Nullità del capo di imputazione per genericità, indeterminatezza o perché formulato per relationem al contenuto di atti di indagine.

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Il capo di imputazione deve contenere la descrizione precisa del fatto, né è possibile una descrizione per relationem rispetto agli atti di indagini inseriti nel fascicolo del Pubblico Ministero.

Lo ha ribadito la Suprema Corte di Cassazione – sezione IV – con sentenza n. 43225 del 22 ottobre 2013.

Nullità del capo di imputazione per genericità, indeterminatezza o perché formulato per relationem al contenuto di atti di indagine.

Nullità del capo di imputazione per genericità, indeterminatezza o perché formulato per relationem al contenuto di atti di indagine.

Secondo la Suprema Corte, in particolare, è “nulla la contestazione formulata con il mero richiamo agli atti (sul punto Sez. 3, Sentenza n. 23047 del 19/05/2009, dep. 09/07/2009, imp. Mazzettini, Rv. 244579) nel presupposto che l’indicazione per relationem sia consentita solo nel caso in cui l’enunciazione del fatto sia contenuta in un altro provvedimento giudiziario (cfr. Sez. 1, 25.9.2002, n. 35616, Bellotto, n. 222329), ma non anche in un verbale della polizia giudiziaria, dove sono stati trasfusi i risultati dell’attività di indagine”.

Nella specie la Suprema Corte ha annullato senza rinvio la sentenza impugnata e quella di primo grado ed ha disposto trasmettersi gli atti al P.M. presso il giudice di primo grado per l’ulteriore corso.

La decisione della Suprema Corte sopra richiamata si pone sulla scia della giurisprudenza di legittimità successiva alla nota sentenza delle Sezioni Unite della Suprema Corte di cassazione del 1° febbraio 2008 n° 5307.

Le sezioni unite, nell’affrontare la questione relativa alla genericità ed indeterminatezza del capo di imputazione, hanno espresso il principio di diritto in forza del quale “è abnorme il provvedimento, con cui il giudice dell’udienza preliminare dichiari la nullità della richiesta di rinvio a giudizio per la genericità o l’indeterminatezza dell’imputazione e disponga la restituzione degli atti al p.m. perché eserciti nuovamente l’azione penale”, mentre “è rituale il provvedimento con cui il medesimo giudice, dopo aver sollecitato il p.m. nel corso dell’udienza preliminare ad integrare l’atto imputativo senza che quest’ultimo abbia adempiuto al dovere di provvedervi, determini la regressione del procedimento onde consentire il nuovo esercizio dell’azione penale in modo aderente alle effettive risultanze d’indagine. (La Corte ha altresì precisato che in questo caso la restituzione degli atti deve considerarsi legittima in virtù dell’applicazione analogica dell’art. 521 comma 2 c.p.p.)”.

La genericità ed indeterminatezza del capo di imputazione nella giurisprudenza precedente l’intervento delle Sezioni Unite

Il primo orientamento

Secondo un primo orientamento (v., ex plurimis, Cass., Sez. 5, 12/12/1991, Cavuoto, rv. 189547; Sez. 6, 5/5/1992, Nichele, rv. 191347; Sez. 2, 9/1/1996, Lanzo, rv. 204029;  Sez. 2, 6/2/1996, Pellegrino, rv. 204751; Sez. 1, 18/12/1996, Di Stefano, rv. 206666; Sez. 1, 17/12/1998, Adamo, rv. 212454; Sez. 1, 7/11/2001 n. 45698, Molè, rv. 220470; Sez. 1, 4/4/2003 n. 28987, Esposito, rv. 227383; Sez. 6, 7/10/2004 n. 42011, Romanelli, rv. 230384; Sez. 6, 10/11/2004 n. 48697, Casamonica, rv. 230842; Sez. 6, 29/9/2004 n. 42534, D’Avanzo, rv. 231185; Sez. 6, 25/11/2004 n. 2567, Scipioni, rv. 230883), il Giudice dell’udienza preliminare non potrebbe restituire gli atti al Pubblico Ministero a causa della mancata, generica o insufficiente enunciazione del fatto, e ciò in quanto, pur costituendo la specifica indicazione del fatto uno dei requisiti formali della richiesta di rinvio a giudizio ai sensi dell’art. 417 c.p.p., lett. b), non vi è nullità per l’ipotesi di inosservanza del precetto. Difatti, il P.M. può, in qualsiasi momento procedere alle necessarie modifiche ed integrazioni dell’imputazione indeterminata nel corso dell’udienza preliminare. E se ciò non fa deve pronunziarsi sentenza di non doversi procedere, restando invece preclusa al GIP la possibilità di restituire gli atti all’Ufficio di Procura, restituzione che, ove fatta, costituirebbe una indebita regressione del procedimenti in contrasto con i principi di ragionevole durata del processo e  irretrattabilità dell’azione penale.

