Cassazione penale – sezione prima – sentenza n. 20526 del 18 maggio 2015

Download PDF

SENTENZA

sul ricorso proposto da (OMISSIS), nata in (Omissis) il (Omissis), avverso l’ordinanza emessa in data 18/07/2014 dal Tribunale di Bergamo.

Visti gli atti, il provvedimento denunziato, il ricorso;

udita la relazione svolta dal consigliere M.Stefania Di Tornassi;

lette le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Aurelio Galasso, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con l’ordinanza in epigrafe il Tribunale di Bergamo, decidendo quale giudice dell’esecuzione rigettava le richieste avanzate ai sensi dell’art. 670 cod. proc. pen. dalla detenuta (Omissis), volte: in via principale a far dichiarare l’invalidità della notifica della sentenza di condanna emessa nei suoi confronti dal Tribunale di Bergamo in data 22 ottobre 2013 (dichiarata irrevocabile il 24 dicembre 2013) e non esecutivo quindi il titolo; in subordine ad ottenere la restituzione nel termine per impugnare.

A ragione, il Tribunale rilevava che la (Omissis) era stata arrestata in flagranza del reato di rapina, l’arresto era stato convalidato anche se non era seguita l’applicazione di misura, e in sede di convalida la donna aveva eletto domicilio presso il difensore di ufficio nominatole, presente, con l’assistenza di interprete che le aveva spiegato i suoi diritti, le sue facoltà e le conseguenze del relativo esercizio, oltre che la natura e il contenuto dell’accusa.

Le notifiche a seguire effettuate nei suoi confronti, compresa quella relativa all’estratto contumaciale, erano state quindi tutte ritualmente effettuate al difensore domiciliatario. Non ricorreva perciò il presupposto dell’invalidità della notifica della sentenza per ritenere la non esecutività del titolo.

Quanto alla richiesta di restituzione nel termine per impugnare, osservava che le medesime considerazioni svolte a proposito della presenza di difensore e interprete all’udienza di convalida, nonché della esistenza di una informata elezione di domicilio presso il difensore, consentivano di affermare che la donna era stata adeguatamente edotta dell’accusa a suo carico, e degli sviluppi processuali che da essa potevano derivare, e di ritenere che con una diligenza minima la donna avrebbe potuto informarsi dal difensore domiciliatario dello sviluppo del procedimento a suo carico. Sicché non poteva accedersi alla tesi di una sua incolpevole mancanza di conoscenza del procedimento.

Rilevava, da ultimo, che nessuna questione era stata fatta dall’istante sulla traduzione dell’ordine di carcerazione.

2. Avverso detta ordinanza ha proposto ricorso la (OMISSIS) a mezzo del difensore, avvocato (OMISSIS), che ne chiede l’annullamento denunziando:

2.1. la mancanza di motivazione in ordine al rigetto della questione sulla formazione di valido titolo esecutivo, in presenza di notificazioni inidonee a dimostrare l’effettiva conoscenza, per atti formali, del processo in capo all’imputata, non potendo la stessa desumersi dalle informazioni ricevute relative alla sola fase procedimentale iniziale, delle indagini.

2.2. violazione degli artt. 161, 157, comma 2, e 548, comma 3, cod. proc. pen., e vizi di motivazione, in relazione all’interpretazione accolta dell’istituto della restituzione in termini che, diversamente da quanto sostenuto, postula la presunzione di non effettiva conoscenza in capo al contumace, l’stanza della ricorrente essendo stata così illegittimamente e illogicamente respinta

nonostante non potesse affatto ritenersi che le informazioni ricevute in sede di convalida fossero sufficienti a far comprendere alla donna concetti giuridici quali l’elezione di domicilio e le sue conseguenze; la sua contumacia, l’assenza di qualsiasi contatto con lei del difensore di ufficio, e il sostanziale “abbandono” della difesa ad opera di costui, dimostravano, invero, la non conoscenza del processo e l’assenza di una volontaria rinunzia a comparire, o comunque non consentivano di ritenere superata la presunzione di non conoscenza; 2.3. violazione della direttiva 2012/64/CE, par. 8 e nullità ai sensi degli artt. 178 e 180 cod. proc. pen. dell’ordine di esecuzione non tradotto, il vizio relativo potendo e dovendo essere rilevato anche d’ufficio dal giudice, che si era avveduto della omissione nonostante il difetto di eccezione difensiva.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Osserva il Collegio che il ricorso appare fondato solo con riferimento alla richiesta di restituzione nel termine.

