Corte Suprema di Cassazione – sezione seconda penale – sentenza n. 8110 del 10 febbraio 2016 depositata il 29 febbraio 2016

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RITENUTO IN FATTO

Con ordinanza in data 29/10/2015, a seguito di giudizio di appello ex art. 310 cod. proc. pen., il Tribunale di Caltanissetta, in accoglimento del gravame proposto dal Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Gela, ha applicato nei confronti di (imputato Omissis) la misura cautelare personale degli arresti domiciliari in relazione al reato di concorso in rapina pluriaggravata (artt. 110, 628, comma 3, nn. 1, 3-bis, 3-quater e 3-quinquies, cod. pen.) ai danni di (persona offesa Omissis), commessa in Gela il 18/8/2015.

In relazione a tale reato in data 22/8/2015 era già stata applicata nei confronti del (imputato Omissis) la medesima misura cautelare successivamente dichiarata inefficace con ordinanza in data 15/9/2015 dal Tribunale del riesame di Caltanissetta per omessa notifica al richiedente dell’avviso di fissazione dell’udienza camerale ex art. 309, comma 8, cod. proc. pen.

Il Pubblico Ministero chiedeva quindi la rinnovazione della misura cautelare ma il Giudice per le indagini preliminari con ordinanza in data 6/10/2015 respingeva tale richiesta. A seguito del gravame proposto avverso tale ultima ordinanza il Tribunale del riesame di Caltanissetta emetteva il provvedimento che in questa sede ci occupa.

Ricorre per Cassazione avverso quest’ultima ordinanza il difensore dell’indagato, deducendo con motivo unico la violazione della legge processuale in relazione all’applicazione dell’art. 309 cod. proc. pen. con riguardo agli elementi di fatto erroneamente valutati come “eccezionali ragioni di cautela”.

Evidenzia, al riguardo, la difesa del ricorrente che il Tribunale del riesame avrebbe applicato in maniera distorta la norma di cui all’art. 309 cod. proc. pen. che nella nuova formulazione introdotta dalla L. 47/2015 non consente una rinnovazione di misura cautelare in precedenza dichiarata inefficace per ragioni formali se non per “eccezionali esigenze cautelari”.

Sul punto, osserva la difesa del ricorrente, il Tribunale del riesame avrebbe ritenuto di ravvisare dette “eccezionali ragioni di cautela” facendo esclusivo riferimento al titolo di reato in contestazione all’indagato e non anche agli sviluppi del procedimento ed alla condotta processuale ed extraprocessuale dello stesso avendo il (imputato Omissis) reso confessione ed atteggiamento di collaborazione.

A ciò si aggiunge il fatto che il ricorrente nelle more della dichiarazione di inefficacia della misura originaria era stato autorizzato ad allontanarsi dalla propria abitazione per svolgere attività lavorativa nel rispetto delle prescrizioni impostegli.

In punto di diritto osserva ancora la difesa del ricorrente che il Tribunale del riesame avrebbe errato allorquando ha fondato la possibilità di un rinnovo del provvedimento cautelare in quanto nel caso in esame non sarebbe stato rispettato il termine di dieci giorni di cui all’art. 309, comma 9, cod. proc. pen. per l’emissione delle decisione sulla richiesta di riesame. Entro tale termine sarebbe intervenuta solo la pronuncia circa l’inefficacia della misura cautelare imposta a far data dal 17/9/2015 con la conseguenza che il procedimento di riesame non si sarebbe concluso e completato con la pronuncia del Tribunale del 15/9/2015.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Appare doveroso prendere le mosse dal secondo profilo di ricorso per rilevare che lo stesso è fondato.

Trattasi, infatti, di questione già esaminata ma risolta in maniera non corretta in punto di diritto dal Tribunale del riesame.

L’originaria procedura di riesame si era sì conclusa con l’ordinanza depositata nel termine di cui all’art. 309, comma 9, cod. proc. pen. il  15/9/2015, ordinanza che a seguito di un rilevato vizio procedurale legato alla notifica dell’avviso di celebrazione dell’udienza aveva di fatto chiuso l’incidente cautelare con la declaratoria di inefficacia della misura applicata dal Giudice per le indagini preliminari (e la conseguente rimessione in libertà dell’indagato), tuttavia non si era trattato di una decisione sul merito dell’istanza, né avrebbe potuto esserlo dato il rilevato vizio di formazione del contradditorio.

Strettamente collegato alla questione esaminata è, poi, il primo profilo di ricorso.

Il Tribunale del riesame ha, infatti, sostenuto che nel caso in esame la misura cautelare sarebbe rinnovabile senza che sia necessario che ricorrano “eccezionali esigenze cautelari”.

