Per le sezioni unite, il diritto al risarcimento del danno cagionato ad un bene non si trasferisce all’acquirente

Download PDF

Il diritto al risarcimento dei danni subiti da un bene spetta al titolare del diritto di proprietà sul bene al momento dell’evento dannoso. E’ un diritto autonomo rispetto al diritto di proprietà e non segue il diritto di proprietà in caso di alienazione, salvo che non sia convenuto il contrario.

Lo ha affermato la Suprema Corte di Cassazione – sezioni unite civili – con sentenza n. 2951 del 16 febbraio 2016

Il caso

Per le sezioni unite, il diritto al risarcimento del danno cagionato ad un bene non si trasferisce all’acquirente

Per le sezioni unite, il diritto al risarcimento del danno cagionato ad un bene non si trasferisce all’acquirente

Il proprietario e l’usufruttuario di un immobile, con citazione notificata il 5 febbraio 1999, convennero in giudizio dinanzi al Tribunale un Ente.

Esposero di essere, per l’appunto e rispettivamente, proprietario e usufruttuario di un fabbricato, collocato su di una collinetta che franò, provocandone il crollo.

Secondo la prospettazione degli attori, smottamento e frana furono determinati da escavazioni operate dall’Ente per la costruzione di una variante della SS 329. Gli attori chiesero pertanto la condanna dell’ente convenuto al risarcimento dei danni.

L’Ente non si difese e venne dichiarata la sua contumacia.

Il Tribunale accolse la domanda e condannò l’azienda al pagamento della somma di 166.693,00 euro, oltre accessori e spese. L’Ente propose appello con atto notificato il 30 marzo 2007. Gli appellati si costituirono, proponendo a loro volta appello incidentale in ordine alla quantificazione del risarcimento.

La Corte d’appello di Firenze, con sentenza pubblicata il 9 gennaio 2013, in totale riforma della decisione di primo grado, accolse l’appello principale dell’Ente e rigettò la domanda dei proprietari, assorbito così l’appello incidentale.

Il proprietario ha proposto ricorso per cassazione articolato in tre motivi. L’Ente spa si è difeso con controricorso. Il proprietario ha depositato una memoria per l’udienza svoltasi dinanzi alla terza sezione. Con ordinanza interlocutoria, pubblicata il 13 febbraio 2015, la terza sezione ha rimesso gli atti al Primo Presidente, il quale ha assegnato la causa alle Sezioni unite.

Le argomentazioni alla base della sentenza della Corte di appello di Firenze

La Corte di Firenze ha accolto il motivo di appello dell’Ente attinente alla “legittimazione attiva (o meglio, titolarità del diritto fatto valere in giudizio)”, ritenendo che, al momento in cui si erano determinati i danni (1994), i proprietari non fossero titolari di diritti reali sull’immobile danneggiato, acquistato solo con atto pubblico del 1995.

La Corte ha poi escluso che potesse essere ritenuta tardiva quella che definisce “eccezione di estraneità” sollevata solo in appello dalla convenuta contumace in primo grado, affermando: “la titolarità del rapporto controverso, essendo elemento costitutivo della domanda, deve essere provata dall’attore, e la sua mancanza deve essere pertanto rilevata d’ufficio, in ogni stato e grado del giudizio”, anche in caso di contumacia del convenuto” che non equivale ad ammissione, né introduce deroghe all’onere della prova.., tanto più che nel caso di specie la stessa parte attrice aveva prodotto documenti che smentivano tale titolarità”.

I motivi del ricorso per cassazione

Con il primo motivo di ricorso per cassazione il proprietario denunzia “violazione di legge per mancata e/o falsa applicazione degli artt. 112, 345 c.p.c., 1325, 1350 e 1362 c.c.”.

Il motivo si compone di due parti. Nella prima parte il ricorrente contesta che per il passaggio di proprietà di un immobile sia necessario l’atto pubblico e sostiene che il passaggio di proprietà sarebbe avvenuto a seguito di scrittura privata del 20 febbraio 1988, ben prima dell’evento dannoso.

