Corte Suprema di Cassazione – sezione terza penale – ordinanza n. 45697 del 27 ottobre 2015, depositata il 18 novembre 2015

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RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza emessa in data 9/07/2015, depositata in data 7/09/2015, la Quarta Sezione penale di questa Corte Suprema dichiarava inammissibile – per quanto qui di interesse – il ricorso per cassazione presentato nell’interesse di (imputato Omissis) avverso la sentenza di condanna della Corte d’appello di CAGLIARI emessa in data 13/01/2014 che – decidendo in sede di rinvio disposto da questa Corte con sentenza 5/03/2013 che aveva annullato la sentenza della Corte di appello di Cagliari —sezione di Sassari- del 19.9.2011 – aveva confermato la sentenza emessa il 23.9.2010 dal G.u.p. del Tribunale di Sassari che aveva dichiarato (imputato Omissis) colpevole di due reati di cui all’art. 73 commi 1 e 1 bis dPR 309/1990 (detenzione, cessione, acquisto e trasporto di 250 gr. di cocaina in due occasioni: il 15.10.2008 e tra il 19 e 27.10.2008) condannandolo alla pena di anni 4 e mesi 8 di reclusione di € 20.000,00 di multa.

2. Ha proposto ricorso straordinario (imputato Omissis) a mezzo di difensore – procuratore speciale cassazionista, impugnando la predetta sentenza con cui deduce l’errore di fatto in cui la Quarta Sezione di questa Corte sarebbe incorsa nell’avere dichiarato inammissibile il ricorso per tardività; in particolare, sostiene il ricorrente quanto segue: a) in data 12/02/2012 (rectius, 2014) la Corte d’appello di Cagliari depositava la sentenza emessa il 13/01/2014; b) in data 27/03/2014 l’Ufficiale Giudiziario della Corte d’appello di Cagliari, sez. dist. Sassari, notifica al (imputato Omissis) l’estratto contumaciale della sentenza; c) da tale data dev’essere calcolato il termine di gg. 45 ex art. 585, comma primo, lett. c), cod. proc. pen. per proporre ricorso per cassazione, termine scaduto in data 11/05/2014 (domenica) e, quindi, prorogato di diritto il giorno successivo, ossia in data 12/05/2014; e) in tale ultima data il ricorso è stato consegnato per la trasmissione ad un servizio di recapito postale privato, in particolare al responsabile unico di Sassari Post, società individuale regolarmente autorizzata ad operare in forza di licenza individuale (allega a tal proposito la ricevuta di ritiro del plico in data 12/05/2014 rilasciata dal predetto responsabile unico della società di poste private); f) in forza di quanto sopra, il ricorso deve ritenersi tempestivo anche ai sensi dell’art. 583, comma secondo, cod. proc. pen., richiamando a tal proposito giurisprudenza di questa Corte che considera validamente proposta l’impugnazione a mezzo raccomandata trasmessa mediante un servizio di recapito postale privato); g) conclusivamente, chiede a questa Corte di rilevare l’errore di fatto nel calcolo della tempestività dell’impugnazione, disponendo l’annullamento dell’impugnata sentenza con sospensione degli effetti.

CONSIDERATO IN DIRITTO

3. Il ricorso straordinario è inammissibile.

4. L’art. 625 bis cod. proc. pen. prevede l’esperibilità del ricorso straordinario sia per l’errore materiale che per l’errore di fatto, riconducendo sotto un unico istituto situazioni profondamente differenti per la natura del rimedio messo a disposizione, per il tipo di vizio che legittima la proposizione del ricorso, nonché per le conseguenze che discendono dall’eliminazione dell’errore, tanto sul piano sostanziale quanto su quello processuale, onde può ben osservarsi che il legislatore ha impropriamente accomunato nella nuova figura del ricorso straordinario realtà processuali eterogenee e che la configurazione del nuovo istituto come mezzo di impugnazione extra ordinem è appropriata soltanto per l’errore di fatto e non anche per l’errore materiale.

