Autosufficienza del ricorso per cassazione penale

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Il ricorrente che, in sede penale dinanzi al giudice di legittimità, intenda dedurre il vizio di travisamento della prova dichiarativa (testimoniale) ha il preciso onere di suffragare la validità del suo assunto mediante l’allegazione del verbale contenente le dichiarazioni ovvero la completa trascrizione del loro integrale contenuto, posto che la citazione di alcuni passi di quelle dichiarazioni non consente un effettivo apprezzamento del vizio dedotto e che in sede di legittimità è preclusa alla Corte una lettura totale degli atti

Lo ha stabilito la Suprema Corte di Cassazione – sezione terza penale – con sentenza n.13005 del 27 marzo 2015.

Il caso

L’autosufficienza del ricorso per cassazione penale

L’autosufficienza del ricorso per cassazione penale

Un imputato proponeva ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte di appello che aveva a sua volta confermato la sentenza di condanna del Tribunale di primo grado.

I motivi del ricorso: il travisamento della prova.

Secondo la Suprema Corte il travisamento della prova è un vizio deducibile in sede di legittimità, trattandosi di contraddittorietà processuale (in termini Sez. 6^ 18.11.2010 n. 8342, P.G. in porc. Greco, Rv. 249583).

Il travisamento del fatto.

Diversamente dal travisamento della prova, il cd. “travisamento del fatto” non è un vizio denunciabile in sede di legittimità “esulando dai poteri della Suprema Corte quello di una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione anche laddove venga prospettata dal ricorrente una diversa e più adeguata valutazione delle risultanze processuali”.

Quando si verifica il travisamento della prova.

Secondo la Suprema Corte, il “travisamento della prova si verifica quando nella motivazione si introduca un’informazione rilevante che non esiste nel processo, ovvero si ometta la valutazione di una prova decisiva ai fini della pronuncia e dunque rientra a pieno titolo nel sindacato del giudice di legittimità (Sez. 5^ 39048/07 cit.; Sez. 3^ 18.6.2009 n. 39729, Belluccia e altri, Rv. 244623)”.

Tuttavia, ciò non è sufficiente ad integrare il vizio di travisamento della prova. Difatti, il vizio suddetto, desumibile dal testo del provvedimento impugnato o da altri atti del processo purché specificamente indicati dal ricorrente, “è ravvisabile ed efficace solo se l’errore accertato sia idoneo a disarticolare l’intero ragionamento probatorio, rendendo illogica la motivazione per la essenziale forza dimostrativa del dato processuale /probatorio, fermi restando il limite del “devolutum” in caso di cosiddetta “doppia conforme” e l’intangibilità della valutazione nel merito del risultato probatorio” (così, da ultimo, Sez. 6^ 16.1.2014, Del Gaudio e altri, Rv. 258774”.

E’ ravvisabile il travisamento della prova in ipotesi di cd. doppia conforme?

Secondo Cassazione – Sez. 4^ 22.10.2013, Buonfine e altri, Rv. 256837,  il vizio di travisamento della prova ricorre anche nella ipotesi di cd. “doppia conforme” allorquando “entrambi i giudici del merito siano incorsi nel medesimo travisamento delle risultanze probatorie acquisite in forma di tale macroscopica o manifesta evidenza da imporre, in termini inequivocabili, il riscontro della non corrispondenza delle motivazioni di entrambe le sentenze di merito rispetto al compendio probatorio acquisito nel contraddittorio delle parti“.

La regola della autosufficienza del ricorso per cassazione in sede penale

Con la sentenza in argomento, la Suprema Corte ha precisato che il ricorrente che intenda dedurre il vizio in esame con riferimento ad una prova dichiarativa (testimoniale) ha il preciso onere di suffragare la validità del suo assunto mediante l’allegazione del verbale contenente le dichiarazioni ovvero la completa trascrizione del loro integrale contenuto, posto che la citazione di alcuni passi di quelle dichiarazioni non consente un effettivo apprezzamento del vizio dedotto e che in sede di legittimità è preclusa alla Corte una lettura totale degli atti (v. Sez. 3^ 2.7.2014 n. 43322, Sisti, Rv. 260994; Sez. 2^ 1.3.2012 n. 26725, natale e altri, Rv. 256723; Sez. 4^ 26.6.2008 n. 37982, Buzi, Rv. 241023).