Inammissibile è anzitutto, la doglianza riferita alla mancanza di traduzione dell’ordine di carcerazione, non tempestivamente dedotta al giudice di merito e afferente vizio (non di nullità, semmai di inefficacia), che comunque presuppone un accertamento di fatto (quello sulla conoscenza della lingua italiana) e che perciò è incompatibile con la sua denunzia, per la prima volta, in sede di legittimità.

Infondate, e sostanzialmente non pertinenti, sono, quindi, le doglianze articolate nel primo motivo con riferimento al rigetto della eccezione relativa alla esecutività del titolo.

Correttamente, difatti, il Tribunale ha osservato che questa dipende esclusivamente dalla validità della notifica dell’estratto contumaciale e che nel caso in esame detta notifica risultava valida sotto ogni aspetto, perché ritualmente effettuata a mani del difensore presso cui l’imputata aveva eletto

domicilio e perché tale elezione doveva ritenersi formalmente valida essendo stata accompagnata dalla esplicazione, ad opera dell’interprete, del significato dell’atto, alla presenza dello stesso difensore indicato quale domiciliatario.

Mentre il ricorso, limitandosi nella sostanza a sostenere che tanto non bastava a provare l’effettiva conoscenza in capo alla destinataria del contenuto dell’atto notificato al domiciliatario, neppure contesta in realtà la correttezza formale della notifica, ma evoca tema diverso, quello della conoscenza effettiva, che va piuttosto riferito alla richiesta di restituzione nel termine per impugnare.

Fondate, invece, devono ritenersi le censure articolate con riferimento al rigetto di tale richiesta subordinata.

Al proposito il Tribunale ha ritenuto che l’arresto in flagranza, l’udienza di convalida tenuta con l’assistenza di interprete, unitamente alla elezione di domicilio presso il difensore di ufficio presente, bastassero a vincere la presunzione di incolpevole mancanza di conoscenza del processo, poiché nella situazione data sarebbe stato onere dell’imputata mantenere i contatti con il difensore di ufficio, domiciliatario.

4.1. E’ noto che all’origine della novella che aveva modificato l’art. 175 cod. proc. pen., applicabile

ratione temporis alla vicenda processuale in esame, v’era la necessità di rimediare a quello che la Corte di Strasburgo aveva individuato come un “difetto strutturale” del sistema italiano, e cioè all’assenza di un meccanismo capace di porre rimedio alla situazione di colui che, a fronte di una

mera presunzione legale di conoscenza, non poteva ritenersi avesse effettivamente, consapevolmente e volontariamente, rinunciato a comparire o a richiedere un giudizio di seconda istanza.

Viene perciò di necessità in rilievo, a fini interpretativi, il fatto che il caso che diede occasione al perentorio invito rivolto con la sentenza Sejdovic (notificata il 10.10.2004) allo Stato italiano, di «garantire, con misure appropriate, la messa in opera del diritto» ad un equo processo non solo per quel particolare ricorrente, ma per tutte le persone fossero venute a trovarsi «in una situazione simile alla sua», concerneva un soggetto (il Sejdovic per l’appunto) che era stato ritualmente dichiarato latitante secondo l’ordinamento interno, per essersi volontariamente sottratto alla cattura: cosa che tuttavia non bastava, stando alle regole CEDU, a giustificare l’irrevocabilità della decisione, perché siffatta situazione non comportava in maniera non equivoca che l’imputato, pur potendo avere consapevolezza che lo si cercava per il delitto commesso, avesse altresì inteso rinunziare alle facoltà connesse all’effettivo esercizio del suo diritto di difesa nel successivo procedimento instaurato a suo carico.

D’altro canto “conoscenza effettiva” del procedimento e rinunzia “consapevole” del diritto a parteciparvi, non possono, per consolidate elaborazioni sia a livello comunitario che a livello interno, essere riferite a fasi, meramente preprocessuali, quali quelle delle indagini di polizia o preliminari.

