Cassazione penale sez. IV – 13 febbraio 2015 n. 8526

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Qui di seguito la motivazione integrale della sentenza della Suprema Corte di Cassazione penale sez. IV –  13 febbraio 2015 n. 8526

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE – SEZIONE QUARTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:  Dott. MASSAFRA  Umberto  –  Presidente   – Dott. MARINELLI Felicetta  –  Consigliere  –      Dott. DOVERE    Salvatore –  rel. Consigliere  –  Dott. SERRAO    Eugenia  –  Consigliere  –  Dott. DELL’UTRI Marco  –  Consigliere  –  ha pronunciato la seguente: sentenza sul ricorso proposto da:  D.L.C.A. N. IL (OMISSIS); avverso  la  sentenza  n.  1493/2008 CORTE APPELLO  di  MESSINA,  del 14/10/2013; visti gli atti, la sentenza e il ricorso; udita  in  PUBBLICA  UDIENZA del 13/02/2015 la  relazione  fatta  dal Consigliere Dott. DOVERE SALVATORE; Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. SPINACI Sante, che ha concluso per il rigetto del ricorso. Udito  per  la parte civile, l’Avv. LA CORTE Vincenzo,  il  quale  ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.

Fatto
RITENUTO IN FATTO

  1. D.L.C.A. è stato giudicato dal Tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto responsabile di omicidio colposo commesso, in cooperazione colposa con Mi.Sa., in danno di M. G. e condannato alla pena ritenuta equa.

La Corte di Appello di Messina ha riformato tale condanna unicamente quanto alla pena, che ha ridotto a mesi sei di reclusione.

Secondo l’accertamento condotto dai giudici di merito il 18.6.2006 il D.L.C. si trovava alla guida di un ciclomotore, sul quale trasportava il M., e procedeva in ora notturna lungo la via (OMISSIS), quando gli si era frapposto il Mi. che attraversava l’arteria stradale conducendo il proprio ciclomotore; i due veicoli si sfioravano e il D.L. perdeva il controllo del proprio mezzo, sicchè il M., che non indossava il casco di protezione, veniva sbalzato dal ciclomotore e veniva proiettato contro un cancello in ferro riportando lesioni che ne cagionavano l’immediato decesso.

Il sinistro è stato causalmente ricondotto alla imprudente e vietata manovra del Mi. ed altresì alla condotta del D.L. C., al quale è stato ascritto di non aver mantenuto una velocità di marcia adeguata alle specifiche condizioni di tempo e di luogo, avendo egli condotto il ciclomotore ad una velocità di cinquanta chilometri orari – prossima ma non superiore al limite vigente nel tratto stradale teatro del sinistro – nonostante si trattasse di centro abitato, di ora notturna, di tratto in prossimità di intersezione con altra strada, di condizioni di visibilità non ottimali, in prossimità di strisce pedonali e conducendo a bordo un passeggero privo di casco.

  1. Avverso tale decisione ricorre per cassazione l’imputato, con atto sottoscritto personalmente.

2.1. Con un primo motivo deduce vizio motivazionale. Sussisterebbe manifesta illogicità della sentenza perchè a fronte di contributi di esperti che hanno escluso qualsiasi comportamento colposo del D. L.C. ed affermato l’irrilevanza causale del mancato uso del casco da parte del M.; ed altresì a fronte della condotta gravemente colposa del Mi., i giudici di merito hanno ritenuto la responsabilità dell’odierno ricorrente. Il quale segnala le particolari condizioni dei luoghi che rendevano non percettibile la manovra operata dal Mi., proveniente da un parcheggio prospiciente la via (OMISSIS).

2.2. Con un secondo motivo si lamenta la violazione dell’art. 41 c.p., essendo stata la condotta del Mi. abnorme e come tale esclusiva causa dell’evento prodottosi.

Diritto
CONSIDERATO IN DIRITTO

  1. Il ricorso è infondato, nei termini di seguito precisati.

3.1. Non sussiste alcun contrasto tra le conclusioni alle quali è giunto il c.t. e le affermazioni della Corte territoriale: questa da atto che il calcolo della velocità mantenuta dal D.L.C. ebbe come esito una misura non superiore ai cinquanta chilometri orari, limite vigente nel tratto, ma ha ritenuto che nell’occasione la velocità adeguata, ex art. 141 C.d.S., dovesse essere inferiore.

Egualmente privo di rilievo è il richiamo alla asserita assenza di efficienza causale del mancato utilizzo del casco da parte del M.; giudizio che fa riferimento alla velocità in concreto mantenuta dal D.L.C.. Ma il giudizio controfattuale in ordine alla valenza impeditiva della condotta alternativa lecita ha senso solo se viene calato in un comportamento emendato di ogni altra violazione cautelare da parte dell’agente/omittente, perchè diversamente esso sarebbe del tutto inutile, fondandosi la responsabilità su un diverso fattore causale. Quindi del tutto correttamente la Corte di Appello ha operato quel giudizio richiamando l’ipotesi di una velocità adeguata alle condizioni di tempo e di luogo, giungendo ad affermare che se l’imputato avesse circolato alla velocità dovuta il casco avrebbe salvato la vita del M..

