Rinnovazione dell’esame dei testimoni nel giudizio civile di appello

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Il giudice di appello può disporre la rinnovazione dell’esame dei testimoni senza necessità di istanza di parte, essendo il potere di rinnovazione, previsto dall’art. 257 c.p.c. ed esercitabile anche nel corso del giudizio di appello in virtù del richiamo contenuto nell’art. 359 dello stesso codice, di natura discrezionale ed esercitabile anche di ufficio dal giudice di appello, cui spetta il completo riesame delle risultanze processuali, compresa l’attività necessaria per il chiarimento delle stesse, nei limiti del devolutum e dell’appellatum

Lo ha stabilito la Suprema Corte di Cassazione – sezione terza civile – sentenza n. 18468 del 21 settembre 2015

Rinnovazione dell'esame dei testimoni nel giudizio civile di appello

Rinnovazione dell’esame dei testimoni nel giudizio civile di appello

Il caso

La Corte di appello di Torino, con sentenza del 3 settembre 2011, ha rigettato il gravame proposto dal legale rappresentante di una società avverso la sentenza del Tribunale di Torino che aveva rigettato la domanda ex art. 2051 cc. proposta dalla predetta società nei confronti del Comune di Torino per i danni subiti dall’auto di proprietà dell’attrice che, mentre percorreva una pubblica via guidata dal figlio del socio accomandatario, era caduta con una ruota in un chiusino fognario il cui coperchio era stato rimosso ed abbandonato a circa 20 m. di distanza, senza che vi fosse alcuna segnaletica al riguardo, ed era poi andata a collidere con il muro perimetrale di un fabbricato adiacente, riportando danni di entità maggiore al suo valore commerciale. Da qui il ricorso per cassazione della danneggiata.

La procura per la partecipazione alla discussione orale nel giudizio di cassazione.

Preliminarmente la Suprema Corte evidenzia che, in difetto di controricorso notificato alla parte ricorrente nelle forme e nei termini di cui all’art. 370, primo comma, c.p.c., la parte contro cui il ricorso è diretto può soltanto partecipare alla discussione orale. A tal fine – proseguono i giudici di legittimità – il difensore deve essere munito di procura speciale che, in assenza di controricorso, deve essere conferita con atto pubblico o scrittura privata autenticata (v. Cass. 28 gennaio 2005, n. 1737; Cass„ sez. un., 12 marzo 2003, n. 3602), precisandosi che, ratione temporis, non è applicabile al caso in esame neppure il nuovo testo del terzo comma dell’art. 83 c.p.c., secondo il quale la procura speciale può essere apposta a margine od in calce anche di atti diversi dal ricorso o dal controricorso, in quanto detta norma si applica esclusivamente ai giudizi instaurati in primo grado dopo la data di entrata in vigore dell’art. 45 della legge 18 giugno 2009, n. 69 (ovvero, il 4 luglio 2009), mentre per i procedimenti instaurati anteriormente a tale data — e nella specie il giudizio è iniziato nel 2006 —, se la procura non viene rilasciata a margine od in calce al ricorso e al controricorso, si deve provvedere al suo conferimento mediante atto pubblico o scrittura privata autenticata, come previsto dall’art. 83, secondo comma, c.p.c. (Cass., ord., 26 marzo 2010, n. 7241).

Nel caso di specie, l’atto prodotto contenente procura speciale per la partecipazione all’udienza di discussione rilasciata dal Sindaco del Comune di Torino e da questi sottoscritto con firma non autenticata è stato ritenuto dunque inidoneo anche ai fini della partecipazione alla discussione orale.

Il primo motivo di ricorso.

Con il primo motivo si lamenta “violazione e falsa applicazione degli artt. 352, 357, 115 e 116 c.p.c., 2697 c.c., omessa e contraddittoria motivazione su un punto controverso del giudizio (artt. 360 n. 3 e n. 5 c.p.c)”.

Lamenta la società ricorrente che la Corte di merito, pur avendo, contrariamente al Tribunale, correttamente considerato “attendibile” (recte: capace di testimoniare) un teste, tuttavia non avrebbe deciso la causa tenendo conto e valutando la testimonianza da questi resa ed avrebbe erroneamente ritenuto che tale teste dovesse essere escusso in appello e che a tanto non potesse procedersi in difetto di specifica istanza al riguardo, laddove la testimonianza del predetto teste era stata regolarmente riportata nel verbale del 29 ottobre 2008, sicché “l’errore e la violazione di legge” e “l’omessa decisione della causa sulla base delle prove raccolte fornite dall’attore” non sarebbe contestabile.