Secondo la giurisprudenza CEDU la conoscenza “effettiva” del procedimento presuppone un atto formale di contestazione idoneo ad informare l’accusato della natura e dei motivi dell’accusa elevata a suo carico, al fine di consentirgli di difendersi nel “merito”. Siffatta esigenza è assicurata dall’ordinamento interno dalla vocatio in iudícium, preceduta dall’avviso dell’art. 415-bis c.p.p. ove non si sia fatto ricorso a riti speciali e perciò “accelerati”. E sempre al giudizio sul merito dell’accusa è riferibile il diritto a partecipare e difendersi personalmente cui si contrappone la rinunzia a “comparire” di cui parla la norma in esame, giacché, perché s’abbia rinunzia occorre che vi sia diritto o altra situazione soggettiva azionabile, mentre nella fase prodronnica alla formulazione dell’accusa in vista dell’esercizio dell’azione penale l’accusato può chiedere d’essere sentito, non reclamarne il diritto.

Venendo dunque al caso in esame, nel quale all’esito dell’udienza di convalida la ricorrente era stata liberata, la consapevole rinuncia a partecipare al procedimento a suo carico, non poteva comunque discendere da presunzioni basate sull’attribuzione all’imputata della capacità di prevedere che, nonostante il rigetto della richiesta del pubblico ministero di misura cautelare, le indagini a suo carico si sarebbero sviluppate in processo; né da presunzioni sul fatto che la sua elezione di domicilio presso il difensore di ufficio implicava anche il mantenimento in futuro di un qualche rapporto personale con esso e la volontà di non difendersi personalmente nel processo. Per di più, il provvedimento impugnato neppure chiarisce se, in disparte la ricezione delle notificazioni indirizzate all’imputata, l’attività difensiva del difensore era connotata da costanza e comportamenti tali da consentire di ritenere che, di fatto e diversamente da quanto affermato dalla ricorrente, tra questa e quello erano mantenuti contatti.

Il provvedimento impugnato afferma, insomma, che nel caso di specie non ricorrevano gli estremi della restituzione nel termine essendo la mancata effettiva cognizione del procedimento (verosimilmente) imputabile a “colpa” dell’istante, ma ha così operato una riduzione “interpretativa” della portata della norma non consentita.

Alla prova della non conoscenza del procedimento – che in precedenza doveva essere fornita dal condannato – l’art. 175 novellato ha chiaramente sostituito una sorta di presunzione iuris tantum

di non conoscenza (Sez. 6, Sentenza n. 23549 del 09/05/2006, Kera), ponendo perciò “a carico” del giudice l’onere di reperire negli atti l’eventuale dimostrazione del contrario (in tal senso, sostanzialmente: Sez. 1, 21.2.2006, Halilovic, rv. 233515; Sez. 1, 2.2.2006, Russo, rv. 233137) ovvero, più in generale, l’onere di accertare che il condannato avesse avuto effettivamente conoscenza del procedimento e avesse volontariamente e consapevolmente rinunziato a comparire (tra molte: Sez. 1, 6.4.2006, Latovic; Sez. 3, n. 17761 del 12.4.2006, Ricci; Sez. 2, n. 15903 del 14/02/2006, Ahemed). Perciò solo un valido, reale, rapporto fiduciario di difesa avrebbe potuto far presumere una reale “conoscenza” in capo all’imputato delle notificazioni effettuate a mani del suo legale (sul punto vedi, tra molte, Sez. 1, Sentenza n. 28619 del 25/05/2006, Filipi; Sez. 1, Sentenza n. 19127 del 16/05/2006, Gdoura; Sez. 5, Sentenza n. 25618 del 23/05/2006, Mosele).

Mentre, in assenza di elementi seri e conducenti in ordine a detta effettiva conoscenza, la

colpa della situazione che avrebbe generato la mancanza di conoscenza, seppure dovesse ammettersi esistente, non assume rilievo.

  1. L’ordinanza impugnata deve, conclusivamente, essere annullata limitatamente alla restituzione nel termine per impugnare, con rinvio al Tribunale di Bergamo perché proceda a nuovo esame.

Il ricorso va per il resto rigettato.

P.Q.M.

Annulla l’ordinanza impugnata limitatamente alla restituzione nel termine e rinvia per nuovo esame al riguardo al Tribunale di Bergamo.

Rigetta nel resto il ricorso.

Così deciso il 23 aprile 2015

 

Download PDF