Natura giuridica della circostanza aggravante dell’agevolazione mafiosa

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La circostanza aggravante dell’agevolazione dell’attività di un’associazione di tipo mafioso prevista dall’art. 7 d.l. 13 maggio 1991, n. 152, adesso trasfusa nell’art. 416 bis.1 c.p., diversamente da quella del metodo mafioso al pari contemplata dalla citata disposizione – ha natura soggettiva, essendo incentrata su una particolare motivazione a delinquere e sulla specifica direzione finalistica del dolo e della condotta a favorire il sodalizio. Ed invero, detta circostanza aggravante nella forma dell’agevolazione mafiosa – giusta l’inequivoco dato normativo del citato art. 7 (là dove postula che la condotta sia tesa «al fine di agevolare l’attività delle associazioni previste dallo stesso articolo» 416-bis cod. pen.), richiede che la condotta del soggetto risulti assistita, sulla base di idonei dati indiziari o sintomatici, da una cosciente ed univoca finalizzazione agevolatrice del sodalizio criminale. Pertanto, va escluso che detta circostanza sia imputabile ai concorrenti a titolo di colpa in quanto, riferendosi ai motivi a delinquere, la disciplina speciale prevista dall’art. 118 cod. pen. prevale su quella generale prevista dall’art. 59, comma secondo, cod. pen.

Lo ha ribadito la Suprema Corte di Cassazione – sezione sesta penale – con sentenza n. 38519 del giorno 11 luglio 2018

Natura giuridica della circostanza aggravante dell’agevolazione mafiosa

Natura giuridica della circostanza aggravante dell’agevolazione mafiosa

Il caso

Un imputato  impugnava l’ordinanza del Tribunale del riesame che confermava il provvedimento del Giudice per le indagini preliminari del medesimo Tribunale, che gli aveva applicato la misura cautelare carceraria in relazione al reato di cui agli artt. 416 cod. pen. e 7 dl. n. 151 del 1991.

Nella specie, il ricorrente era stato raggiunto dalla misura cautelare in quanto gravemente indiziato della partecipazione ad un’associazione finalizzata alla commissione di reati di truffa, falso, riciclaggio e furto.

Il Tribunale rilevava che la gravità indiziaria della partecipazione al sodalizio risultava sia dalle captazioni, che avevano registrato i rapporti tra il ricorrente ed altro soggetto, aventi ad oggetto sia operazioni di immatricolazione di vetture da effettuare in Bulgaria, dove si sarebbero recati insieme per la immatricolazione di una autovettura, sia la consegna di targhe da parte del primo e anche la immatricolazione di un’autovettura in Bulgaria da far rientrare in Italia; sia da altri episodi sintomatici della sussistenza di un grave quadro indiziario.

Secondo il Tribunale, era sussistente l’aggravante della finalità agevolatoria contestata in sede cautelare, essendo sufficiente che la stessa fosse ravvisabile in via diretta ad alcuni sodali  ed esponenti della cosca.

Sul fronte delle esigenze cautelari, il Tribunale riteneva fondato il giudizio espresso dal Giudice per le indagini preliminari in punto sia di pericolo di recidiva che di adeguatezza della massima misura cautelare: il pericolo di recidiva doveva ritenersi concreto e ancora attuale, considerate la non lontananza dei fatti illeciti, le modalità professionali della condotta, la spregiudicata personalità e la non comune caratura criminale dimostrata, e fronteggiabile solo con la misura intramuraria.

I motivi di ricorso

Nel ricorso, l’interessato denuncia i motivi di seguito enunciati nei limiti di cui all’art. 173, disp. att. cod. proc. pen.

> Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione agli artt. 273 e 192 cod. proc. pen. e ai gravi indizi di colpevolezza.

> Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione agli artt. 273, 192 e 274 cod. pen. e alla sussistenza dell’aggravante di cui all’art. 7 d.l. n. 152 del 1991.

> Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione agli artt. 274 e 275 cod. proc. pen.