L’opposto orientamento

Secondo l’opposto orientamento, invece (v., fra le tante, Sez. 1, 5/5/2000, P.M. in proc. Ferrentino, rv. 216422; Sez. 5, 11/7/2001 n. 36009, Di Lorenzo, rv. 220208; Sez. 1, 24/10/2003 n. 1334, Guida, rv. 229513; Sez. 6, 8/1/2004, P.M. in proc. D’Alessandro, rv. 228032; Sez. 5, 20/5/2004 n. 27990, Fraglia, rv. 228684; Sez. 4, 3/6/2004 n. 39472, Scolari, rv. 229572; Sez. 4, 14/10/2005 n. 46271, Statello, rv. 232825) il provvedimento restitutorio da parte del GIP sarebbe legittimo essendo tale facoltà posta a garanzia del contraddittorio e del diritto di difesa dell’imputato. In altre parole, il GIP potrebbe verificare l’adempimento da parte del P.M. dell’obbligo di procedere  all’enunciazione in forma chiara e precisa del fatto.

L’intervento della Corte Costituzionale

Ancora prima dell’intervento delle sezioni unite si è registrato, sulla questione, l’intervento della Corte Costituzionale che con sentenza n. 88 del 1994, ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 424 c.p.p., “nella parte in cui non prevede che il giudice possa, all’esito dell’udienza preliminare, trasmettere gli atti al Pubblico Ministero per descrivere il fatto diversamente da come ipotizzato nella richiesta di rinvio a giudizio”.

Ciò in quanto il Gip potrebbe “sanare” la incompletezza originaria del capo di imputazione attraverso i rimedi di cui all’articolo  423 c.p.p., (in caso di diversità del fatto) ovvero attraverso il ricorso all’applicazione analogica dell’art. 521 c.p.p., comma 2.

Successivamente, la Corte Costituzionale, con ordinanza n. 131 del 1995, ha dichiarato manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 417 c.p.p., nella parte in cui non prevede alcuna sanzione per la richiesta di rinvio a giudizio difforme dal modello legale, siccome generica nella formulazione del capo d’imputazione e nell’indicazione delle fonti di prova.

La Corte delle leggi ha precisato che in siffatta ipotesi non è precluso al giudice dell’udienza preliminare “sollecitare il pubblico ministero a procedere alle necessarie integrazioni e precisazioni dell’imputazione” inadeguata, anche mediante un provvedimento di trasmissione degli atti che intervenga dopo la chiusura della discussione.

Le sezioni unite e la tesi dell’abnormità del provvedimento restitutorio  del GUP.

Le sezioni unite condividono la tesi della abnormità del provvedimento del GUP dichiarativo della nullità della richiesta di rinvio a giudizio per la genericità o l’indeterminatezza dell’imputazione con il quale contestualmente disponga la restituzione degli atti al pubblico ministero perchè eserciti nuovamente l’azione penale, ma con alcune precisazioni.

Le precisazioni delle sezioni unite alla tesi della abnormità: la funzione dell’udienza preliminare.

