Corte Suprema di Cassazione – sezione sesta penale – ordinanza n. 45099 del 4 novembre 2015

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RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza dell’8 maggio 2014 il Tribunale di (Omissis) ha assolto (imputati Omissis) dal reato di cui agli artt. 110-323 c.p. perché il fatto non sussiste.

Si contesta agli imputati di avere, in concorso fra loro e nelle rispettive qualità di Sindaco e Direttore generale del Comune di (Omissis), nonchè di terzo favorito dall’illecita condotta posta in essere dai predetti pubblici ufficiali, adottato, con provvedimento del Sindaco in data 3 aprile 2009, illegittime procedure di revoca anticipata dell’incarico di responsabile della posizione organizzativa “Polizia Municipale e Traffico”, conferito in data 14 gennaio 2004 a (Omissis) e successivamente riconfermato sino al 31 dicembre 2009, e di conferimento dell’incarico di Comandante della Polizia municipale di (Omissis), a decorrere dal 16 aprile 2009, ad (Omissis), dipendente del Comune di (Omissis), con il quale erano intervenuti precedenti accordi, così intenzionalmente procurando un ingiusto vantaggio patrimoniale a quest’ultimo e un danno ingiusto a (Omissis), per le negative implicazioni economiche, funzionali e d’immagine connesse alla revoca dell’incarico.

2. Il P.M. presso il Tribunale di (Omissis) ha proposto ricorso per cassazione avverso la su citata sentenza, deducendo violazioni di legge e vizi della motivazione per avere il Tribunale richiamato precedenti decisioni giudiziarie adottate in sede civile ed amministrativa, in esito alle impugnazioni proposte da (Omissis), senza che alle stesse, riguardanti temi diversi dall’oggetto della regiudicanda, potesse attribuirsi alcuna rilevanza in sede penale, non potendo fare stato all’interno di tale procedimento.

Si deduce, in particolare, che il demansionamento della posizione lavorativa della (Omissis) è quello avvenuto all’interno del comando di Polizia municipale dopo la nomina di (Omissis), e deve pertanto intendersi come la conseguenza della condotta di abuso d’ufficio realizzata in suo danno; si contestano, inoltre, profili di contraddittorietà, rispetto alle risultanze offerte dalle prove documentali e all’esito delle correlative deposizioni dibattimentali, nelle valutazioni dal Tribunale effettuate relativamente alle dichiarazioni testimoniali rese da (Omissis), nonché dai testi (Omissis), sottolineando l’erronea decisione di non ammettere fra le prove i decreti di citazione a giudizio che il P.M. aveva chiesto di depositare, in quanto indicativi dell’urgenza dell’amministrazione comunale nel rimuovere il comandante della Polizia municipale, così confermando quanto sostenuto in udienza da alcuni testimoni (Omissis).

Si evidenzia, ancora, che l’intento perseguito dalla Giunta comunale di (Omissis) era quello di sostituire un comandante ritenuto “scomodo” per le sue iniziative in atti di Polizia giudiziaria: non è in contestazione, dunque, il fatto che fosse in potere dell’amministrazione istituire ex novo un posto di “PLC”, ma il fatto che un posto vacante, al momento della domanda di (Omissis), non vi era, né tanto meno esisteva un posto della categoria contrattuale cui egli apparteneva (ossia un “PLC”), poiché lo stesso venne istituito solo in seguito, per consentire l’accoglimento della domanda da lui proposta, con la rimozione automatica della (Omissis).

Altro aspetto di contraddittorietà della motivazione viene individuato nel fatto che l’atto di riorganizzazione interna del Comune – cui è stata dal Tribunale agganciata la presunta legittimità della revoca della posizione organizzativa della (Omissis) – è stato identificato in un regolamento sull’ordinamento generale degli uffici e dei servizi risalente al 2003, e dunque non temporalmente collocabile nel periodo in cui la (Omissis) era titolare di quella posizione organizzativa.

Si censura, infine, l’abnormità della sentenza impugnata, in ragione sia della brevità del tempo occorso al Collegio per assumere la decisione in camera di consiglio (due minuti), sia del deposito della relativa motivazione contestuale, che per l’assenza di concisione (57 pagine) non poteva, evidentemente, essere stata scritta durante il breve tempo riservato alla camera di consiglio.

3. Con memoria depositata nella Cancelleria di questa Suprema Corte il 21 ottobre 2015 il difensore di (Omissis) ha esposto ed ampiamente sviluppato un’articolata serie di argomentazioni critiche volte a confutare la fondatezza dei motivi di ricorso proposti dal P.M., chiedendone la declaratoria di rigetto con la conferma della sentenza impugnata.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Preliminarmente, deve rilevarsi che le doglianze prospettate nel ricorso investono per lo più profili di contraddittorietà ed illogicità della motivazione, mentre il ricorso immediato per cassazione è ammissibile solo per vizi di pura legittimità, non implicanti, neppure indirettamente, questioni di merito.

Ne discende: a) che con tale gravame sono proponibili solo motivi diversi da quelli previsti dalle lettere d) ed e) del comma primo dell’art. 606 cod. proc. pen.; b) che il ricorso per cassazione che contenga tra i motivi anche la censura di cui all’art. 606, comma 1, lett. e), non può essere presentato per saltum, ma deve essere convertito in appello, ai sensi dell’art. 569, comma 3, del codice di procedura penale (Sez. 6, n. 26419 del 03/07/2012, dep. 06/07/2012, Rv. 253122; Sez. 6, n. 3405 del 10/01/2003, dep. 23/01/2003, Rv. 223561; Sez. 5, n. 2343 del 18/01/1999, dep. 23/02/1999, Rv. 212525).

2. Deve dunque disporsi la conversione in appello del ricorso, con la conseguente trasmissione degli atti alla Corte d’Appello di Trieste per il giudizio.

P.Q.M.

convertito il ricorso in appello dispone trasmettersi gli atti alla Corte d’appello di Trieste.

Così deciso in Roma, lì, 4 novembre 2015

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