Ciò in quanto, sempre con riferimento alle ipotesi di travisamento della prova dichiarativa, “qualora la prova che si assume travisata provenga dall’escussione di una fonte dichiarativa, l’oggetto della stessa deve essere del tutto definito o attenere alla proposizione di un dato storico semplice e non opinabile” (così Sez. 4^ 12.2.2008 n. 15556, Trivisonno, Rv. 239533; Sez. 5^ 12.12.2012 n. 9338, Maggio, Rv. 255087).

Una breve riflessione.

Leggendo la motivazione della sentenza, la quale si pone, tra l’altro, sul solco di un orientamento già in essere da alcuni anni a questa parte, non può non notarsi come sono sempre maggiori i paletti che anche i giudici di legittimità collocano lungo il sentiero che dalla decisione di primo grado conduce alla Corte di cassazione. A volta si ha la sensazione che, più che un percorso giudiziario, ci troviamo di fronte ad una corsa ad ostacoli.

Quando il ricorrente provvede a depositare un ricorso per cassazione, in sede penale, la cancelleria del giudice che ha emesso il provvedimento impugnato trasmette il ricorso proposto unitamente all’intero fascicolo alla Corte di cassazione.

La cancelleria del giudice a quo si spoglia, sia pure temporaneamente, del fascicolo, per entrarne in possesso solo dopo la restituzione da parte della cancelleria della Suprema Corte.

Ora, la ratio della trasmissione dell’intero fascicolo riposa sulla ovvia ragione che i giudici investiti del gravame debbano avere cognizione del fascicolo al fine di poter decidere sulla fondatezza o meno, ovvero, ancora prima, sulla inammissibilità o meno del ricorso.

Posto ciò, la sanzione della inammissibilità del ricorso per cassazione che, in sede penale, deducendo il travisamento della prova, non contenga la trascrizione integrale delle dichiarazioni testimoniali oggetto della doglianza ovvero non alleghi i verbali delle prove dichiarative sembra davvero eccessiva.

Calamandrei affermava che “la forma è garanzia di libertà”. Ma qui la forma, come richiesta dai giudici di piazza Cavour, non può certamente dirsi essere richiesta a garanzia dei diritti di libertà dell’imputato.

Tra l’altro una norma del codice di rito che sanzioni tale omissione non esiste e, conseguentemente, la sanzione introdotta dai recenti orientamenti giurisprudenziali sembra piuttosto essere stata coniata per altre finalità.

Proporre un ricorso per cassazione, al giorno d’oggi, è una impresa davvero difficile. Prima di poter avere la possibilità che i giudici della Suprema Corte esaminino le questioni dedotte occorre superare diverse prove preliminari, per lo più di natura procedurale. Regole che, come sopra detto, quasi sempre non si rinvengono nelle norme del codice di procedura, bensì nella interpretazione “evolutiva” che di quelle norme dà la Corte di legittimità. Interpretazione in continua evoluzione. E se si considera che il più delle volte dal momento della proposizione del ricorso al momento della decisione possono passare anni, e che in tale lasso di tempo può mutare la giurisprudenza, il dado è tratto: un ricorso “ammissibile” in base all’interpretazione vigente al tempo del suo deposito potrebbe essere dichiarato inammissibile in base alla diversa interpretazione vigente al tempo in cui viene deciso.

Riteniamo, in definitiva, che il legislatore dovrebbe prendere atto di tale situazione e creare poche regole, chiare e definite. A volte si ha la sensazione che la vera controparte di chi chiede giustizia sia lo stesso sistema giudiziario che, in un’epoca improntata alla ricerca di strumenti deflattivi, ponga in essere dei filoni giurisprudenziali che mal si conciliano con le finalità della tutela dei cittadini.

avv. Filippo Pagano (f.pagano@clouvell.com)

managing partner at clouvell (www.clouvell.com)

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