Il caso Divani&Divani: quando un marchio debole diventa forte

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Secondary meaning, marchio forte e marchio debole, idoneità a creare confusione nel consumatore medio: questi i temi trattati dalla Suprema Corte di Cassazione nella sentenza n°1861 del 2 febbraio 2015

marchio forte e marchio debole

anche il marchio debole può godere della tutela del marchio forte

La questione portata all’attenzione dei giudici riguarda una battaglia giudiziaria relativa all’uso del noto marchio “Divani&Divani” in confronto ad una società che aveva assunto la denominazione “Divini&Divani”.

La società titolare del marchio nazionale e comunitario “Divani&Divani” chiese al Tribunale di inibire alla società “Divini&Divani” l’uso dell’omonimo marchio quale denominazione sociale e segno identificativo di divani e poltrone, di accertare la concorrenza sleale e di emettere i provvedimenti conseguenziali, deducendone la confondibilità con il proprio marchio che era dotato di una rilevante forza distintiva per effetto della sua prolungata utilizzazione nel tempo nel mercato dei salotti.

In primo grado il Tribunale dette ragione, sia pure parzialmente, a “Divani&Divani”, accertando la contraffazione del marchio ed i danni conseguenti, mentre rigettò le domande di concorrenza sleale e quella connessa risarcitoria.

La Corte di appello ribaltò il verdetto sul presupposto che i due marchi non fossero confondibili e che il marchio “Divani&Divani” fosse un marchio debole.

Da qui il ricorso per cassazione della Natuzzi, società titolare del marchio “Divani&Divani”.

Nella sostanza la ricorrente si è lamentata del fatto che la Corte di appello non avesse considerato che, seppure il segno registrato dalla Natuzzi fosse originariamente debole, esso aveva acquisito una forte capacità distintiva in ragione dell’intenso uso commerciale e pubblicitario che ne era stato fatto e che si protraeva da diciotto anni, indipendentemente dal momento della registrazione. E pertanto “un marchio originariamente debole, una volta acquisita capacità distintiva per l’uso commerciale che ne è stato fatto, abbisogna della più rigorosa tutela riconosciuta al marchio forte, anche se tale uso è successivo alla registrazione del marchio”.

Sempre secondo la ricorrente, la Corte di appello avrebbe ignorato il rischio di confusione per il consumatore medio, che può essere tratto in inganno sull’origine di un prodotto avente grande notorietà sul mercato anche internazionale, stante la oggettiva ed estrema somiglianza tra i segni anche dal punto di vista grafico e considerata la coincidenza dell’oggetto sociale della Natuzzi con la “Divini&Divani”. Pertanto, a parere della Natuzzi, “l’interesse giuridico ad evitare il rischio di confusione per il pubblico, sotteso agli artt. 12, 20, comma 1, lett. b), 22 comma 1, c.p.i., e a garantire i consumatori circa la provenienza dei prodotti, deve prevalere sull’interesse alla disponibilità del segno per gli operatori di settore, quando il marchio registrato abbia conseguito su quel mercato un grado di notorietà tale da determinare una facile associazione tra marchio e segno dovuta al notevole grado di somiglianza”.

Il ragionamento seguito dalla Suprema Corte.

La Suprema Corte di cassazione critica il ragionamento seguito dal giudice di appello nella misura in cui questi ha qualificato il marchio dell’attrice, “Divani&Divani”, come debole perché composto con parola di uso comune, senza una originalità connessa alla ripetizione della parola e all’inserimento della “e” commerciale (&), ed ha considerato quindi che la sua tutela è limitata alla imitazione integrale, non ravvisabile nella fattispecie. Inoltre, la Suprema Corte ha criticato la Corte di appello per non aver ritenuto non rilevante, al fine di accertare la natura debole o forte del marchio, la sua elevata diffusione commerciale e pubblicitaria, a causa del prolungato uso e delle caratteristiche stilistiche del segno adottato.

