Chiusura della veranda con struttura precaria ed abuso edilizio

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In materia edilizia va privilegiato il criterio funzionale, che guarda all’uso effettivamente temporaneo cui la struttura è destinata, rispetto a quello strutturale, che, invece, valorizza il fatto che le componenti della struttura siano facilmente rimovibili. Di conseguenza, una veranda è da considerarsi, in senso tecnico-giuridico, un nuovo locale autonomamente utilizzabile in quanto la stessa difetta normalmente del carattere di precarietà, trattandosi di opera destinata non a sopperire ad esigenze temporanee e contingenti con la sua successiva rimozione, ma a durare nel tempo, ampliando cosi il godimento dell’immobile.

Lo ha ribadito la Corte Suprema di Cassazione – sezione terza penale – con sentenza n.38524 del 23 settembre 2015

Chiusura della veranda con struttura precaria ed abuso edilizio

Chiusura della veranda con struttura precaria ed abuso edilizio

Il caso

La sentenza di primo grado

Con sentenza emessa in data 7.6.2013 il Tribunale di Palermo ha dichiarato due imputati colpevoli del reato di cui all’art. 44 lett. b) d.p.r. 380/2001 e delle connesse violazioni in materia sismica, per aver realizzato, il primo in qualità di proprietario dell’immobile, il secondo in qualità di responsabile dei lavori, in prosecuzione di un abuso precedente, oggetto di altro procedimento penale, in assenza di permesso di costruire e delle denunce ed autorizzazioni previste dalla legge in materia sismica, un ampliamento della loro unità immobiliare, con pareti in materiale coibentato e cartongesso, con due infissi in alluminio e vetro.

La sentenza di appello

Proposto appello, la Corte di Appello di Palermo ha confermato la sentenza di primo grado, con sentenza emessa in data 26.3.04 avverso la quale gli imputati hanno proposto personalmente ricorso per Cassazione per erronea applicazione della legge penale con riguardo agli artt. 42, 47 c.p. e 44 lett. b) d.p.r. 380/01.

I motivi di ricorso

Assumono i ricorrenti che la Corte di appello, recependo supinamente la ricostruzione dei fatti dell’accusa ha omesso di valutare la dedotta insussistenza dell’elemento soggettivo.

I ricorrenti, infatti, avrebbero in perfetta buona fede realizzato l’ulteriore veranda, oggetto del presente procedimento, in quanto ritenevano che anche a tale opera si riferisse il decreto penale emesso e in relazione al quale avevano pagato la sanzione pecuniaria irrogata.

II decreto penale avrebbe quindi tratto in errore incolpevole gli imputati che, in ragione della condanna inflitta con esso, avevano ritenuto di non essere pia perseguibili. Quindi il manufatto era stato posto in essere senza alcuna consapevolezza della illiceità della condotta.

La Corte dichiara inammissibili i ricorsi

I ricorsi vengono dichiarati inammissibili dai giudici di legittimità in quanto si limitano a riproporre pedissequamente le medesime censure mosse in appello e disattese dalla Corte territoriale mediante argomentazioni del tutto logiche ed esaustive.

In materia di verande, va privilegiato il criterio funzionale rispetto al criterio strutturale.

Ricordano gli Ermellini che l’orientamento maggioritario della giurisprudenza di legittimità in materia edilizia privilegia il criterio funzionale, che guarda all’uso effettivamente temporaneo cui la struttura è destinata, rispetto a quello strutturale, che, invece, valorizza il fatto che le componenti della struttura siano facilmente rimovibili.

La veranda è da considerarsi un nuovo locale autonomamente utilizzabile.

Per i giudici di piazza Cavour, di conseguenza, una veranda è da considerarsi, in senso tecnico-giuridico, un nuovo locale autonomamente utilizzabile. Dunque la stessa difetta normalmente del carattere di precarietà, trattandosi di opera destinata non a sopperire ad esigenze temporanee e contingenti con la sua successiva rimozione, ma a durare nel tempo, ampliando cosi il godimento dell’immobile (ex pluris Cass. Sez. III n. 14329/2008).

Dunque – proseguono i giudici di legittimità – come giustamente precisato dai giudici di merito, l’opera realizzata dai ricorrenti costituisce, sotto il promo funzionale, un nuovo ed autonomo locale destinato non a sopperire esigenze temporanee ma a durare nel tempo e quindi, certamente, una struttura non precaria.

L’elemento psicologico

Correttamente, inoltre, la Corte di Appello, a parere dei giudici della Cassazione, ha spiegato che la veranda abusiva oggetto del presente procedimento è stata realizzata nel 2008, cioè dopo l’emissione di un decreto penale di condanna riguardante analoga opera abusiva ricadente, però, su un diverso prospetto dell’immobile (decreto emesso nel 2006).

Difatti, contrariamente a quanto sostenuto dai ricorrenti, il suddetto decreto di condanna del 2006 porta a ritenere che gli imputati fossero ben consapevoli del carattere abusivo della veranda realizzata nel 2008 su un lato diverso del loro appartamento, essendo stato il precedente, analogo manufatto, eseguito in assenza di permesso, sanzionato penalmente.

L’inammissibilità del ricorso prevale sulla prescrizione del reato frattanto maturata.

Tanto premesso – concludono gli Ermellini – occorre rilevare che, dopo la sentenza di appello – considerata la sospensione di 5 mesi ed 8 giorni – il reato si e prescritto in data 18 aprile 2014. Ciononostante, in ossequio al costante orientamento della Suprema Corte – per cui l’inammissibilità prevale sull’intervenuta prescrizione, con la conseguenza che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile (ex pluris Cass. Sez. II n. 4986/2015) – i ricorsi vengono dichiarati inammissibili.

Una breve riflessione

La sentenza in rassegna mette il dito in una piaga molto frequente, rappresentata dalla chiusura della veranda dell’abitazione con struttura precaria.

Precaria sta a significare “facilmente rimovibile”, concetto che, a ben vedere, potrebbe rientrare in quelle strutture in alluminio con cui, spesso, il proprietario di un immobile “chiude”, per l’appunto, una veranda, ricavando, di fatto, un altro vano utile.

Chi realizza una simile opera tende spesso a trincerarsi dietro la nozione di precario. In altre parole, se la struttura è precaria (recte: facilmente rimovibile) essa non sarebbe soggetto al permesso di costruire, non costituendo (o non creando nuovo) volume utile.

La Suprema Corte, invece, la pensa diversamente atteso che volge l’attenzione non al criterio strutturale (precarietà o semplice amovibilità della struttura) quanto piuttosto al criterio funzionale, che guarda all’uso effettivamente temporaneo (o meno) cui la struttura è destinata.

In conseguenza di tale interpretazione, non vi è dubbio che la chiusura della veranda della abitazione non possa considerarsi una opera precaria, atteso che essa è destinata a durare nel tempo, a servizio dell’immobile alla quale afferisce.

Diversamente accadrebbe, invece, ad una opera che venga collocata per un uso o per un tempo predefinito: in tal caso, il carattere temporaneo dell’opera impedirebbe che fosse considerata una autonoma struttura soggetto a permesso di costruire.

avv. Filippo Pagano (f.pagano@clouvell.com)

managing partner at clouvell (www.clouvell.com)

 

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