Corte Suprema di Cassazione – sezione seconda penale – sentenza n. 6031 del 27 gennaio 2016, depositata il 12 febbraio 2016

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RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza in data 29.04.2008, il Tribunale di Trani, sezione distaccata di Molfetta, dichiarava (imputato Omissis) responsabile dei reati di cui agli artt. 337, 61 n. 6 cod. pen. (capo A), 648 cod. pen. (capo B), 707 cod. pen. (capo C) e 73, comma 1 d.P.R. n. 309/1990 (capo D) e, previo riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche nonché del vincolo della continuazione, lo condannava alla pena di anni dieci di reclusione ed euro 40.000,00 di multa, con le pene accessorie di legge (pena condonata nella misura di anni tre di reclusione ed euro 10.000,00 di multa ex I. n. 241/2006).

2. A seguito di proposto gravame, la Corte d’appello di Bari, con sentenza in data 14.04.2014, previa declaratoria di non doversi procedere in relazione al capo C per intervenuta prescrizione e rideterminazione del reato di cui al capo D in quello previsto e punito dall’art. 73, comma 5 d.P.R. n. 309/1990, dichiarato inammissibile il gravame in punto responsabilità, rideterminava la pena finale in anni tre, mesi sei di reclusione ed euro 1.500,00 di multa, sostituendo l’interdizione perpetua dai pubblici uffici con quella temporanea per anni cinque e conferma nel resto della pronuncia di primo grado.

3. Avverso detta sentenza, nell’interesse di (imputato Omissis), viene proposto ricorso per cassazione, lamentandosi:

-violazione di legge ex art. 606 lett. c) cod. proc. pen. con riferimento al combinato disposto degli artt. 581 lett. c) e 591, comma 1, lett. c) cod. proc. pen. (primo motivo);

-violazione di legge ex art. 606 lett. b) cod. proc. pen. con riferimento all’art. 585, comma 4, cod. proc. pen. (secondo motivo).

3.1. In relazione al primo motivo, evidenzia il ricorrente come in sede di gravame d’appello, la parte non avesse omesso di rilevare, in punto di fatto, la carenza di prove e di risultanze processuali poste alla base dell’affermazione della penale responsabilità da parte del giudice di prime cure, indicando altresì come, in ragione di siffatta insufficienza probatoria, non fosse possibile ricostruire allo stato degli atti la condotta posta in essere dal prevenuto. Si era inoltre evidenziata l’impossibilità di individuare un contributo apprezzabile da parte del (imputato Omissis) nella presunta condotta illecita e non si era nemmeno raggiunta la prova dell’elemento psicologico: circostanze in fatto che avrebbero semmai dovuto risolversi in un rigetto del gravame e non invece in un giudizio di inammissibilità.

3.2. In relazione al secondo motivo, si censura la valutazione operata dalla Corte territoriale in ordine ai c.d. motivi nuovi che tali invece non erano, essendosi la parte limitata a sviluppare le argomentazioni a sostegno del gravame rimanendo sempre nell’ambito delle parti o dei capi di sentenza originariamente impugnati.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è manifestamente infondato e, come tale, risulta inammissibile.

2. Con riferimento ad entrambi i motivi proposti, trattabili congiuntamente per le reciproche interazioni, verifica il Collegio come in sede di gravame d’appello l’odierno ricorrente avesse testualmente chiesto (con il primo motivo) una pronuncia assolutoria per non aver commesso il fatto, così argomentando: “le emergenze processuali non consentono un’affermazione di colpevolezza che possa dirsi tranquillizzante. Non può giungersi a differente conclusione rilevando la scarsezza degli elementi probatori a sostegno della pronunzia di condanna  e  tanto  postula  l’accoglimento  del  gravame.

