Insegnanti precari: competente il giudice del luogo dove il rapporto è in essere al momento della domanda.

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Nel caso in cui un rapporto di lavoro si configuri come presupposto per il sorgere del diritto alla costituzione di un successivo rapporto, i criteri di identificazione della competenza territoriale vanno riferiti al rapporto in essere, stante il collegamento funzionale fra i rapporti in questione

Lo ha stabilito la Suprema Corte di Cassazione – sezione sesta – con ordinanza n.10449 del 22 maggio 2015.

Insegnanti precari: compente il giudice del luogo dove il rapporto è in essere

Insegnanti precari: compente il giudice del luogo dove il rapporto è in essere

Il caso.

Il ricorso proposto dai docenti precari.

I ricorrenti, docenti precari iscritti nelle ex graduatorie permanenti costituite in diverse province, ora ad esaurimento per effetto dell’art. 1 comma 605 lett. c) della legge 27.12.2006 n. 296 (legge finanziaria 2007), avevano chiesto nel 2009 l’iscrizione in ulteriori tre graduatorie provinciali ex D.M. 42/2009 e con ricorso hanno agito dinanzi al Tribunale di Roma al fine di ottenere l’inserimento in tali graduatorie a”pettine”, anzichè “in coda”, con riferimento al punteggio di cui erano titolari nella graduatoria principale.

L’ordinanza di incompetenza

Con ordinanza del 18.2.2014, il Tribunale di Roma adito ha rilevato d’ufficio la propria incompetenza territoriale, affermando, in forza dell’art. 413 .c.p.c., la_competenza per territorio del Tribunale_del lavoro delle_tre province opzionali prescelte da ciascun ricorrente, ai sensi dell’art. 413, co. 5, c.p.c., in base a criterio da applicarsi anche nel caso di controversia avente ad oggetto il diritto al collocamento in graduatoria scolastica nella prospettiva dell’assunzione ed al connesso risarcimento del danno. Rilevando che le aree territoriali presso cui i docenti deducevano sussistere l’obbligo all’inserimento in graduatoria erano tutte site in località rientranti in circoscrizioni diverse da quella del Tribunale di Roma, dichiarava per ciascuno di essi la competenza territoriale dei Tribunali individuati in forza dell’enunciato criterio. Da qui il ricorso per cassazione.

La tesi dei ricorrenti.

Avverso tale ordinanza ricorrono i docenti, deducendo la violazione dell’art. 413, 5° comma, c.p.c., che individua come competente, per le controversie in materia di pubblico impiego, il giudice del luogo ove il dipendente è addetto o era addetto al momento della cessazione del rapporto, e rilevando che, nel caso del procedimento in questione, già frutto della riassunzione a seguito della pronuncia di difetto di giurisdizione del TAR, anche a volere aderire alla tesi dell’incompetenza del giudice di Roma, doveva affermarsi la competenza del giudice del lavoro del luogo in cui i ricorrenti, docenti precari, prestavano servizio nel 2009, ossia nel momento in cui aveva inizio il giudizio innanzi al G.A., ove veniva tenuta la graduatoria principale di appartenenza.

Il parere del Pubblico Ministero

L’Ufficio del Pubblico Ministero, richiesto di esprimere il proprio parere, ha concluso per l’accoglimento del ricorso, sul rilievo che sia più coerente fare riferimento al luogo in cui, al momento dell’impugnazione del provvedimento (ricorso al giudice amministrativo), ciascuno dei lavoratori svolgeva già attività lavorativa quale docente “precario”.

Perché la Suprema Corte accoglie il ricorso.

Per i giudici di Piazza Cavour “deve essere in termini generali richiamata la regola di cui all’art. 413 co. 5 c.p.c., secondo la quale, per le controversie relative ai rapporti di lavoro alle dipendenze delle P.A., è competente per territorio il giudice nella cui circoscrizione ha sede l’ufficio al quale il dipendente è addetto, o era addetto al momento della cessazione del rapporto”.

Prosegue la Corte che “per quanto riguarda la competenza per territorio in relazione a domande dirette alla costituzione del rapporto, la giurisprudenza di questa Corte, sia pure con riguardo specificamente all’assunzione di lavoratori invalidi avviati obbligatoriamente, ha ritenuto che anche rispetto alla domanda, da essi proposta, diretta alla costituzione del rapporto di lavoro e al risarcimento danni per la mancata assunzione, operano in modo alternativo e concorrente tutti e tre i fori previsti dall’art. 413 cod. proc. civ., dovendosi stabilire fra rapporto di lavoro già costituito e rapporto di lavoro virtuale, la cui costituzione rappresenti tuttavia l’oggetto del vincolo nascente a carico del datore di lavoro dal sistema delle assunzioni obbligatorie, con la conseguenza, da un lato, che il primo dei fori indicati dalla norma va identificato in relazione alla sede dell’ufficio del lavoro che ha emesso il provvedimento di avviamento (atto che, pur non determinando “de jure” il sorgere del rapporto, è il titolo costitutivo dell’obbligo del datore di lavoro) e, dall’altro, che è consentita l’utilizzazione anche del foro della dipendenza aziendale, in relazione alla quale il servizio del collocamento, nella sua competente articolazione locale, ha emesso quel provvedimento. (Cass. Sez. U, 11043/2001; conf. Cass. 16536/2002)”.

Il principio di diritto espresso dalla Suprema Corte.