5. L’errore materiale è quello determinato da una svista, da un lapsus espressivo, che, senza incidere sul processo logico e volitivo della decisione giudiziale, determina un divario fra volontà del giudice e materiale rappresentazione grafica della stessa, fra il pensiero e la sua estrinsecazione formale. Nella categoria dell’errore materiale, di cui costituisce sottospecie l’errore di calcolo, sono compresi sia gli errori in senso stretto che le lacune od omissioni: i primi, come osservato in dottrina, sono emendabili mediante la correzione “epurativa”, i secondi attraverso la correzione “integrativa”. Investendo unicamente la difformità esteriore, la correzione o rettifica che si opera è finalizzata a realizzare la coincidenza tra la volontà e la forma in cui questa è stata espressa, senza mutare il contenuto intrinseco del provvedimento, sicché il rimedio ha una funzione tipicamente riparatoria, alla quale è estranea la sostituzione o la modificazione delle statuizioni del giudice propria dei mezzi di impugnazione, ed esso opera sulla sola documentazione grafica quale mezzo di identificazione della volontà, come già espressa nel provvedimento. Il che spiega la ragione per cui la correzione degli errori materiali non può qualificarsi come vera e propria impugnazione e, consequenzialmente, giustifica i limiti rigorosi posti dall’art. 130 cod. proc. pen., che subordina l’ammissibilità della correzione alla duplice condizione che l’errore o l’omissione materiale non sia stato causa della nullità del provvedimento e che dall’eliminazione non derivi una modificazione essenziale del contenuto dell’atto. Tali condizioni danno pienamente conto delle ragioni per le quali il procedimento di correzione degli errori materiali, pur essendo indubbiamente dettato per le sentenze dei giudici di merito, è stato sempre considerato ammissibile anche rispetto alle decisioni della Corte di Cassazione ed è stato riconosciuto del tutto compatibile con il principio di non impugnabilità delle stesse. Ulteriore conferma dell’inidoneità ad incidere sul contenuto sostanziale del provvedimento da rettificare può trarsi dal fatto che la correzione delle omissioni o degli errori materiali è ammessa anche per le sentenze e le ordinanze della Corte Costituzionale dall’art. 21, comma primo, delle “norme integrative” adottate con delibera della stessa Corte in data 16.3.1956 (in G.U. 24.3.1956, n. 71, ed. speciale).

6. Costituisce, invece, vera e propria impugnazione il ricorso straordinario per errore di fatto. Un simile errore, a differenza di quello materiale, non attiene alla manifestazione grafica del provvedimento, ma inerisce direttamente al processo formativo della volontà del giudice, determinandola in una certa direzione anziché in un’altra e, quindi, influendo sul contenuto della decisione, che, senza quell’errore, sarebbe stata diversa. L’errore di fatto, perciò, ha il carattere della decisività, essendo determinante nella scelta della soluzione accolta nel provvedimento adottato dalla Corte: sul piano logico, si tratta di un errore di percezione, di una svista o di un mero equivoco, e non di un errore di valutazione o di giudizio sul fatto che il giudice di legittimità è chiamato ad esaminare per definire i motivi di ricorso.

Tali caratteri distintivi contribuiscono a fare coincidere l’errore previsto dall’art. 625 bis cod. proc. pen. con l’errore di fatto revocatorio di cui all’art. 391 bis cod. proc. civ., che, attraverso il rinvio all’art. 395, n. 4, c.p.c., ne delimita con precisione l’ambito, chiarendo che ricorre l’errore di fatto risultante dagli atti o documenti della causa «quando la decisione è fondata sulla supposizione di un fatto la cui verità è incontrastabilmente esclusa oppure quando è supposta l’inesistenza di un fatto la cui verità è positivamente stabilita». Ne consegue che l’errore di fatto indicato dall’art. 625 bis cod. proc. pen. è di tipo meramente percettivo e che ad esso è estraneo qualsiasi profilo attinente alla valutazione agli atti del processo, nel senso che non consiste in un errore di giudizio vertente sul fatto esaminato e non correttamente interpretato dal giudice di legittimità (v., tra le tante: Sez. 2, n. 23417 del 23/05/2007 – dep. 14/06/2007, Previti e altri, Rv. 237161).

