere.

Ed effettivamente, il principio dettato (o meglio ribadito) dalla Suprema Corte appare corretto logicamente e giuridicamente. Esso, tuttavia, non convince appieno: il giudice potrebbe avere la tentazione di rinviare a giudizio l’imputato anche se a dibattimento potrebbe arricchirsi il quadro probatorio a suo carico. Il che contrasta con la ratio sottesa alla introduzione della figura del Gup. Relegare il Gup ad una funzione di verifica meramente processuale delle fonti di prova, e non anche di merito, potrebbe avere due effetti processuali negativi per l’imputato: dilatare i tempi di definizione del giudizio e quindi dilatare il periodo di “latenza” della qualità di imputato; consentire al PM ed alle altre parti private di acquisire, successivamente alla udienza preliminare, ulteriori elementi a carico dell’imputato.

avv. Filippo Pagano (f.pagano@clouvell.com)

managing partner at clouvell (www.clouvell.com)

 

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