Secondo i giudici di legittimità la qualificazione del segno distintivo come marchio debole non impedisce il riconoscimento della tutela nei confronti della contraffazione in presenza dell’adozione di mere varianti formali, inidonee ad escludere la confondibilità con ciò che del marchio imitato costituisce l’aspetto caratterizzante, ovverosia il nucleo cui è affidata la funzione distintiva (v. Cass. n. 14684/2007).

Ne consegue che anche il marchio debole è protetto dalla contraffazione se la variante non esclude il rischio di confusione rispetto al nucleo del marchio cui è affidata la funzione descrittiva. Una diversa interpretazione sarebbe estranea alla logica della tutela del marchio debole.

Sarebbe inutile – prosegue la Suprema Corte – “obiettare che il marchio di cui si invoca la tutela nella specie è costituito dalla ripetizione di una parola (“divani”) di uso comune per la denominazione del prodotto, poiché gli stessi giudici di merito (cui è riservato il relativo accertamento) ne hanno riconosciuto la capacità distintiva (v. artt. 18 r.d. n. 929/1942, mod. dal d.lgs. n. 480/1992, e 13 c.p.i.) e, quindi, la validità come marchio, seppure debole. E ciò coerentemente con il principio secondo cui anche una parola di uso comune può costituire un marchio registrabile, purché non abbia una funzione intrinsecamente descrittiva della qualità del prodotto, ma sia collegata ad esso da un accostamento di fantasia che le attribuisca carattere originale ed efficacia individualizzante (v. Cass. n. 91 e 1929/1998)”.

Altra censura che viene mossa ai giudici di secondo grade è quella di non avere effettuato un esame particolareggiato dei singoli elementi costitutivi del segno e di non avere valutato analiticamente la identità e somiglianza, effettuando un giudizio finale in via globale e sintetica, come richiesto dalla giurisprudenza di legittimità, dell’insieme degli elementi salienti, grafici e visivi, e ciò dalla posizione valutativa del consumatore medio di quel genere di prodotti al quale il marchio è presentato, prescindendo dalla possibilità di un attento esame comparativo, cioè mediante un raffronto tra il marchio presentato al consumatore ed il mero ricordo mnemonico dell’altro (v. Cass. n. 1437/1990, 4405/2006, n. 6193/2008).

Inoltre, anche un marchio debole può diventare forte in ragione della elevata diffusione commerciale e pubblicitaria.

Il secondary meaning

Si tratta di un fenomeno ricavabile dagli artt. 19 e 47 bis del r.d. n. 929/1942, a seguito delle modifiche apportate dal d.lgs. n. 480/1992, nonché dagli artt. 89, comma 2, del citato decreto del 1992 e 13, comma 3, c.p.i.), e che è stato elaborato ai fini della c.d. riabilitazione o convalidazione del segno originariamente privo di capacità distintiva, giacché mancante di originalità ovvero generico o descrittivo e che, tuttavia, finisce con il riceverla dall’uso che ne viene fatto nel mercato (v. Cass. n. 697/1999, n. 8119/2009).

In altre parole, il secondary meaning vuole descrivere la evoluzione della capacità distintiva del marchio, in origine debole (ma non nullo) che divenga successivamente forte attraverso la diffusione, la propaganda e la pubblicità (v. Cass. n. 4294/1974, n. 2884/1985, n. 18920/2004, n. 10071/2008).

In ragione di queste argomentazioni, la Corte di cassazione ha annullato la sentenza della Corte territoriale poiché quest’ultima “avrebbe dovuto verificare se il marchio “Divani&Divani” avesse accumulato in sé una forza distintiva tale da fare riconoscere come rafforzata la propria capacità distintiva, per effetto del suo diffuso utilizzo a livello nazionale ed internazionale e del duraturo sostegno pubblicitario, come ritenuto dal primo giudice che lo aveva giudicato notorio e rinomato”.

Per visionare la motivazione integrale della sentenza Cassazione civile n°1861 del 2015 clicca qui.

Per collegarti al sito “Divani&Divani” e visionare il relativo marchio clicca qui.

Avv. Filippo Pagano (f.pagano@clouvell.com)

managing partner at clouvell (www.clouvell.com)

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