Corte di cassazione – sezione prima civile – sentenza 17 aprile 2015 n.7924

Download PDF

Svolgimento del processo

1.- Il Tribunale di Roma ha ammesso e poi, con sentenza 27.4.2006, ha rigettato la domanda di risarcimento del danno proposta dalle sig.re (omissis), eredi di (omissis), che avevano dedotto, ai sensi della legge 13 aprile 1988 n. 117, la responsabilità del Collegio della Terza sezione civile della Corte di cassazione per non avere esaminato, nella sentenza 11.11.1997 n. 11127, un motivo di ricorso proposto dal loro coniuge e padre in relazione a un giudizio di risarcimento danni da incidente stradale, il cui accoglimento avrebbe comportato la liquidazione di una somma maggiore a titolo risarcitorio. Il Tribunale di Roma ha ritenuto esistente l’omesso esame del motivo del ricorso per cassazione ma insussistente la dedotta responsabilità, poiché si trattava di un errore emendabile mediante l’esperimento dell’ordinario mezzo d’impugnazione della revocazione.

2.- Il gravame proposto dalle eredi (omissis) è stato accolto dalla Corte d’appello di Roma, con sentenza 25.10.2010, che ha condiviso il giudizio del Tribunale sull’omesso esame e’v del motivo ma ha ritenuto non esperibile il rimedio della revocazione; ha quindi condannato la Presidenza del Consiglio dei ministri al risarcimento del danno, determinato all’attualità in e 36.554,47, oltre interessi, pari alla differenza tra quanto liquidato e quanto liquidabile in caso di accoglimento del ricorso per cassazione.

3.- La Presidenza del Consiglio dei ministri ha proposto ricorso per cassazione sulla base di due motivi, cui si oppongono le intimate con controricorso e ricorso incidentale affidato a due motivi.

Motivi della decisione

1.- Nel primo motivo del ricorso principale è denunciata la violazione e falsa applicazione dell’art. 395 n. 4 c.p.c., in relazione all’art. 4, secondo comma, della legge n. 117/1988, per avere erroneamente escluso l’esistenza di un errore di fatto nella sentenza della Corte di cassazione n. 11127/1997 (a causa della mancata percezione di un motivo di ricorso avverso l’impugnata sentenza della Corte d’appello di Venezia del 13.1.1996) suscettibile di essere emendato mediante un ricorso per revocazione, la cui mancata proposizione costituirebbe ragione ostativa all’accoglimento della domanda di responsabilità per l’esercizio della funzione giudiziaria.

1.1.- I controricorrenti hanno eccepito l’inammissibilità del predetto motivo perché volto a mettere in discussione l’accertamento, che sarebbe stato compiuto dal Tribunale e ormai coperto da giudicato, della impossibilità di esperire altri rimedi avverso il provvedimento giurisdizionale lesivo (art. 4, secondo coma, della legge n. 117/1988), avendo il medesimo giudice incentrato la decisione sull’assenza del nesso di causalità tra l’evento dannoso e la negligenza accertata come idonea a configurare la responsabilità. L’eccezione in esame è infondata. Essa non considera che è stato proprio il Tribunale a ritenere che l’errore imputabile ai giudici di legittimità fosse emendabile con Io strumento impugnatorio della revocazione e non con l’azione di responsabilità proposta secondo la legge n. 117 del 1988. Inoltre, non è condivisibile l’implicito assunto secondo il quale il decreto del Tribunale che ha dichiarato ammissibile l’azione proposta sarebbe passato in giudicato quanto all’esistenza dei presupposti dell’azione.

L’art. 5 della legge n. 117 del 1988 (abrogato dalla legge 27 febbraio 2015 n. 18, ma applicabile ratione temporis) prevede, com’è noto, un giudizio di ammissibilità dell’azione che ha ad oggetto la verifica, oltre che del rispetto dei termini per la sua proposizione, dei presupposti dell’azione, tra i quali rientra anche la valutazione della configurabilità in astratto di profili sostanziali di responsabilità (art. 2), nonché della impossibilità di esperire i mezzi ordinari d’impugnazione o gli altri rimedi previsti dall’ordinamento avverso il provvedimento giurisdizionale che si assume lesivo (art. 4, secondo coma). Contrariamente al decreto d’inammissibilità della domanda, di cui è prevista l’impugnabilità dinanzi al Corte d’appello e poi per cassazione (art. 5, quarto e quinto coma), la legge non prevede l’impugnazione del decreto che ha dichiarato l’azione ammissibile. Ciò si spiega se si considera che, una volta superato il cosiddetto filtro, nella successiva fase al giudice non è precluso l’accertamento della intempestività e della insussistenza dei presupposti dell’azione e ben può dichiararla manifestamente infondata, non rilevando che ad un’analoga conclusione avrebbe dovuto pervenire il giudice della fase preliminare con una pronuncia d’inammissibilità (art. 5, terzo comma). La decisione sull’ammissibilità dell’azione non costituisce, quindi, un’anticipazione del giudizio di merito, ma una semplice delibazione preliminare finalizzata, a tutela dei principi di autonomia e indipendenza della magistratura, ad escludere le azioni risarcitorie temerarie ed intimidatorie proposte nei confronti dello Stato o direttamente nei confronti del singolo magistrato, senza acquistare valore di giudicato. Ne consegue che il giudice dinanzi al quale il processo prosegue ben può rilevare profili d’inammissibilità dell’azione, prima non rilevati, come nel caso in cui riscontri il mancato esperimento dei mezzi di impugnazione e dei rimedi previsti dall’ordinamento avverso il provvedimento lesivo.