In questa prospettiva interpretativa si è mossa la giurisprudenza di questa Corte che ha assunto quale parametro di riferimento la nozione di errore di fatto posta dall’art. 395, n. 4, cod. proc. civ., cui, nel corso dei lavori preparatori relativi all’approvazione del testo dell’art. 625 bis cod. proc. pen., era stato fatto esplicito richiamo attraverso un emendamento poi ritirato. È stato, infatti, chiarito che il modello dell’errore di fatto che legittima il ricorso straordinario è del tutto affine all’errore revocatorio di cui all’art. 391 bis cod. proc. civ., ed è riconoscibile dalla circostanza che la decisione è fondata sulla supposizione di un fatto la cui verità è incontrastabilmente esclusa o che è supposta l’inesistenza di un fatto la cui verità è positivamente stabilita, in piena rispondenza col motivo di revocazione prefigurato dall’art. 395, n. 4, cod. proc. civ. (Sez. 1, n. 45731 del 13/11/2001 – dep. 20/12/2001, Salerno, Rv. 220372 ; Sez. F, n. 42794 del 07/09/2001 – dep. 28/11/2001, Schiavone, Rv. 220181).

Una simile impostazione è stata condivisa dalle Sezioni Unite di questa Corte, che, dopo avere riconosciuto che l’art. 625 bis cod. proc. pen. è stato modellato sull’analoga disciplina contenuta nell’art. 391 bis cod. proc. civ., hanno stabilito che l’errore di fatto verificatosi nel giudizio di legittimità, oggetto del rimedio previsto dall’art. 625 bis cod. proc. pen., consiste – come anzidetto – in un errore percettivo causato da una svista o da un equivoco in cui la Corte di Cassazione sia incorsa nella lettura degli atti interni al giudizio stesso e connotato dall’influenza esercitata sul processo formativo della volontà, viziato dall’inesatta percezione delle risultanze processuali che abbia condotto ad una decisione diversa da quella che sarebbe stata adottata senza di esso: sulla base di tale enunciato definitorio è stato precisato che qualora la causa dell’errore non sia identificabile esclusivamente in una fuorviata rappresentazione percettiva e la decisione abbia comunque contenuto valutativo, non è configurabile un errore di fatto, bensì di giudizio, e che – per quanto di interesse in questa sede, con riferimento al caso in esame – sono estranei all’ambito di applicazione dell’istituto gli errori di interpretazione di norme giuridiche, sostanziali o processuali, ovvero la supposta esistenza delle norme stesse o l’attribuzione ad esse di una inesatta portata, anche se dovuti ad ignoranza di indirizzi giurisprudenziali consolidati (v., per tutte: Sez. U, n. 16103 del 27/03/2002 – dep. 30/04/2002, Basile P, Rv. 221280; Sez. 1, n. 21236 del 30/03/2011 – dep. 26/05/2011, Adinolfi, Rv. 250238).

7. Tanto premesso, è agevole rilevare, nel caso in esame, che la Quarta Sezione di questa Corte, nella sentenza qui ricorsa, ha preso in esame la questione della tempestività del ricorso.

Precisamente, così è motivata la questione: “6. La sentenza impugnata, emessa il 13.1.2014 con termine per il deposito di 30 giorni, fu depositata il 12.2.2014 (cioè in termini) sicchè, essendo stato notificato al (imputato Omissis) l’estratto contumaciale in data 24.3.2014, il termine di 45 giorni, di cui all’art. 585 comma 1 lett. c) c.p.p. veniva a scadere tassativamente il 12.5.2014. Senonchè, il ricorso presentato nell’interesse del (imputato Omissis), pervenuto alla Corte di appello di Cagliari il 16.5.2014, deve ritenersi spedito (art. 583, 2° comma c.p.p.) non prima del 14.5.2014, come si evince dal francobollo a stampa apposto sulla busta della raccomandata inviata dal difensore. Né quest’ultimo aveva diritto ad alcun avviso, dal momento che la sentenza è stata depositata in termini (art. 548 c.p.p.) e all’udienza era presente l’avv. (Omissis) anche in sostituzione dell’avv. (Omissis), difensore di fiducia e redattore del ricorso in esame. (omissis). Orbene, a parte il solo ricorso, che reca l’apparente data di redazione dell’11.5.2015, da alcun atto risulta una spedizione (e tanto meno la ricezione del ricorso stesso) nel termine perentorio sopra indicato (12.5.2015). Consegue, ai sensi dell’art. 591, comma 1 lett. c) c.p.p., l’inammissibilità del ricorso di (imputato Omissis) (omissis)”.