Per gli Ermellini “nel caso in cui un rapporto di lavoro si configuri come presupposto per il sorgere del diritto alla costituzione di un successivo rapporto, i criteri di identificazione della competenza territoriale vanno riferiti al rapporto in essere, stante il collegamento funzionale fra i rapporti in questione” (cfr. in tali termini Cass. 26.10.2010 n. 21883).

Da qui l’accoglimento del ricorso e la conseguente affermazione della competenza, in relazione ai ricorsi dei docenti precari, del Tribunale del circondario nel quale ciascuno di essi al momento della proposizione del ricorso al TAR prestava la propria attività, tenuto conto della circostanza che la pretesa azionata ha riguardo alle modalità di inserimento nelle graduatorie provinciali, con riferimento al punteggio conseguito nella graduatoria principale, con ciò evidenziandosi il collegamento funzionale con il rapporto in essere al momento della domanda e con la sede dell’ufficio cui il dipendente era addetto al momento della domanda simmetricamente a quanto previsto dall’art. 413, 2° comma, con riferimento al luogo ove si trova l’azienda o una sua dipendenza) .

Una breve riflessione

L’ordinanza richiamata riveste notevole importanza in considerazione del fatto che affronta una tematica assai frequente nell’ambito dell’insegnamento, e segnatamente nell’ambito dei procedimenti diretti al collocamento in graduatoria scolastica nella prospettiva dell’assunzione ed al connesso risarcimento del danno.

Nella fattispecie in esame si scontrano due tesi: quella del giudice che ha dichiarato la propria incompetenza, secondo il quale la competenza, ai sensi dell’articolo 413 comma 5°, sarebbe spettata al Tribunale del lavoro delle province opzionali prescelte da ciascun ricorrente; quella delle insegnanti ricorrenti (e del Pubblico Ministero) secondo cui, la competenza per territorio, sempre secondo le previsioni di cui all’articolo 413 comma 5° c.p.c., apparterrebbe, trattandosi di controversie in materia di pubblico impiego, al giudice del luogo ove il dipendente è addetto o era addetto al momento della cessazione del rapporto.

L’analisi e la soluzione offerta dalla Suprema Corte sono interessanti in quanto viene evidenziato, quale linea di confine fra l’una e l’altra tesi, il “collegamento funzionale” tra due rapporti allorquando (come nella specie) quello in essere costituisce il presupposto per il sorgere del diritto alla costituzione di un successivo rapporto.

E quando ricorre tale ipotesi, i criteri di identificazione della competenza territoriale vanno riferiti al rapporto in essere.

Dunque, si dovrà fare riferimento al luogo nel quale gli insegnanti prestavano servizio al momento della proposizione della domanda (tesi delle ricorrenti) e non al luogo della provincia opzionale prescelta dall’insegnante.

Certamente, non si può non rilevare come, nella specie, numerosi insegnanti, che avevano proposto un ricorso dinanzi al giudice amministrativo e che, successivamente, hanno riassunto il giudizio dinanzi al giudice del lavoro, pur chiedendo l’accertamento di una situazione giuridica identica, si sono viste “smembrare” il ricorso (unico) in quattro “fori” diversi, da nord a sud della nazione.

Ed è altrettanto certo che questioni di “politica” legislativa stanno alla base della norma di cui all’articolo 413 c.p.c., ma forse sarebbe bastato prevedere, in via concorrente, il foro generale delle persone giuridiche, per legittimare non solo una competenza territoriale dinanzi al giudice del lavoro di Roma, quanto per evitare di “smembrare” un ricorso che appariva ed appare unitario per la identità delle questioni giuridiche trattate.

Si osservi pure che, stando a quanto contenuto nella ordinanza, la declinatoria di competenza è stata adotta dal giudice del lavoro di Roma “ex officio”.

Quando accadono casi come questi, rispetto ai quali si avverte una “non-opportunità” di frantumare un processo unitario, si dovrebbe riflettere sulla opportunità di introdurre dei “correttivi” per evitare che dalla applicazione letterale delle norme sulle competenza possa derivare una situazione di lungaggine di un processo ovvero una inutile duplicazione o, come nella specie, addirittura moltiplicazione di processi.

Non si dimentichi come, nella specie, le insegnanti avevano proposto ricorso al TAR Lazio e successivamente abbiano proposto ricorso innanzi al giudice del lavoro. Questa “altalena”, molto spesso, è il risultato di norme non chiare. Negli ultimi decenni abbiamo assistito ad una congerie di norme che hanno sensibilmente stravolto il riparto della giurisdizione, peccando certamente di chiarezza.

Non è davvero semplice, a volte, individuare con rigore e precisione, se una controversia rientri nella giurisdizione del giudice ordinario o del giudice amministrativo. E non è semplice, a volte, individuata una giurisdizione, accertare con rigore e precisione, chi sia il giudice territorialmente competente.

Sappiamo quale sia la ratio che sottende le norme sulla giurisdizione e sulla competenza. Ma forse occorrerebbero meno norme e norme più chiare. E, soprattutto, occorrerebbe attribuire al giudice il potere di “derogare” ad una situazione che determinerebbe un aggravamento degli oneri posti a carico di chi ha azionato la “macchina” giustizia per ottenere giustizia.

avv. Filippo Pagano (f.pagano@clouvell.com)

managing partner at clouvell (www.clouvell.com)

 

 

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