Il lato negativo delle massime giurisprudenziali

Download PDF

Inutile soffermarsi sul concetto di massima. Basti pensare che tutti, quantomeno gli addetti ai lavori, si imbattono giornalmente nello studio e nella lettura delle massime giurisprudenziali.

Il lato negativo delle massime giurisprudenziali

Il lato negativo delle massime giurisprudenziali

Un tempo la ricerca avveniva in maniera sensibilmente diversa. Oggi avviene, per lo più, tramite strumenti informatici e sempre meno spesso attraverso i tradizionali strumenti cartacei.

Ma anche in questi ultimi una parte preponderante è dedicata alle massime.

Si sa, esiste addirittura un ufficio del massimario presso la Corte di Cassazione con il compito di massimare, appunto, le sentenze della Corte. Ed analoghi uffici esistono all’interno delle altre autorità giudiziarie poste al vertice della giustizia amministrativa e contabile.

La massima altro non è che la enunciazione o, se si preferisce, la enucleazione del principio di diritto contenuto in una sentenza. Spesso, tale principio viene seguito da una sintetica descrizione del caso concreto affrontato dalla sentenza.

Vi sono massime ufficiali e massime non ufficiali, ma tutte hanno la funzione di “scrivere” gli indirizzi giurisprudenziali della Suprema Corte e contribuire efficacemente alla relativa funzione nomofilattica.

Come avviene la formazione della massima.

Si tratta di estrapolare, come sopra detto, un principio giuridico (o più principi giuridici) utilizzati dal Giudice per la soluzione della fattispecie concreta.

Il metodo induttivo

Il relativo procedimento di enucleazione della massima è tipicamente basato sul metodo induttivo, procede cioè dal particolare per giungere al generale.

Difatti, il caso trattato dalla sentenza oggetto di osservazione è un caso particolare, che riguarda soggetti ben determinati, un petitum ben determinato ed una causa petendi ben determinata.

La massima, viceversa, è un principio giuridico “generale”, applicabile ad una generalità di casi che rientrano, appunto, in quel principio.

Il metodo deduttivo

Il criterio attraverso il quale una massima di diritto viene applicata ad un caso concreto è, contrariamente al primo, basato sul metodo deduttivo, che procede cioè dal generale al particolare.

In altri termini, l’interprete, considerato che il caso concreto sottoposto al suo esame rientra (o non rientra) tra le ipotesi (generali) di cui alla massima, conclude che quella massima potrà (o non potrà) applicarsi al caso concreto.

A questo punto occorre evidenziare che il metodo deduttivo consente di pervenire a delle conclusioni, prevedendo fatti non osservati, ma che devono necessariamente accadere se le premesse sono vere.

In altre parole, basta che le premesse logiche su cui si fonda il metodo deduttivo siano errate e tutto il castello costruito secondo tale metodo viene travolto.

Nel caso della soluzione di questioni giuridiche connesse ad un caso concreto, se per premesse logiche si intendono le massime giurisprudenziali, allora l’addetto ai lavori dovrebbe poter prevedere, con precisione scientifica, l’esito del giudizio, proprio in virtù dell’applicazione della massima che a quel caso (concreto) sottoposto al suo esame sembra potersi applicare.

Ma l’esperienza insegna che non è così. L’esperienza insegna che sono gli stessi giudici a cambiare orientamento. Addirittura, per il caso di contrasto tra più sezioni della Suprema Corte, vengono investite le sezioni unite.

D’altronde, l’applicazione dei metodi induttivo e deduttivo dovrebbe avere come conseguenza che un principio di diritto (generale), proprio perché tale, dovrebbe essere immutabile. Al contrario, i principi mutano. E se mutano i principi è perché mutano le situazioni (particolari) che li hanno determinate.

Ecco allora che siamo giunti ad una prima conclusione: l’interprete non deve fermarsi a leggere, studiare, riportare e considerare una massima giurisprudenziale, ma deve andare più a fondo. Deve analizzare e studiare il contesto fattuale (concreto) da cui è originata quella massima. Solo così potrà capire se, effettivamente, quella massima fa al suo caso, se è utile per la soluzione del caso concreto affidatogli.