Emerge, pertanto, da detta motivazione che la declaratoria di inammissibilità del ricorso venne decisa dal Collegio della Quarta Sezione – che aveva ben presente il termine di scadenza del ricorso (12.05.2014, essendo evidentemente frutto di un refuso il richiamo all’anno 2015 riportato nella motivazione) -, sulla base degli atti esistenti nel fascicolo processuale che evidentemente non consentivano di rilevare la data di spedizione o quella di ricezione del ricorso stesso nel termine perentorio, tant’è che solo successivamente, in sede di ricorso ex art. 625 bis cod. proc. pen., il difensore ha offerto a questa Corte quale prova della tempestività, un documento allegato al ricorso medesimo costituito da una dichiarazione dattiloscritta resa su carta intestata dello studio (Omissis) in cui il responsabile unico della società di poste private Sassari Post attestava di ritirare in data 12/05/2014 (data manoscritta) presso lo studio legale (Omissis) una serie di raccomandate, la penultima delle quali reca quale destinatario (Omissis) (segue tra parentesi un’indicazione manoscritta a mala pena leggibile “Corte Cassazione Cagliari” nonché altra abbreviazione manoscritta presumibilmente riferibile ad “Avv.” nello spazio destinato all’indicazione del soggetto di riferimento – Rif.:

8. Tanto premesso, osserva il Collegio che il motivo di ricorso non ha pregio.

Deve, anzitutto, premettersi come non può esservi alcun dubbio in ordine alla legittimità del ricorso ad un servizio di recapito gestito da una società privata. Ed infatti, come già affermato da alcune decisioni di questa stessa Sezione cui questo Collegio intende dare continuità (Sez. 3, n. 20380 del 06/11/2014 – dep. 18/05/2015, Panichi e altro, Rv. 263643; Sez. 3, n. 2886 del 28/11/2013 – dep. 22/01/2014, Padovano, Rv. 258397), in tema di modalità di presentazione dell’atto di impugnazione, l’effetto anticipatorio di cui all’art. 583, comma secondo, cod. proc. pen., secondo il quale “l’impugnazione si considera proposta nella data di spedizione della raccomandata”, può legittimamente prodursi per gli atti di impugnazione spediti con raccomandata fornita dai servizi di recapito privato regolarmente autorizzati dal Ministero dello sviluppo economico, anche se limitatamente alle spedizioni successive al 30 aprile 2011, epoca di entrata in vigore dell’art. 4 del D.Lgs. 22 luglio 1999, n. 261, posto che solo sulla base di questa disposizione è stata sottratta al gestore del servizio universale identificato in Poste Italiane s.p.a. la riserva dei servizi di invio e recapito delle raccomandate “attinenti alle procedure amministrative e giudiziarie”.

Diversa, però, è la questione che è stata esaminata dalla Sezione Quarta di questa Corte che, come detto, non ha dichiarato inammissibile il ricorso perché trasmesso a mezzo di un servizio postale privato, quanto, piuttosto, per la mancanza negli atti processuali oggetto di valutazione da parte di quel Collegio, della prova della tempestività dell’impugnazione, emergendo chiaramente dalla motivazione dell’impugnata sentenza quanto segue: a) il ricorso presentato nell’interesse del (Omissis), pervenuto alla Corte di appello di Cagliari il 16.5.2014, deve ritenersi spedito (art. 583, 2° comma c.p.p.) non prima del 14.5.2014, come si evince dal francobollo a stampa apposto sulla busta della raccomandata inviata dal difensore; b) a parte il solo ricorso, che reca l’apparente data di redazione dell’11.5.2015, da alcun atto risulta una spedizione (e tanto meno la ricezione del ricorso stesso) nel termine perentorio sopra indicato (12.5.2015).