All’affermazione di responsabilità … si perviene sulla scorta delle scarne risultanze processuali. Le risultanze investigative consentono di rilevare dubbi sulla fondatezza delle ipotesi accusatorie, non potendo certo avere il pregio della puntualità. Appare evidente che sulla scorta di tali elementi non si possa affermare che si sia raggiunta la prova della responsabilità a carico del (imputato Omissis), non essendo stato possibile ricostruire allo stato degli atti la condotta posta in essere dal prevenuto. E’ superfluo ricordare quanto è stabilito dalla Suprema Corte in tema di concorso di persone nel reato, lì dove è necessario indicare con adeguata motivazione le prove sulle quali i giudici di merito fondano il loro convincimento circa l’esistenza di un contributo apprezzabile alla realizzazione del reato fornito da ciascun compartecipe. Qualora fosse stata raggiunta la prova del fatto reato, a tutto concedere si potrebbe trattare di un fatto non penalmente rilevante e come tale non punibile, in quanto non possiede neppure i requisiti minimi della coscienza e volontà richiesti dalla regola generale rappresentata dall’art. 42 cod. pen.. E’ ben noto infatti che il sistema penale può sanzionare nel rispetto di alcune condizioni normative anche le c.d. azioni impulsive e automatiche, quelle cioè sprovviste di componenti psicologiche in senso stretto, in questi casi la pretesa sanzionatoria si fonda su un giudizio normativo solo se si possa rispondere in quei casi a titolo di colpa”.

2.1. Con gli altri motivi di ricorso (secondo e terzo), il (imputato Omissis) aveva invocato la concessione delle circostanze attenuanti generiche con giudizio di prevalenza e la riduzione della pena inflitta.

Con clausola di stile finale, la parte di riservava la presentazione di motivi nuovi, nei termini, modi e forme di legge.

2.2. Nei successivi motivi nuovi ex art. 585, comma 4 cod. proc. pen., la difesa di (imputato Omissis) aveva evidenziato ai giudici di secondo grado:

-in relazione al capo A), come gli elementi costitutivi della condotta e del contegno dell’imputato non risultassero integrare, né sotto il profilo di diritto né di fatto, il reato di resistenza;

-in relazione al capo B), come dalla ricostruzione in fatto offerta dal giudice di primo grado appare evidente come il delitto contestato non si fosse perfezionato in alcuno degli elementi richiesti per la sua configurabilità, apparendo invece indubitabile come i beni di provenienza delittuosa fossero stati, piuttosto, diretto oggetto di furto da parte del (imputato Omissis), e ciò evincendosi dal dato temporale e dalle modalità di rinvenimento dei beni da parte degli operanti, quindi sia sotto il profilo oggettivo che sotto quello soggettivo;

-in relazione al capo C), come la condotta si fosse prescritta a far data dal 16.01.2011;

-in relazione al capo D), come la detenzione di 1,779 grammi di cocaina con un principio attivo di 579,24 milligrammi non potesse ritenersi detenuta a fini di spaccio, avuto riguardo sia alla quantità che alla qualità della sostanza che con riferimento alle modalità e alle circostanze dell’azione.

2.3. A fronte di tali prospettazioni, la Corte d’appello dichiarava inammissibile l’appello in punto di responsabilità riconoscendo la mancata osservanza della disposizione dell’art. 581 lett. c) cod. proc. pen., così motivando: “ed invero dal contenuto dell’atto di impugnazione … emerge ictu oculi l’assoluta mancanza di specifiche indicazioni delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che sorreggono il gravame a fronte dell’apparato motivazionale opposto dal giudice di prime cure laddove si argomenta esaurientemente in fatto ed in diritto (indicando e valutando i singoli elementi di prova da cui desumere la responsabilità penale del prevenuto in ordine a tutti i fatti di reato contestati). Per giurisprudenza costante dei giudici di legittimità (condivisa da questa Corte) a tal fine non possono sopperire le censure articolate specificamente nei motivi nuovi, dovendo gli stessi limitarsi ad ampliare argomentazioni già sviluppate con sufficiente specificità nell’atto di gravame. In caso contrario si eluderebbe il disposto normativo suindicato”.