3.2. Tanto osservato va rilevato come la censura che il ricorrente muove in via principale alla sentenza impugnata attiene alla affermazione di inadeguatezza della velocità. Deve darsi atto che essa riposa su un apprezzamento soggettivo della Corte di Appello.

Ma questa Corte, in precedenti ormai remoti e che tuttavia conservano persuasività, ha affermato che, in tema di accertamento della condotta colposa dell’imputato, nel formulare il loro convincimento sull’eccesso di velocità, i giudici di merito non sono tenuti ad indicare in termini aritmetici il limite di velocità ritenuto innocuo, essendo sufficiente che essi indichino gli elementi di fatto e le logiche deduzioni, in base ai quali hanno valutato, sia pure approssimativamente, la velocità ritenuta nociva e pericolosa in rapporto alla situazione obiettiva ambientale. Il fattore velocità risponde infatti ad un concetto di relatività alle situazioni contingenti quando trattasi di valutare il comportamento dell’imputato in nesso causale con l’evento ascrittogli e non già di accertare la violazione contravvenzionale di norme prescriventi limiti fissi di velocità (Sez. 4^, n. 6173 del 09/05/1983, Togliardi, Rv. 159688; Sez. 4^, n. 11068 del 05/06/1984, Rasi, Rv.

167075). Detto altrimenti, la velocità adeguata è quella che il giudice identifica come valevole a garantire una sicura circolazione stradale, nelle specifiche condizioni date. Trattandosi di regola elastica, l’opera di definizione della regola cautelare chiama in causa la prevedibilità e l’evitabilità dell’evento: la velocità doverosa è quella che, tenuto conto delle condizioni di tempo e di luogo, permette di evitare gli eventi prevedibili secondo l’id quod plerumque accidit.

La valutazione in ordine alla correttezza di tale operazione non è conducibile alla stregua di parametri matematici ma va effettuata utilizzando i criteri che informano il sindacato sulla motivazione:

compiutezza e non manifesta illogicità. Il discorso si sposta quindi sul piano degli oneri di argomentazione.

3.3. Sotto tale aspetto la Corte di Appello ha evidenziato in particolare come l’imputato si fosse trovato a percorrere il tratto nel quale sulla strada si apriva l’imbocco del parcheggio dal quale proveniva il Mi.; il ricorrente medesimo ha affermato che la conformazione dei luoghi non rendeva possibile scorgere il Mi. intento a fare la manovra di innesto sull’arteria stradale.

E’ quindi nient’affatto manifestamente illogica la valutazione operata dalla Corte distrettuale, quando enfatizzando proprio tali elementi ed altresì la scarsa illuminazione (e sul punto la diversa affermazione del ricorrente si pone su un piano non percorribile dal giudice di legittimità) ha concluso per il mantenimento di una velocità in ogni caso inadeguata.

3.4. Il secondo motivo è manifestamente infondato. In merito alla asserita imprevedibilità del comportamento del Mi., che l’esponente vorrebbe causa esclusiva del sinistro, questa Corte aderisce al principio già formulato, secondo il quale, in tema di responsabilità da sinistri stradali, l’utente della strada deve regolare la propria condotta in modo che essa non costituisca pericolo per la sicurezza di persone e cose, tenendo anche conto della possibilità di comportamenti irregolari altrui, sempre che questi ultimi non risultino assolutamente imprevedibili (Sez. 4^, Sentenza n. 26131 del 03/06/2008, Garzotto, Rv. 241004). Infatti, il principio dell’affidamento, nello specifico campo della circolazione stradale, trova un opportuno temperamento nell’opposto principio, secondo cui l’utente della strada è responsabile anche del comportamento imprudente altrui, purchè rientri nel limite della prevedibilità (Sez. 4^, Sentenza n. 8090 del 15/11/2013, P.M. in proc. Saporito, Rv. 259277). L’imprevedibilità, quindi, non può farsi consistere nella stessa imprudenza dell’altrui comportamento.

  1. In conclusione, il ricorso deve essere rigettato ed il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali. Segue anche la condanna alla rifusione delle spese di giudizio in favore delle costituite parti civili ( M.E.C.A., M. C.M., M.D., M.C.), liquidate in Euro 5.000,00 (cinquemila/00), oltre accessori come per legge.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali nonchè alla rifusione in favore delle parti civili delle spese di questo giudizio liquidate in Euro 5.000,00 (cinquemila/00), oltre accessori come per legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 13 febbraio 2015.

Depositato in Cancelleria il 25 febbraio 2015

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