La Suprema Corte ritiene fondato il secondo motivo di ricorso

Secondo gli Ermellini, il primo motivo, con cui si contesta il giudizio di qualificata probabilità sulla responsabilità dell’indagato, articola censure che da un lato si rivelano aspecifiche rispetto alle ragioni del provvedimento impugnato e dall’altro formulano questioni di fatto, nella preclusa prospettiva di fornire una diversa lettura delle evidenze indiziarie. La motivazione della ordinanza impugnata – proseguono i giudici di Piazza Cavour – ha invero basato il quadro indiziario a carico del ricorrente partendo dalla rivelazione fatta da un soggetto nel corso di un colloquio intercettato, con la quale aveva spiegato i dettagli del sistema ideato per realizzare le truffe, sistema che trovava il suo snodo essenziale nella prima “ripulitura” della auto in Bulgaria, per poi procedere ad una nuova immatricolazione in Italia, sempre sulla base di falsa documentazione, per la sua commercializzazione truffaldina. Molteplici risultavano i riscontri dell’articolato piano criminoso che attingevano la persona del ricorrente, quale partecipe al sodalizio criminale. Tra l’altro, secondo i giudici della Suprema Corte, la circostanza che sia stata accertata un’unica commercializzazione imputabile alla ditta del fratello del ricorrente non costituisce elemento rilevante ai fini della tesi difensiva atteso che la commissione di delitti rientranti nel programma comune e le loro modalità esecutive possono essere invero utilizzate dal giudice per dedurre la prova dell’esistenza del sodalizio criminoso (tra tante, Sez. U, n. 10 del 28/03/2001, Cinalli, Rv. 218376), ma la mancanza di tali elementi non ha alcun rilievo ai fini dell’accertamento della responsabilità dell’imputato per il reato associativo, atteso che per la configurazione di quest’ultimo non è necessario il perfezionamento di reati scopo, ma soltanto un generico programma criminoso che preveda la loro consumazione (per tutte, tra tante, Sez. 4, n. 8092 del 28/01/2014, Prezioso, Rv. 259129).

L’aggravante ex art. 7 d.l. n.152/1991 ha natura soggettiva.

Per gli Ermellini è invece fondato il motivo relativo alla circostanza aggravante di cui all’art. 7 d.l. n. 152 del 1991. Costituisce principio di diritto ormai stabilizzato – prosegue la Suprema Corte – che la circostanza aggravante dell’agevolazione dell’attività di un’associazione di tipo mafioso prevista dall’art. 7 d.l. 13 maggio 1991, n. 152 (convertito nella legge 12 luglio 1991, n. 203) – diversamente da quella del metodo mafioso al pari contemplata dalla citata disposizione – abbia natura soggettiva, essendo incentrata su una particolare motivazione a delinquere e sulla specifica direzione finalistica del dolo e della condotta a favorire il sodalizio (per tutte, Sez. 6, n. 54481 del 06/11/2017, Madaffari, Rv. 271652). Ed invero “detta circostanza aggravante nella forma dell’agevolazione mafiosa – giusta l’inequivoco dato normativo del citato art. 7 (là dove postula che la condotta sia tesa «al fine di agevolare l’attività delle associazioni previste dallo stesso articolo» 416-bis cod. pen.), richiede che la condotta del soggetto risulti assistita, sulla base di idonei dati indiziari o sintomatici, da una cosciente ed univoca finalizzazione agevolatrice del sodalizio criminale (Sez. 6, n. 47722 del 06/10/2015 2015, Arcone, Rv. 265881). Pertanto, va escluso che detta circostanza sia imputabile ai concorrenti a titolo di colpa in quanto, riferendosi ai motivi a delinquere, la disciplina speciale prevista dall’art. 118 cod. pen. prevale su quella generale prevista dall’art. 59, comma secondo, cod. pen. (Sez. 6, n. 8891 del 19/12/2017, dep. 2018, Castiglione, Rv. 272335)”.

