INDENNITA’ DI ACCOMPAGNAMENTO: ANCHE CHI E’ IN GRADO DI COMPIERE LE COMUNI ATTIVITA’ DEL VIVERE QUOTIDIANO MA E’ AFFETTO DA UNA GRAVE PATOLOGIA DI NATURA PSICHICA HA DIRITTO AL BENEFICIO

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Lo ha stabilito la Corte di Cassazione, sez. VI Civile, con ordinanza del 21 gennaio 2015, n. 1069

Secondo la Suprema Corte “va osservato, in termini generali, che l’indennità di accompagnamento è una prestazione del tutto peculiare in cui l’intervento assistenziale non è indirizzato – come avviene per la pensione di inabilità – al sostentamento dei soggetti minorati nelle loro capacità di lavoro (tanto è vero che l’indennità può essere concessa anche a minori degli anni diciotto e a soggetti che, pur non essendo in grado di deambulare senza l’aiuto di un terzo, svolgano tuttavia un’attività lavorativa al di fuori del proprio domicilio), ma è rivolto principalmente a sostenere il nucleo familiare onde incoraggiare a farsi carico dei suddetti soggetti, evitando così il ricovero in istituti di cura e assistenza, con conseguente diminuzione della relativa spesa sociale (cfr. Cass. 28 agosto 2000, n. 11295; id. 21 gennaio 2005, n. 1268; 23 dicembre 2011, n. 28705)”.

D’altronde “il diritto all’indennità di accompagnamento spetta sia nel caso in cui il bisogno dell’aiuto di un terzo si manifesti per incapacità di ordine fisico, sia per malattie di carattere psichico”.

Il diritto di accompagnamento e le incapacità di ordine materiale.

Quanto alle incapacità di ordine materiale, la nozione di incapacità di compiere autonomamente le comuni attività del vivere quotidiano con carattere continuo comprende anche le ipotesi in cui la necessità di far ricorso all’aiuto di terzi si manifesta nel corso della giornata ogni volta che il soggetto debba compiere una determinata attività della vita quotidiana per la quale non può fare a meno dell’aiuto di terzi, per cui si alternano momenti di attesa, qualificabili come di assistenza passiva, a momenti di assistenza attiva (così. Cass. 11 aprile 2003, n. 5784).

Il diritto di accompagnamento e le incapacità di ordine psichico.

Quanto alle malattie psichiche, l’indennità di accompagnamento, va riconosciuta, alla stregua di quanto previsto dall’art. 1 della legge 11 febbraio 1980 n. 18, anche in favore di coloro i quali, pur essendo materialmente capaci di compiere gli atti elementari della vita quotidiana (quali nutrirsi, vestirsi, provvedere alla pulizia personale, assumere con corretta posologia le medicine prescritte) necessitino della presenza costante di un accompagnatore in quanto, in ragione di gravi disturbi della sfera intellettiva, cognitiva o volitiva dovuti a forme avanzate di gravi stati patologici, o a gravi carenze intellettive, non siano in grado di determinarsi autonomamente al compimento di tali atti nei tempi dovuti e con modi appropriati per salvaguardare la propria salute e la propria dignità personale senza porre in pericolo sé o gli altri.

Pertanto – conclude la Corte – “in un siffatto contesto ricostruttivo va, dunque, ritenuto che la capacità del malato di compiere gli elementari atti giornalieri debba intendersi non solo in senso fisico, cioè come mera idoneità ad eseguire in senso materiale detti atti, ma anche come capacità di intenderne il significato, la portata, la loro importanza anche ai fini della salvaguardia della propria condizione psico-fisica; e come ancora la capacità richiesta per il riconoscimento dell’indennità di accompagnamento non debba parametrarsi sul numero degli elementari atti giornalieri, ma soprattutto sulle loro ricadute, nell’ambito delle quali assume rilievo non certo trascurabile l’incidenza sulla salute del malato nonché la salvaguardia della sua «dignità» come persona (anche l’incapacità ad un solo genere di atti può, per la rilevanza di questi ultimi e per l’imprevedibilità del loro accadimento, attestare di per sé la necessità di una effettiva assistenza giornaliera: cfr. per riferimenti sul punto: Cass. 11 settembre 2003, n. 13362)”.

Nel caso di specie la Corte di cassazione ha rilevato che il giudice di appello non ha considerato che il soggetto richiedente, pur essendo in grado di demabulare e di compiere gli atti quotidiani della vita, risultasse affetto da «psicosi cronica schizo-affettiva con manifestazioni allucinatorie e delirante cronica» per la quale i sanitari dell’ASL avevano accertato che «deve ritenersi inattuabile e pericoloso ogni spostamento tant’è che esso sarebbe possibile solo con l’uso della forza».

Alla luce di quanto sopra, la Corte di Cassazione ha annullato la sentenza e rinviato al giudice di appello, in diversa composizione, per nuovo esame.

Per il testo integrale della decisione clicca qui

avv. Filippo Pagano (f.pagano@clouvell.com)

managing partner at clouvell (www.clouvell.com)

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