Si è già detto che è mero frutto di un refuso l’indicazione dell’anno 2015. E’ quindi evidente che non si è trattato di un errore percettivo o di fatto né di una svista, ma di una meditata valutazione compiuta dal Collegio giudicante che, sulla base degli atti allora esistenti nel fascicolo processuale (che evidentemente non contemplavano anche l’attestazione allegata al ricorso straordinario dal difensore), è pervenuto ad un giudizio valutativo di non tempestività del ricorso, non essendovi prova della presentazione tempestiva dell’atto di impugnazione, ma anzi la prova certa della sua tardività.

A tal fine è sufficiente ricordare che la tempestività della presentazione dell’atto di impugnazione non dev’essere valutata al momento del ritiro della busta contenente l’impugnazione da parte dell’agente postale ma al momento in cui l’impugnazione stessa viene presentata, momento che si identifica nella data di “spedizione” del piego raccomandato, data che la Sezione Quarta di questa Corte ha indicato chiaramente nel 14/05/2014, risultante dal francobollo a stampa apposto sulla busta della raccomandata inviata dal difensore.

Ne deriva, quindi, che, nel caso in esame, data di presentazione dell’atto di impugnazione è quella risultante dal francobollo a stampa apposto sulla busta della raccomandata inviata dal servizio postale (nella specie, privato), come del resto espressamente previsto dall’art. 583, comma secondo, cod. proc. pen. che testualmente recita: “l’impugnazione si considera proposta nella data di spedizione della raccomandata o del telegramma”; è, quindi, solo alla data di spedizione della raccomandata (nella specie, 14/05/2014) che deve aversi riguardo e non a quella (diversa ed antecedente), di ritiro della stessa presso lo studio del legale da parte dell’agente postale privato, restando, quindi, a carico dell’impugnante il rischio che l’atto di impugnazione, ritirato a domicilio dall’agente postale privato in tempo utile ma “spedito” dal servizio di recapito privato dopo la scadenza del termine di impugnazione, sia dichiarata inammissibile per tardività.

Deve, pertanto, essere affermato il seguente principio di diritto: «In tema di modalità di presentazione dell’atto di impugnazione, ove l’impugnazione sia presentata a mezzo di servizio postale privato, la stessa – in base al disposto dell’art. 583, comma secondo, cod. proc. pen., applicabile alle impugnazioni presentate avvalendosi sia di Poste Italiane S.p.A. che dei servizi di recapito postale privato titolari della licenza individuale rilasciata dal Ministero dello sviluppo economico -, si considera proposta nella data di spedizione della raccomandata contenente l’atto di impugnazione; ne consegue che, ai fini della valutazione della tempestività dell’ impugnazione, è solo alla data di spedizione della raccomandata che deve aversi riguardo e non a quella (diversa ed antecedente), di materiale ritiro “a domicilio” della stessa da parte dell’agente postale privato, restando pertanto a carico dell’impugnante il rischio che l’atto di impugnazione, ritirato a domicilio dall’agente postale privato in tempo utile ma “spedito” dal servizio di recapito privato dopo la scadenza del termine di impugnazione, sia dichiarata inammissibile per tardività».

9. Il ricorso dev’essere, pertanto, dichiarato inammissibile. Segue, a norma dell’articolo 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e, non emergendo ragioni di esonero, al pagamento a favore della Cassa delle ammende, a titolo di sanzione pecuniaria, di una somma che si stima equo fissare, in euro 1000,00 (mille/00).

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di € 1.000,00 in favore della Cassa delle ammende.

Così deciso in Roma, nella sede della S.C. di Cassazione, il 27/10/2015

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