Corte Suprema di Cassazione – sezione seconda penale – sentenza n. 50150 del 12 novembre 2015, depositata il 21 dicembre 2015

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Ritenuto in fatto

Con sentenza del 27.11.2013 la Corte d’Appello di Brescia in parziale riforma della sentenza emessa dal Tribunale di Brescia in data 27.11.2012, su appello del Pubblico Ministero, condannava (imputato Omissis) per il delitto di estorsione aggravata come originariamente contestato , rispetto al delitto di esercizio arbitrario delle proprie ragioni ritenuto in primo grado.

Avverso tale sentenza propone ricorso per Cassazione l’imputato (Omissis) il quale deduce:

1) l’inosservanza o erronea applicazione della legge penale ( art. 606 lett. b) c.p.p.) in relazione alla ritenuta sussistenza della fattispecie di cui all’art. 629 c.p., in luogo di quella minore di cui all’art. 393 c.p., atteso che la Corte d’Appello, pur non escludendo la fondatezza del diritto del ricorrente, ha ritenuto sussistente il reato di estorsione in ragione delle modalità della condotta dell'(imputato Omissis) da cui, invero non era derivata alcuna lesione, inoltre la condotta si era esaurita in poche ore e le vittime non furono mai coartate nel loro agire;

2) con il secondo motivo l'(imputato Omissis) deduce la mancanza o manifesta illogicità della motivazione (art. 606 lett. e) c.p.p. in relazione all’art. 393 c.p., in quanto la Corte d’Appello ha dapprima qualificato come discutibile il diritto di credito vantato dall’imputato, poi, nel riconoscergli le circostanze attenuanti generiche, in regime di prevalenza, ha valorizzato il dato della sua convinzione di aver subito un torto; inoltre la Corte, a dire della difesa, ha reso una motivazione viziata da illogicità e contraddittorietà laddove ha dapprima valutato la condotta del ricorrente fortemente pervicace, spregiudicata e intimidatoria e poi, nel riconoscere le circostanze attenuanti generiche in regime di prevalenza, ha evidenziato che la stessa si discostava dalle ordinarie vicende estorsive.

IN DIRITTO

Il ricorso è infondato.

Occorre premettere che in tema di differenziazione tra il reato di estorsione ed esercizio arbitrario delle proprie ragioni si registra un oscillamento giurisprudenziale. Si sono infatti sviluppati, in parte qua, due distinti filoni interpretativi, da un lato la giurisprudenza che afferma che la distinzione tra le due fattispecie, non è correlata alla materialità del fatto, che può essere identica in entrambe le ipotesi, ma piuttosto, nell’elemento intenzionale: quale che sia stata l’intensità e la gravità della violenza o della minaccia, solo l’azione che miri all’attuazione di una pretesa non suscettibile di tutela giudiziaria merita di essere tipizzata in termini di estorsione (da ultimo cfr. Sez. 2, n. 23765/2015 rv. 264106; Sez. 2 n. 9759/2015, rv. 263298; Sez. 2 , n. 51433/2013 rv. 257375).

Dall’altro, la giurisprudenza che afferma che se è vero che l’elemento intenzionale costituisce in linea di principio la linea di demarcazione delle due ipotesi delittuose, la gravità della violenza e la intensità dell’intimidazione veicolata con la minaccia, non costituiscono momenti del tutto indifferenti nel qualificare il fatto in termini di estorsione piuttosto che di esercizio arbitrario ex art. 393 c.p..Poiché, infatti, nel delitto di esercizio arbitrario delle proprie ragioni la condotta violenta o minacciosa non è fine a se stessa, ma è strettamente connessa alla finalità dell’agente di far valere il preteso diritto, rispetto al cui conseguimento si pone come elemento accidentale, non può mai consistere in manifestazioni sproporzionate e gratuite di violenza. Quando la minaccia, dunque, si estrinseca in forme di tale forza intimidatoria e di sistematica pervicacia che vanno al di là di ogni ragionevole intento di far valere un diritto, allora la coartazione dell’altrui volontà, è finalizzata a conseguire un profitto che assume ex se i caratteri dell’ingiustizia. Con la conseguenza che in determinate circostanze e situazioni anche la minaccia dell’esercizio di un diritto, in sè non ingiusta, può diventare tale, se le modalità denotano soltanto una prava volontà ricattatoria, che fanno sfociare l’azione in mera condotta estorsiva (cfr. in termini Sez. 1, Sentenza n. 32795 del 02/07/2014 Rv. 261291; Sez. 6, n. 17785/2015, rv. 263255; Sez. 5 19230/2013 rv. 256249).