Nella esperienza professionale capita a tutti di imbattersi nella lettura di atti difensivi che riportano delle massime a sostegno della tesi propugnata da una delle parti in causa. Se ci si fermasse alla lettura delle massime, quasi sempre si dovrebbe concludere che quella parte ha una tesi non confutabile. Però, se si va a leggere la motivazione di quelle decisioni da cui sono state estrapolate le massime riportate, ci si rende conto che così non è. Con ciò non si vuole affermare che quelle massime sono errate, ma piuttosto che soltanto leggendo il caso concreto, il fatto e le relative argomentazioni che hanno costituito il fatto controverso sarà possibile verificare se quella massima possa o meno davvero applicarsi al caso sottoposto al’esame.

Non pochi sono coloro che sono riusciti addirittura a dimostrare che la massima riportata dalla controparte in realtà dava ragione alle proprie ragioni difensive. E di ciò la controparte se ne sarebbe potuta rendere conto ove avesse letto la motivazione integrale della decisione.

Certo, ai tempi d’oggi, dove il mondo corre più veloce che mai, la massima è diventata sempre di più lo strumento di ricerca preferito perché consente, in tempi rapidi, di appurare la esistenza (o inesistenza) di un principio giuridico. E ciò è già tanto.

Ma fermarsi alla massima senza analizzare la motivazione integrale della decisione può essere un errore troppo grande nel quale non si può rischiare di incappare.

Una massima non può riuscire a tradurre, in poche righe, ciò che è successo in un caso specifico. Una massima non può contenere le peculiarità di una caso concreto.

Ogni questione giuridica, ogni controversia portata alla cognizione dei giudici è un caso a sé stante: possiede una propria identità, una propria peculiarità, elementi questi che nessun altro caso possiede.

Pretendere che la soluzione di quel caso possa adattarsi a tutti i casi similari è un po’ una forzatura. E’ come pretendere che un abito cucito su misura per una persona possa andare bene per tutte le altre persone che hanno la stessa età di quell’individuo. Ma non è così.

Perché la giurisprudenza muta orientamento.

Io oserei dire che la premessa è errata: non è la giurisprudenza che muta orientamento, piuttosto è la  giurisprudenza che decide in base ai criteri ermeneutici ritenuti più adeguati al caso concreto.

Siamo noi che abbiamo costruito gli orientamenti giurisprudenziali e le massime. E nel momento in cui il giudice va fuori da quelli che sono i binari di tale orientamento consolidato o delle massime fino a quel tempo elaborate, allora, rimanendo soccombenti in un caso, siamo portati ad affermare che vi è stato un mutamento di orientamento.

Se vogliamo proprio usare tale terminologia, possiamo affermare che il giudice si viene a trovare, ad un certo punto, di fronte ad una situazione concreta che è molto diversa rispetto a quella prospettata da una delle parti in causa (che pone a fondamento un preesistente orientamento giurisprudenziale).

Nell’esercizio delle proprie funzioni giurisdizionali, il giudice, non se la sente di poter forzare quel caso così diverso e vestirlo con quella massima (o con quel principio) propugnati dalla parte ed elaborati a proposito di un caso simile (ma non uguale). Ed allora il giudice deciderà quel caso con la soluzione giuridica più idonea (per quel caso concreto).

Per il ricorrente la giurisprudenza avrà mutato orientamento. Per altri, invece, il giudice non ha mutato orientamento, ma ha solo da una diversa interpretazione, la più coerente ed adeguata per la soluzione di quel caso concreto (caso diverso da quell’altro caso concreto che aveva dato vita a quella massima ora “disattesa”).

In conclusione

L’utilizzo delle massime giurisprudenziali, oggi, rappresenta uno strumento indispensabile e di grande ausilio per l’addetto ai lavori, ma non è sufficiente, dovendo essere affiancato necessariamente dallo studio ed esame del testo integrale della decisione da cui quelle massime sono state tratte. Solo così si potrà cogliere, davvero, la reale portata dei principi giuridici professati dalle massime giurisprudenziali ed evitare di farne un uso inadeguato per la soluzione del caso concreto.

avv. Filippo Pagano (f.pagano@clouvell.com)

managing partner at clouvell (www.clouvell.com)

Download PDF