Decadenza dai mezzi di prova nel giudizio di opposizione allo stato passivo

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L’esigenza di stretta interpretazione delle norme in materia di decadenza impone di considerare che l’art. 99 comma 1 n. 4), allorché esige «l’indicazione specifica dei mezzi di prova di cui il ricorrente intende avvalersi e dei documenti prodotti», distingua tra prove costituende e prove precostituite. Per quanto attiene alle prove costituende, come ad esempio le testimonianze, non v’è dubbio che sia sufficiente la mera indicazione, essendo indiscusso che tali prove non sono «espletabili nella fase della verifica dello stato passivo, che ha natura sommaria ». Diversamente deve ritenersi per i documenti, prove precostituite di cui il legislatore esige, a pena di decadenza, la già intervenuta produzione, come si desume dall’esplicito riferimento appunto ai «documenti prodotti».

Lo ha ribadito la Suprema Corte di Cassazione – sezione prima civile – con sentenza n. 25174 del 14 dicembre 2015

Decadenza dai mezzi di prova nel giudizio di opposizione allo stato passivo

Decadenza dai mezzi di prova nel giudizio di opposizione allo stato passivo

Il caso

Il Tribunale di Milano rigettò l’opposizione proposta da un Istituto di Credito avverso lo stato passivo di un fallimento dal quale il credito vantato dalla banca era stato escluso per mancanza di data certa dei contratti di fideiussione posti a fondamento della domanda.

Ritennero i giudici del merito che, essendo inammissibile perché tardiva la produzione delle registrazioni vidimate dei contratti controversi, permaneva l’inopponibilità al fallimento del credito vantato dalla banca.

Il ricorso in cassazione

Contro il decreto ha proposto ricorso la Banca sulla base di due motivi d’impugnazione. Non ha spiegato difese il Fallimento.

I motivi del ricorso

Con il primo motivo la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 99 legge fall., il quale, secondo la ricorrente, esige a pena di decadenza solo l’indicazione non anche la produzione dei documenti di cui la parte intende avvalersi nel giudizio di opposizione allo stato passivo.

Aggiunge che in materia di decadenza non è ammessa un’interpretazione non strettamente aderente al dato letterale del testo normativo.

La Corte ritiene il motivo infondato.

Per gli Ermellini, l’esigenza di stretta interpretazione delle norme in materia di decadenza impone di considerare che l’art. 99 comma 1 n. 4), allorché esige «l’indicazione specifica dei mezzi di prova di cui il ricorrente intende avvalersi e dei documenti prodotti», distingua tra prove costituende e prove precostituite.

Le prove costituende e le prove precostituite.

Per quanto attiene alle prove costituende, come ad esempio le testimonianze – proseguono i giudici di piazza Cavour – non v’è dubbio che sia sufficiente la mera indicazione, essendo indiscusso che tali prove non sono «espletabili nella fase della verifica dello stato passivo, che ha natura sommaria » (Cass., sez. I, 2 dicembre 2011, n. 25872, m. 620453, Cass., sez. I, 25 febbraio 2011, n. 4708, m. 617279).

Diversamente – afferma la Corte regolatrice – deve ritenersi per i documenti, prove precostituite di cui il legislatore esige, a pena di decadenza, la già intervenuta produzione, come si desume dall’esplicito riferimento appunto ai «documenti prodotti» (Cass., sez. I, 6 novembre 2013, n. 24972, m. 628963).

Con il secondo motivo la ricorrente deduce violazione dell’art. 2969 c.c., lamentando che erroneamente i giudici del merito abbiano rilevato d’ufficio la supposta decadenza.

Anche tale motivo viene ritenuto infondato.

Affermano gli Ermellini che lo stesso art. 2969 c.c. prevede infatti che la decadenza possa essere rilevata d’ufficio quando si tratti di materia sottratta alla disponibilità delle parti. E in realtà l’art. 153 c.p.c., secondo una consolidata interpretazione dottrinale e giurisprudenziale, sottrae appunto alla disponibilità delle parti il rispetto dei termini qualificati come perentori (Cass., sez. I, 19 marzo 2004, n. 5539, m. 571314, Cass., sez. V, 20 novembre 2006, n. 24606, m. 594221).

Ne consegue – concludono gli Ermellini – che è rilevabile d’ufficio il termine previsto a pena di decadenza dall’art. 99 comma l n. 4) legge fall.

Una breve riflessione

Appare davvero difficile comprendere perché mai un creditore che chieda la insinuazione al passivo fallimentare, e la cui domanda venga esclusa, vada incontro ad una serie di rigide preclusioni rispetto a chi vanti un credito contro un debitore “ordinario” nel proporre gravame (recte: opposizione) al provvedimento reiettivo della sua domanda.

In materia fallimentare, Vi sono dei tempi rigidi per la proposizione della domanda di insinuazione al passivo. E vi sono dei tempi rigidi per la proposizione della opposizione al provvedimento reiettivo. Vi sono ancora tempi rigidi per la notifica del ricorso e del decreto di fissazione di udienza alla controparte. E vi sono dei tempi rigidi per la produzione di documenti.

Superati tali termini, ogni produzione diventa inammissibile in quanto tardiva.

Ciò è successo nel caso in esame. La domanda della Banca è stata esclusa non perché infondata ma perché tardiva è stata considerata la produzione dei documenti.

Un formalismo davvero eccessivo se si considera che se la Banca avesse agito (o potuto agire) con rito “ordinario”, non sarebbe incappata in simili rigide decadenze.

Ma allora, il rito fallimentare, quale dei soggetti coinvolti tutela maggiormente?

avv. Filippo Pagano (f.pagano@clouvell.com)

managing partner at clouvell (www.clouvell.com)

 

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