Secondo questo indirizzo, dunque, a fronte di un preteso diritto che sia possibile far valere davanti all’autorità giudiziaria, ai fini della distinzione tra esercizio arbitrario delle proprie ragioni ed estorsione, occorre verificare il grado di gravità della condotta violenta o minacciosa per cui “si rimane indubbiamente nell’ambito dell’estorsione ove venga esercitata una violenza gratuita e sproporzionata rispetto al fine ovvero se si eserciti una minaccia che non lasci possibilità di scelta alla vittima” (così Sez. 6, 7 settembre 2010, n. 32721, Hamidovic, Rv. 248169).

Nel caso in esame la Corte d’Appello attribuisce alla condotta dell'(imputato Omissis) la valenza estorsiva, in adesione a tale orientamento giurisprudenziale, valorizzando il dato delle modalità dell’azione, puntualmente descritte a pag. 10 (consistite nel trattenere il (persona offesa Omissis) presso l’ufficio del (Omissis) per oltre due ore, avvalendosi della forza intimidatoria dei complici, minacciandolo ripetutamente di morte anche con il gesto fortemente intimidatorio dello sgozzamento, se non avesse pagato la somma richiesta, minacce ripetute per telefono alla socia (Omissis), nell’averlo fatto afferrare per il collo, nel minacciarlo nuovamente che lo avrebbe fatto sciogliere nell’acido), evidenziando altresì che il diritto dell'(imputato Omissis), ad ottenere la restituzione della somma di denaro, versata per la prestazione di intermediazione resa dalla agenzia del (Omissis), non era affatto certo, ma anzi, assai discutibile, sicchè nemmeno potrebbe prospettarsi l’ipotesi della ragion fattasi, in assenza di una pretesa legittima. In ragione di tale ulteriore argomentazione la Corte di merito esclude decisamente il reato di cui all’art. 393 c.p. dando atto della ricorrenza della estorsione, sia sotto il profilo oggettivo ( modalità dell’azione), sia sotto il profilo soggettivo, (per l’inesistenza del diritto azionabile ), sicchè la motivazione proprio perché rafforzata sul punto, appare congrua ed esaustiva.

Quanto al secondo motivo di impugnazione, consistente nella illogicità o contraddittorietà della motivazione avuto riguardo alla negazione della minore ipotesi di cui all’art. 393 c.p., nonostante la Corte avesse ritenuto che l'(imputato Omissis) avesse agito con la convinzione di aver subìto un torto, argomento speso anche per riconoscere all’imputato le circostanze attenuanti generiche in regime di prevalenza sulle aggravanti, deve evidenziarsi che la Corte d’Appello ha utilizzato tale argomento per modulare la pena ed adeguarla al caso concreto parametrando l’esercizio del proprio potere discrezionale, agli elementi valutativi di cui agli artt. 133 e 69 c.p. (pag. 12 ), senza che ciò potesse tuttavia incidere sulla effettiva valenza estorsiva del fatto. Tale valutazione di merito è insindacabile nel giudizio di legittimità, essendo il metodo di valutazione delle prove conforme ai principi giurisprudenziali e l’argomentare scevro da vizi logici.

Al rigetto del ricorso segue la condanna al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso, il 12 novembre 2015

 

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