Come è noto la L. 47/2015 è intervenuta anche sul disposto del comma 10 dell’art. 309 cod. proc. pen. che, per la parte che qui interessa, così testualmente dispone: “Se le trasmissione degli atti non avviene nei termini di cui al comma 5 o se la decisione sulla richiesta di riesame o il deposito dell’ordinanza del tribunale in cancelleria non intervengono nei termini prescritti, l’ordinanza che dispone la misura coercitiva perde efficacia e, salve eccezionali esigenze cautelari specificamente motivate, non può essere rinnovata”.

Le condizioni relative alla impossibilità di rinnovo della misura cautelare sono quindi da ritenersi collegate alla ricorrenza di almeno una delle condizioni indicate dalla norma: a) il fatto della mancata trasmissione entro cinque giorni da parte dell’autorità procedente al tribunale del riesame degli atti presentati a norma dell’art. 291, comma 1, nonché di tutti gli elementi sopravvenuti a favore della persona sottoposta alle indagini; b) la mancata decisione sulla richiesta di riesame da parte del tribunale entro dieci giorni dalla ricezione degli atti; c) il mancato deposito della relativa ordinanza entro trenta giorni dalla decisione (salvo che sia disposto un termine più lungo purché non eccedente il quarantacinquesimo giorno da quello della decisione).

Nel caso di specie la questione si pone con riguardo all’ipotesi sub. b).

Deve, infatti, evidenziarsi che quando la norma parla di “decisione sulla richiesta di riesame” non può che fare riferimento alla decisione di merito e non certo ad una decisione di diversa natura che per effetto di un mero vizio procedurale ha portato alla declaratoria di inefficacia della misura stante l’impossibilità di adottare la richiesta decisione di merito (quella per intenderci volta a rispondere alle doglianze del indagato/imputato che ha attivato il gravame) entro il rigoroso termine previsto dalla legge.

Come condivisibilmente evidenziato anche in una relazione dell’Ufficio del Massimario di questa Corte Suprema, con il divieto di rinnovazione della misura salvo esigenze eccezionali, il legislatore ha evidentemente inteso sanzionare in modo rigoroso il difettoso funzionamento della “macchina giudiziaria” manifestatosi nella violazione di uno dei tre termini fissati dall’art. 309.

È del resto estremamente significativo, al riguardo, il fatto che, nel corso dell’iter parlamentare che ha condotto all’approvazione della legge in commento, era stato previsto in Senato – con un’ipotesi di modifica dell’art. 2 d.lgs. 23 febbraio 2006, n. 109 – un nuovo illecito disciplinare riguardante i magistrati proprio per le ipotesi di violazione dei termini relativi al procedimento di riesame, anche in sede di rinvio: illecito per il quale era stata stabilita una sanzione non inferiore alla censura. Tale disposizione è stata peraltro soppressa in sede di seconda lettura alla Camera dei Deputati.

Non sfugge, a proposito del divieto di rinnovazione, che la “risposta sanzionatoria” prevista dalla legge n. 47 per il mancato rispetto di uno dei termini ex art. 309 – vicenda che in concreto può essere dovuta anche solo ad un banale disguido nella formazione del fascicolo da trasmettere ai sensi del quinto comma, ovvero ad un difetto di notifica dell’avviso di fissazione dell’udienza camerale, tale da impedire (per il brevissimo arco temporale a disposizione per eventuali rinnovi) la celebrazione rituale dell’udienza stessa, con il rispetto cioè dei tre giorni “liberi” di cui all’ottavo comma dell’art. 309 – rischia di risolversi in una sorta di improprio “salvacondotto” per il ricorrente, la cui posizione nel procedimento sembrerebbe addirittura non più aggredibile, rebus sic stantíbus, con limitazioni di sorta della libertà personale, fatta salva la sola ipotesi della eccezionalità delle esigenze cautelari: e ciò nonostante che il Pubblico Ministero richiedente, ed il giudice emittente il titolo cautelare, abbiano concordemente ritenuto la sussistenza delle esigenze medesime, con connotazioni non solo di “concretezza”, ma anche di “attualità”.

Le perplessità aumentano laddove si consideri, da un lato, l’ipotesi regolata dall’art. 302 cod. proc. pen., in cui la perdita di efficacia della misura consegue all’omesso interrogatorio, da parte del giudice procedente, nei termini previsti dall’art. 294 cod. proc. pen. (cinque giorni dall’inizio della custodia in carcere, dieci ove si tratti di misura diversa).

Trattasi, con ogni evidenza ed anche in questo caso, di un’ipotesi di malfunzionamento del sistema giudiziario di rilievo, anche sistematico, certamente non inferiore al mancato rispetto dei termini ex art. 309: è tuttavia in questo caso espressamente previsto, dal citato art. 302, che la misura possa essere nuovamente disposta (dopo la liberazione dell’imputato ed il suo previo interrogatorio a piede libero) quando “sussistono le condizioni indicate negli articoli 273, 273 e 275”. In altri termini, una volta soddisfatte le condizioni procedimentali predette – alle quali va equiparata l’ipotesi in cui l’indagato non si presenti a rendere l’interrogatorio – l’emissione della nuova ordinanza è soggetta agli ordinari parametri in punto di gravità indiziaria, esigenze cautelari e scelta delle misure: risultando quindi del tutto estraneo, rispetto alla nuova valutazione giudiziale, il requisito della “eccezionalità” delle esigenze.