La seconda parte del motivo pone una questione processuale, censurando l’affermazione della Corte d’appello per cui la titolarità del diritto è un elemento costitutivo della domanda e la sua carenza può essere rilevata d’ufficio in ogni stato e grado del giudizio. Il ricorrente sostiene che, al contrario, si tratta di una eccezione in senso stretto, che nella specie fu proposta tardivamente.

Aggiunge poi un secondo argomento e cioè che la prova della titolarità può essere raggiunta anche mediante la mancata contestazione da parte del convenuto a norma dell’art. 115 c.p.c. e che il convenuto rimasto contumace in primo grado non può godere di diritti più ampi e deve accettare il processo nello stato in cui si trova con tutte le preclusioni e decadenze già verificatesi.

Con il secondo motivo il proprietario denunzia violazione degli artt. 832, 1470 e 2043 c.c. assumendo che la titolarità del diritto ad agire in giudizio per il risarcimento dei danni si trasferisce con il diritto di proprietà e quindi sussiste anche in capo a colui che abbia acquistato il bene in epoca successiva all’evento dannoso.

Con il terzo motivo, infine, il ricorrente denunzia omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, consistente, a parere del ricorrente, nella mancata valutazione dell’appello incidentale relativo alla quantificazione del danno.

Concentrando l’attenzione alle questioni poste con la prima parte del primo motivo e con il secondo motivo di ricorso, il ricorrente chiede, in caso di alienazione della proprietà, se il diritto al risarcimento del danno spetti a colui che era proprietario al momento in cui il bene ha subito il danno ovvero a colui che è subentrato nella proprietà ed è titolare del diritto al momento in cui viene promosso il giudizio.

Il contrasto di posizioni

Per un primo orientamento il diritto al risarcimento si trasferisce con la vendita del bene. In tal senso si è espressa Cass., sez. II, 14 luglio 2008, n. 19307, affermando: “L’acquirente di un bene è legittimato ad agire per il risarcimento del danno prodotto da un terzo anteriormente alla vendita in quanto dal perfezionamento del trasferimento consegue la titolarità del diritto di credito anche in mancanza di un’espressa cessione dell’azione ed anche se l’acquirente non era a conoscenza della preesistenza del danno salvo che, nell’ambito dell’autonomia negoziale delle parti, l’azione non sia stata riservata al venditore”. In senso conforme, Cass., sez. VI-3^, 14 ottobre 2011, n. 21256.

La tesi maggioritaria è invece nel senso che il diritto al risarcimento dei danni subiti da un bene spetta a colui che di quel bene era proprietario al momento dell’evento dannoso. In tal senso: Cass., sez. III, 16 giugno 1987, n. 5287; sez. II, 29 novembre 1999, n. 13334; sez. II, 3 luglio 2009, n. 15744; sez. III, 14 giugno 2007, n. 13960; sez. VI-2^, 10 luglio 2014, n. 24146.

La posizione delle sezioni unite

La Suprema Corte a sezioni unite condivide la tesi prevalente perché il diritto al risarcimento dei danni cagionati ad un bene non costituisce un accessorio del diritto di proprietà ma è un diritto di credito, distinto ed autonomo rispetto al diritto reale. Questi caratteri – proseguono gli Ermellini – sono stati riconosciuti anche, sul piano processuale, al fine di risolvere il problema della individuazione del giudice competente per valore (cfr., Cass., sez. un., 19 ottobre 2011, n. 21582).

Ancora, l’autonomia comporta che il diritto al risarcimento del danno subito dall’immobile, in caso di alienazione del bene, non si trasferisce insieme al diritto reale come accadrebbe se fosse un elemento accessorio, ma è suscettibile solo di specifico atto di cessione ai sensi dell’art. 1260 c.c. Di conseguenza, quando accanto all’atto di trasferimento della proprietà, non vi sia stato un atto di cessione del credito, il diritto al risarcimento dei danni compete esclusivamente a chi, essendo proprietario del bene al momento dell’evento dannoso, ha subito la relativa diminuzione patrimoniale.