Il motivo viene ritenuto fondato dalla Suprema Corte.

Per gli Ermellini, la Corte di appello ha effettivamente rilevato che, non risultando che il citato teste si fosse ingerito nell’amministrazione della società, lo stesso era capace a testimoniare, sia pure con attendibilità da vagliare attentamente, e ha ritenuto che, nel caso all’esame, “l’appellante non ha richiesto in appello la sua audizione e quindi non ha fornito prova alcuna del fatto storico dedotto in giudizio”.

La motivazione della sentenza di appello non è priva di vizi logici.

Per i giudici di piazza Cavour la decisione sul punto non è conforme a legge e la motivazione non è priva di vizi logici, in quanto, pur avendo affermato nello svolgimento del processo che in primo grado erano state “esperite le prove orali”, la Corte territoriale ha erroneamente ed immotivatamente ritenuto che il citato teste dovesse essere escusso in sede di gravame, laddove dalla stessa sentenza di primo grado risulta che il medesimo ha reso la sua testimonianza all’udienza del 28 ottobre 2008.

Il principio di diritto del quale non ha tenuto conto la Corte territoriale.

Conclude la Suprema Corte evidenziando che, ove la Corte di merito avesse ritenuto di disporre la rinnovazione dell’esame dei testimoni, ben avrebbe potuto procedere a tanto, senza necessità di istanza di parte, essendo il potere di rinnovazione, previsto dall’art. 257 c.p.c. ed esercitabile anche nel corso del giudizio di appello in virtù del richiamo contenuto nell’art. 359 dello stesso codice, di natura discrezionale ed esercitabile anche di ufficio dal giudice di appello, cui spetta il completo riesame delle risultanze processuali, compresa l’attività necessaria per il chiarimento delle stesse, nei limiti del devolutum e dell’appellatum (Cass. 15 giugno 1982, n. 3636). Da qui l’accoglimento del primo motivo di ricorso, con assorbimento del secondo motivo.

Una breve riflessione

La Suprema Corte richiama un principio elaborato dalla Suprema Corte nel lontano anno 1982, principio che, all’evidenza, è ancora attuale, tanto da essere ribadito dopo oltre trent’anni.

In effetti, nel giudizio di appello abbiamo assistito, nel corso degli anni ed in concomitanza con le varie riforme succedutesi nel tempo, ad una sorta di attenuazione del potere “dispositivo” del giudice di seconde cure. Lo abbiamo visto con riferimento alla possibilità di produrre nuove prove o ancora alla possibilità di acquisire documenti.

Con riferimento proprio ai documenti, basterà ricordare che l’articolo 345 del codice di procedura civile prevedeva che “non possono essere prodotti nuovi documenti salvo che il collegio non li ritenga indispensabili ai fini della decisione della causa…“.

L’inciso [salvo] “che il collegio non li ritenga indispensabili ai fini della decisione della causa” è stato soppresso dal D.L. 22 giugno 2012 n. 83, convertito in legge 11 agosto 2012, n. 143.

Dunque, il giudice di appello non può più acquisire, per i nuovi giudizi, documenti non prodotti nel precedente grado di giudizio (a meno che la parte dimostri di non aver potuto proporli o produrli nel giudizio di primo grado per causa ad essa non imputabile).

Si tratta di una progressiva erosione o attenuazione del potere “dispositivo” del giudice in appello, che invece, come abbiamo visto, permane immutato riguardo alla possibilità di riascoltare anche testimoni escussi pur senza l’impulso della parte processuale che ne avrebbe tutto l’interesse ed ha omesso di esercitarlo.

L’unico limite consiste nel devolutum e nell’appellatum. Ma, entro tali confini, il giudice di appello non incontra limite alcuno alla assunzione di nuovi testimoni ed alla rinnovazione dell’esame.

In conclusione, esclusa la ricorrenza di un giudicato interno, ogni inerzia dell’appellante può essere sanata “d’ufficio” dal giudice investito del gravame che, sul punto, ha ampi poteri nell’interesse dell’accertamento della verità processuale.

avv. Filippo Pagano (f.pagano@clouvell.com)

managing partner at clouvell (www.clouvell.com)

 

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