Secondo le sezioni unite, “se l’udienza preliminare resta connotata da una maggiore fluidità dell’addebito, che si cristallizza solo con il decreto che dispone il giudizio, deve pure convenirsi che l’intervento del giudice per assicurare la costante corrispondenza dell’imputazione a quanto emerge dagli atti costituisca un atto doveroso e un’esigenza insopprimibile, non solo a garanzia del diritto di difesa dell’imputato e dell’effettività del contraddittorio, ma anche al fine di consentire che il controllo giurisdizionale sul corretto esercizio dell’azione penale si svolga in piena autonomia e si concluda eventualmente con una decisione di rinvio a giudizio che, nel fissare il thema decidendum, abbia ad oggetto un’imputazione riscontrabile negli atti processuali e sia supportata da specifiche fonti di prova in ordine ai fatti storici contestati con chiarezza e precisione, anzichè un’imputazione priva di concreto contenuto materiale, inidonea a reggere l’urto della verifica preliminare di validità nella fase introduttiva del dibattimento”.

Il rimedio “interno”: il provvedimento con cui il GUP sollecita il PM a “correggere” il capo di imputazione.

Ne consegue che “il giudice dell’udienza preliminare, dal momento della presentazione dell’atto introduttivo fino all’esito della discussione nel confronto dialettico fra le parti, ancor prima dell’adozione dei tipici provvedimenti conclusivi della fase ex art. 424 c.p.p., qualora ravvisi nell’atto di imputazione l’assenza del contenuto minimo indispensabile o la sua imperfezione e inadeguatezza per difetto di chiarezza e precisione dei fatti storici contestati, ha il “potere- dovere” di attivare i meccanismi correttivi nel corso dell’attività fisiologica della medesima udienza, rappresentando, con ordinanza motivata e interlocutoria, gli clementi di fatto e le ragioni giuridiche del vizio d’imputazione e richiedendo espressamente al pubblico ministero di provvedere, di conseguenza, alle opportune precisazioni e integrazioni, secondo il paradigma contestativo dettato dall’art. 423 c.p.p., comma 1″.

Il rimedio “esterno” per il caso di inerzia del PM: la restituzione degli atti all’Ufficio di Procura.

Secondo le sezioni unite, qualora il PM rimanga inerte, allora il giudice ha il potere di trasmettere gli atti all’Ufficio di Procura per il nuovo esercizio dell’azione penale,  secondo il modulo contestativo – endofasico – predisposto dall’art. 423 c.p.p..

In conclusione

Il controllo del giudice dell’udienza preliminare sulla validità dell’imputazione, siccome immanente al sistema, deve esplicarsi secondo una sequenza razionale (già prefigurata da una parte della dottrina) che, in prima battuta, privilegia l’emendatio delle lacune imputative attraverso gli strumenti di adeguamento previsti dall’art. 423 c.p.p., comma 1, nell’ambito e all’interno della medesima fase processuale, evitando così situazioni di stallo decisorio che, altrimenti, comporterebbero la regressione del procedimento a seguito della trasmissione degli atti al pubblico ministero. Solo successivamente – non alternativamente – e in caso di mancata adesione del pubblico ministero alla richiesta correttiva, integrativa o modificativa nei termini indicati dall’ordinanza interlocutoria del giudice, quindi di cronicizzazione del conflitto fra giudice e pubblico ministero sulla configurazione dell’imputazione, è consentito il ricorso a un provvedimento conclusivo di restituzione degli atti, che non necessita di una previa dichiarazione di nullità (non prevista dal legislatore) della richiesta di rinvio a giudizio e determina la retrocessione del procedimento, sulla falsariga di quanto disposto dall’art. 521 c.p.p., comma 2, onde consentire il nuovo esercizio dell’azione penale in modo aderente alle effettive risultanze d’indagine”.

avv. Filippo Pagano (f.pagano@clouvell.com)

managing partner at clouvell (www.clouvell.com)

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