3. Le valutazioni operate dalla Corte d’appello sono pienamente condivisibili.

3.1. Per costante giurisprudenza di legittimità, i motivi nuovi di impugnazione devono essere inerenti ai temi specificati nei capi e punti della decisione investiti dall’impugnazione principale già presentata, essendo necessaria la sussistenza di una connessione funzionale tra i motivi nuovi e quelli originari (cfr., ex multis, Sez. 6, sent. n. 45075 del 02/10/2014, dep. 30/10/2014, Sabbatini, Rv. 260666).

Ciò in quanto la facoltà conferita al ricorrente dall’art. 585, comma 4, cod. proc. pen., deve trovare necessario riferimento nei motivi principali e rappresentare soltanto uno sviluppo o una migliore e più dettagliata esposizione dei primi, anche per ragioni eventualmente non evidenziate in precedenza, ma sempre collegabili ai capi e punti già dedotti (Sez. 1, sent. n. 46950 del 02/11/2004, Sisic, Rv. 230181): ne consegue che motivi nuovi ammissibili sono soltanto quelli coi quali, a fondamento del petitum già proposto nei motivi principali d’impugnazione, si alleghino ragioni “giuridiche” diverse da quelle originarie, non potendo essere ammessa l’introduzione di censure nuove in deroga ai termini tassativi entro i quali il ricorso va presentato.

3.2. I motivi nuovi proposti a sostegno dell’impugnazione devono, pertanto, avere ad oggetto, a pena di inammissibilità, i capi o i punti della decisione impugnata che sono stati enunciati nell’originario atto di impugnazione a norma dell’art. 581, comma 1, lett. a) cod. proc. pen., rimanendo a tal fine irrilevante l’eventuale espressa indicazione di riserva di proposizione di motivi nuovi (Sez. 6, sent. n. 73 del 21/09/2011, dep. 04/01/2012, Aguì, Rv. 251780; Sez. 2, sent. n. 1417 del 11/102012, dep. 11/01/2013, P. civ. in proc. Platamone ed altro, Rv. 254301).

Va, in  proposito, ribadito il seguente principio di diritto: “In materia di termini per l’impugnazione, la facoltà del ricorrente di presentare “motivi nuovi” o “aggiunti” incontra il limite del necessario riferimento ai motivi principali, dei quali i motivi ulteriori devono rappresentare mero sviluppo o migliore esposizione, anche per ragioni eventualmente non evidenziate, ma risultando sempre ricollegabili ai capi ed ai punti già dedotti; ne consegue che sono ammissibili soltanto i “motivi nuovi” o “aggiunti” con i quali, a fondamento del petitum dei motivi principali, si alleghino ragioni di carattere giuridico diverse o ulteriori, non anche quelli con i quali si intenda allargare l’ambito del predetto petitum, introducendo censure non tempestivamente formalizzate entro i termini per l’impugnazione”.

3.3. Ritiene il Collegio come l’interpretazione in parola non configuri affatto una lettura esasperatamente formalistica degli atti: invero, proprio l’esame dell’originario atto d’appello – il cui contenuto è stato integralmente riportato – attesta che nessuna deduzione sugli specifici temi in punto inconfigurabilità dei reati di cui ai capi A, B e D (per quanto qui d’interesse) è in esso presente, limitandosi lo stesso ad una generica confutazione della pronuncia di primo grado. Ciò finisce per attestare l’obiettiva novità del contenuto dei motivi aggiunti e la loro conseguente inevitabile generale inammissibilità.

4. Alla pronuncia consegue, per il disposto dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché al versamento, in favore della Cassa delle ammende, di una somma che, considerati i profili di colpa emergenti dal ricorso, si determina equitativamente in euro 1.000,00

PQM

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 alla Cassa delle ammende.

Così deliberato in Roma, udienza pubblica del 27.1.2016

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