In conclusione, le sezioni unite affermano il seguente principio di diritto:

“Il diritto al risarcimento dei danni subiti da un bene spetta al titolare del diritto di proprietà sul bene al momento dell’evento dannoso. E’ un diritto autonomo rispetto al diritto di proprietà e non segue il diritto di proprietà in caso di alienazione, salvo che non sia convenuto il contrario”.

L’accoglimento della prima censura del primo motivo.

Gli Ermellini accolgono anche la prima censura del primo motivo con la quale si critica l’affermazione della Corte di merito secondo la quale il passaggio della proprietà dell’immobile si sarebbe determinato solo con la sottoscrizione dell’atto pubblico, avvenuta pochi mesi dopo l’evento dannoso, non essendo sufficiente a tal fine la scrittura privata stipulata prima del crollo. Da ciò la Corte di Firenze avrebbe tratto la conseguenza che al momento dell’evento dannoso il ricorrente non era titolare del diritto al risarcimento del danno.

Per i giudici di piazza Cavour, la posizione assunta dalla decisione impugnata contrasta con il disposto dell’art. 1350, n. 1, cod. civ., in base al quale il contratto che trasferisce la proprietà di un bene immobile deve essere fatto per iscritto a pena di nullità, ma a tal fine non è indispensabile l’atto pubblico, essendo sufficiente una scrittura privata (art. 1350, n. 1, cod. civ.: “Devono farsi per atto pubblico o per scrittura privata, sotto pena di nullità: i contratti che trasferiscono la proprietà di beni immobili”). Nel caso di specie – prosegue la Corte regolatrice – l’atto pubblico è del 27 febbraio 1995, quindi successivo all’evento dannoso (avvenuto nel 1994), ma prima dell’evento dannoso (il 20 febbraio 1988) era stata stipulata una scrittura privata, sottoposta alla condizione dell’acquisto del bene da parte del promissario venditore in favore del attuale ricorrente, promissario acquirente, cui era seguito, sempre nel 1988, il verificarsi della condizione dell’acquisto del bene da parte del promissario venditore, nonché il completamento del pagamento del prezzo da parte del ricorrente. Una scrittura privata di questo tipo, comporta – a giudizio dei giudici di legittimità – al verificarsi della condizione in essa prevista, il trasferimento della proprietà tra le parti e, di conseguenza, fa sì che il diritto al risarcimento del danno successivamente subito dall’immobile spetti all’acquirente del bene (cfr., Cass., 11 novembre 1992, n. 12133).

Da qui la cassazione della sentenza sul punto con rinvio alla medesima Corte in diversa composizione.

Una breve riflessione

La sentenza delle sezioni unite, legittimando l’orientamento giurisprudenziale prevalente, compone un contrasto esistente su una questione di massimo interesse.

Difatti, può accadere che successivamente ad un evento dannoso riguardante un bene immobile, il medesimo venga trasferito. In tale ipotesi, a chi spetta il risarcimento dei danni subiti dal bene?

La risposta non è (stata) di agevole soluzione ove solo si consideri che si sono contesi il campo, siano a ieri, due diversi orientamenti giurisprudenziali.

La tesi minoritaria riteneva che il fenomeno traslativo del bene includesse anche i diritti di crediti salvo che essi fossero stati riservati al venditore.

All’opposto, la tesi maggioritaria, ora avallata dalla Suprema Corte a sezioni unite, riteneva che il diritto di credito fosse autonomo e distinto dal diritto reale, e, pertanto, il suo esercizio spettasse a colui che era proprietario del bene al momento del verificarsi del sinistro, salvo patto contrario.

Il principio espresso dalle sezioni unite trova applicazione frequente in materia condominiale. Accade spesso, infatti, che il condominio agisca per ottenere il risarcimento dei danni subiti. In caso di vittoria della lite, le somme ricavate verranno ripartite, senza ombra di dubbio, non agli attuali proprietari dell’immobile ma a chi era proprietario dell’immobile al momento del sinistro.

avv. Filippo Pagano (f.pagano@clouvell.com)

managing partner at clouvell (www.clouvell.com)

Download PDF