Altrettanto significativo, d’altro canto, appare il confronto con la disciplina dettata dal secondo comma dall’art. 307 cod. proc. pen. in tema di ripristino della custodia cautelare nonostante la già avvenuta perdita di efficacia (e conseguente scarcerazione) per decorrenza dei termini.

È noto infatti che, sussistendo i particolari presupposti indicati nelle lett. a) e b) del citato secondo comma, la custodia cautelare può essere ripristinata – in deroga alla regola generale fissata dal primo comma dell’art. 307 – anche nei confronti della persona che si è vista restituire la libertà per aver trascorso in stato detentivo il periodo massimo (quantificabile anche in anni) stabilito dall’ordinamento.

Ebbene, anche in questa particolare eventualità – che certamente non segnala, nella vicenda concreta, il perfetto funzionamento del sistema processuale – il ripristino della custodia cautelare non è affatto condizionato alla sussistenza di esigenze cautelari eccezionali, ma solo al fatto che “ricorra”, in un caso, “taluna delle esigenze cautelari previste dall’art. 274” (cfr. lett. a dell’art. 307, relativa al ripristino per la trasgressione dolosa alle prescrizioni della misura non detentiva applicata dopo la scarcerazione); ovvero, nell’altro caso, “l’esigenza cautelare prevista dall’articolo 274 comma 1 lett. b” (cfr. lett. b dell’art. 307, relativa al ripristino dopo l’emissione della sentenza di condanna, in primo o secondo grado, in presenza appunto di un “ordinario” pericolo di fuga).

Tuttavia, alla luce di quanto evidenziato, proprio il diverso regime indicato nel nuovo testo dell’art. 310 cod. proc. pen. rispetto ad altri casi disciplinati dal codice di rito penale nei quali la misura cautelare può diventare perenta, lascia intendere che il legislatore abbia voluto sanzionare in maniera diversa e più rigorosa il mancato rispetto di un termine processuale nel quale il Tribunale deve dare una risposta ad un’istanza de libertate avanzata dall’interessato e, quindi, in una fase del tutto particolare della vicenda cautelare.

Preso atto di ciò, per il resto non v’è ragione giustificatrice per differenziare il caso in cui la procedura relativa all’incidente cautelare sia stata regolarmente instaurata ma tardivamente conclusa per effetto della mancata decisione entro il termine di cui al comma 9 dell’art. 310 cod. proc. pen. rispetto a quella nella quale la procedura non sia potuta giungere alla naturale decisione di merito per effetto di un vizio procedurale verificatosi medio tempore.

In entrambi i casi ci troviamo di fronte ad una mancata decisione nel merito nei termini previsti dalla legge oltretutto per fattori non dipendenti dall’indagato/imputato e non si vede perché ciò dovrebbe portare a conseguenze processuali diverse.

Per non dire, poi, del fatto che, qualora si volesse affermare che la mera presenza di un “incidente” procedurale nella formazione del contraddittorio tale da non consentire l’emissione di una tempestiva decisione nel merito apre la strada ad una rinnovazione sic et simpliciter del provvedimento cautelare, ciò potrebbe addirittura sfociare nel patologico e costituire un escamotage per una reiterazione ad libitum della misura coercitiva.

Ne consegue che nel caso in esame l’ordinanza coercitiva genetica era divenuta inefficace e la stessa poteva essere riemessa solo in presenza di “eccezionali esigenze cautelari” oltretutto “specificamente motivate”.

Ritiene, quindi, la Corte di dovere enunciare il seguente principio di diritto:

“L’impossibilità per il Tribunale di addivenire per ragioni formali (nella specie per l’omessa o tardiva notifica all’indagato istante dell’avviso di celebrazione dell’udienza camerale ex art. 309, comma 8, cod. proc. pen.) ad una decisione nel merito della richiesta di riesame di ordinanza applicativa di misura cautelare personale comporta la perdita di efficacia della misura stessa che potrà essere rinnovata ex art. 309, comma 10, cod. proc. pen. solo in caso di ricorrenza di eccezionali esigenze cautelari specificamente motivate.”

Sul piano concreto, poiché l’ordinanza oggetto del ricorso che in questa sede ci occupa non rispetta i parametri contenutistici di cui si è detto – non essendo state specificate le eccezionali esigenze cautelari ed addirittura essendosi in essa espressamente affermato che la sussistenza di tali esigenze non era necessaria ai fini della rinnovazione del provvedimento coercitivo – ne consegue che la stessa è viziata in diritto e deve essere annullata senza rinvio.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio l’ordinanza impugnata.

Così deciso in Roma 10 febbraio 2016.

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