Il precedente minoritario orientamento

I giudici di piazza Cavour rilevano che nella specie “il Tribunale ha fatto invece applicazione del diverso e oramai superato minoritario orientamento, secondo cui la suddetta circostanza nella forma dell’agevolazione di un’associazione mafiosa ha natura oggettiva, riguardando una modalità dell’azione, con la conseguente trasmissione a tutti i concorrenti nel reato (Sez. 2, n. 24046 del 17/01/2017, Tarantino, Rv. 270300), ritenendo nella specie sufficiente per la posizione del ricorrente che detta finalizzazione della condotta in capo ai sodali, esponenti della cosca mafiosa, fosse “prevedibile” in concreto anche dal predetto, “alla luce dei suoi stretti contatti” con costoro”.

Secondo i giudici della Cassazione, “l’esistenza di contatti tra il ricorrente e gli esponenti della cosca di per sé non dimostra che il primo fosse consapevole della intraneità di costoro nella cosca cirotana e del fatto che le condotte delittuose di cui si rendeva responsabile ed i profitti illeciti conseguiti andassero a vantaggio della medesima cosca. Inoltre, quand’anche fosse acclarata la consapevolezza del ricorrente circa l’intraneità di alcuni sodali nell’associazione di stampo ‘ndranghetista dovrebbe comunque essere dimostrata – sia pure nei termini di cui all’art. 273 cod. proc. pen. – che, per un verso, tale condotta (anche soltanto in ragione della coincidenza tra interessi del capo, beneficiario della condotta, e quelli dell’associazione) abbia sostanziato un oggettivo ausilio al sodalizio criminale nel suo complesso; per altro verso – e soprattutto -, che il ricorrente abbia voluto consapevolmente agevolare, oltre che i sodali mafiosi, anche la tutta consorteria”.

Da qui, l’accoglimento, in parte qua, del ricorso con conseguente assorbimento del terzo motivo di ricorso, annullamento della ordinanza impugnata, con rinvio al Tribunale del riesame perché provveda ad un nuovo esame al fine di colmare, nella piena autonomia dei relativi apprezzamenti di merito, le indicate lacune della motivazione impugnata e, segnatamente, al fine di verificare la sussistenza della circostanza aggravante di cui all’art. 7 legge n. 203 del 1991 e delle esigenze cautelari, tenendo conto dei principi di diritto sopra enunciati.

Una breve riflessione

La sentenza della Suprema Corte in rassegna si pone nel solco tracciato da Cass. Sez. 6, n. 54481 del 06/11/2017, Madaffari, Rv. 271652 che, a sua volta, si rifà a Sez. 6, n. 29816 del 29/03/2017 – dep. 15/06/2017, Gioffrè e altri, Rv. 270602 (secondo cui “sotto il profilo c.d. dell’agevolazione mafiosa, l’aggravante prevista dall’art. 7, comma 1, d.l. 13 maggio 1991, n. 152 convertito in legge 12 luglio 1991, n. 203, in quanto incentrata su una particolare motivazione a delinquere e sulla specifica direzione finalistica del dolo e della condotta, configura una circostanza soggettiva, a differenza dell’uso del metodo mafioso che invece si connota per il carattere oggettivo, derivando quell’aggravante dalle modalità di realizzazione dell’azione criminosa”) ed a Sez. 3, n. 36364 del 20/5/2015, Mancuso.

Una lettura che muove dalla considerazione che l’aggravante ex art. 118 codice penale è norma speciale rispetto a quella ex art. 59 codice penale.

Questione affatto pacifica visto quanto affermato, anche in epoca recente da Cass. Pen., sez. II, 11 marzo 2016, n. 13707; Cass. Pen., sez. V, 8 novembre 2012 (dep. 8 marzo 2013), n. 10966 che ha affermato la natura oggettiva della circostanza ex art. 118 c.p. in quanto essa concernerebbe le modalità dell’azionee, quindi, si estenderebbe  ai correi ex art. 59 c. 2 c.p.

Per completezza si segnala che con d.lgs. 1.3.2018, n. 21, recante «Disposizioni di attuazione del principio di delega della riserva di codice in materia penale», la richiamata aggravante è stata trasfusa senza modifiche nell’art. 416 bis.1 c.p.

Avv. Filippo Pagano (f.pagano@clouvell.com)

Managing partner at clouvell (www.clouvell.com)

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