1.2.- Il motivo (sintetizzato al p. l) è fondato.

1.2.1.- E’ pacifico in causa che la sentenza della Cessazione n. 11127/1997 ha esaminato le prime due censure in cui era articolato il motivo di ricorso per cassazione delle eredi (omissis), ma ha omesso di pronunciarsi sulla terza e autonoma censura proposta (a pag. 8-9 del medesimo ricorso, sub c, ove era espressa la doglianza di errata determinazione del credito risarcitorio risultante dalla comparazione con un credito di rivalsa dell’Inail, senza che i rispettivi valori monetari fossero stati resi preventivamente omogenei). La Corte d’appello ha ritenuto trattarsi di un errore valutativo, quindi estraneo all’applicabilità del rimedio della revocazione ex art. 395 n. 5 c.p.c., e da ciò ha tratto la conseguenza che non vi fosse alcuna preclusione alla proponibilità dell’azione di cui alla legge n. 117 del 1988. Questa interpretazione, tuttavia, contrasta con la giurisprudenza di legittimità secondo la quale (v. Cass. n. 4605/2013, n. 362/2010, n. 18152/2002, n. 4070/2000) l’omesso esame di un motivo di ricorso per cassazione configura un errore di fatto revocatorio quando, come verificatosi nel caso in esame, consista in un errore di percezione o in una mera svista materiale su circostanze decisive, emergenti direttamente dagli atti con carattere di immediatezza, che abbia indotto la Corte a non considerare l’esistenza della censura proposta e, quindi, a supporre l’inesistenza di un fatto decisivo che risulti invece incontestabilmente esistente negli atti e documenti di causa, con esclusione di ogni apprezzamento in ordine alla valutazione in diritto delle risultanze processuali. La tesi fatta propria dai giudici di merito non trova conferma nei precedenti richiamati dai resistenti: non nella sentenza n.3365/2009, avente ad oggetto un caso in cui questa Corte aveva esaminato “congiuntamente” i proposti motivi di ricorso per cassazione, e neppure nella sentenza n. 24369/2009, che aveva ad oggetto una sentenza di legittimità cui era imputato un errore valutativo nella interpretazione della portata dell’atto di appello come includente una censura di cui era controversa l’esistenza. In entrambi i casi i ricorsi per revocazione sono stati dichiarati inammissibili sul presupposto che fossero volti a censurare un giudizio espresso dalla S.C. sulla portata di atti processuali e che, quindi, si trattasse, in ipotesi, di errori di diritto nella interpretazione degli atti medesimi e nella valutazione dei loro effetti, in quanto tali estranei all’ambito applicativo dell’art. 391 bis c.p.c. (v. Cass. n. 8180/2009 e n. 17443/2008).

1.2.2.- E’ necessario considerare che il rimedio revocatorio contro le sentenze della Corte di cassazione che siano affette da errore di fatto, ai sensi dell’art. 395 n. 4 c.p.c., era ammissibile all’epoca in cui è stata emessa la contestata sentenza della Cassazione, in quanto introdotto dalla legge 26.11.1990 n. 353, che ha inserito nel codice l’art. 391 bis (v. Corte cost. n. 17/1986 e n. 36/1991; Cass. n. 3137/1994 e n. 6876/1992). Poiché tale sentenza era impugnabile con il ricorso per revocazione che non è stato proposto dagli interessati, si deve verificare se ciò precludesse l’esperibilità dell’azione di responsabilità disciplinata dalla legge n. 117 del 1988. Al suddetto quesito deve darsi risposta affermativa. Questa Corte ha più volte interpretato l’art. 4, secondo comma, della legge n. 117/1988 – “L’azione di risarcimento del danno contro lo Stato può essere esercitata soltanto quando siano stati esperiti i mezzi ordinari di impugnazione […] e comunque quando non siano più possibili la modifica o la revoca del provvedimento […]” – nel senso che l’azione risarcitoria debba ritenersi preclusa nell’ipotesi in cui il rimedio previsto non sia stato esperito (v. Cass. n. 11438/1999, n. 4682/1998, n. 13003/1997, n. 2186/1996, n. 1884/1994). L’intento primario espresso dal legislatore nell’art. 4, secondo comma, della 10 Corte di Cassazione – copia non ufficiale legge del 1988 è stato di dare la prevalenza alla rimozione del provvedimento dannoso e di privilegiare i rimedi endoprocessuali rispetto all’azione risarcitoria, subordinando quest’ultima alla circostanza che il danneggiato abbia utilizzato gli strumenti processuali normalmente apprestati dall’ordinamento per eliminare o, almeno, ridurre il danno. E non v’è dubbio che il ricorso per revocazione ordinaria configuri un rimedio giurisdizionale ed impugnatorio che è pienamente riconducibile alla categoria dei rimedi il cui previo esperimento condiziona l’esperibilità dell’azione di responsabilità prevista dalla legge.

2.- Di conseguenza, assorbiti il secondo motivo del ricorso principale e il ricorso incidentale (riguardanti gli accessori sulla somma liquidata a titolo risarcitorio), la sentenza impugnata è cassata senza rinvio, non potendo l’azione essere proposta (art. 382, terzo comma, c.p.c.), per essere inammissibile

3.- Sussistono giusti motivi per compensare le spese dell’intero giudizio, in considerazione della novità e complessità della questione controversa.

P.Q.M.

La Corte, in accoglimento del primo motivo del ricorso principale, assorbiti il secondo motivo e il ricorso incidentale, cassa la sentenza impugnata senza rinvio e compensa le spese dell’intero giudizio.

Roma, 19.3.2015.

Download PDF