Corte Suprema di Cassazione – sezione lavoro – ordinanza n°2701 del giorno 11 febbraio 2016

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Fatto e diritto
La Corte di appello di Messina ha confermato la sentenza del Tribunale della stessa città che aveva respinto la domanda di (invalida Omissis) tesa al riconoscimento dell’assegno ex art. 13 della legge n.118 del 1971, senza disporre la rinnovazione della consulenza tecnica medico legale, sul rilievo che non era stata offerta la prova dell’esistenza dei requisiti socio economici che, al pari di quello sanitario, sono necessari per il riconoscimento della prestazione assistenziale.
La Corte territoriale ha infatti accertato che nulla era stato allegato e dimostrato dalla ricorrente nel ricorso di primo grado, che qualsiasi produzione in appello era tardiva, e, dunque, non sussistevano le condizioni per disporre la chiesta rinnovazione degli accertamenti medico legali.
Per la cassazione della sentenza ricorre (invalida Omissis) che articola due motivi cui resiste con controricorso l’Inps.
Il Ministero dell’Economia e delle Finanze è rimasto intimato.
La ricorrente ha depositato memoria con la quale nel contestare le conclusioni della relazione redatta ai sensi dell’art 375 e 380 bis c.p.c. insiste per l’accoglimento del ricorso.
Tanto premesso il ricorso, manifestamente fondato, deve essere accolto per le ragioni che di seguito si espongono, dissentendo, in parte dalle argomentazioni espresse nella relazione redatta ai sensi dell’art. 375 e 380 bis c.p.c..
Occorre premettere in fatto che l’odierna ricorrente ha presentato domanda amministrativa per conseguire la prestazione assistenziale disciplinata dall’art. 13 della legge n. 118 del 1971 in data 5 ottobre 2005 mentre ha proposto ricorso per ottenere la prestazione negatale in via amministrativa in data 7.7.2008.
La Corte territoriale, investita delle censure formulate alla sentenza di primo grado che aveva escluso l’esistenza del requisito sanitario, aveva ritenuto di non poter procedere alla rinnovazione della consulenza tecnica d’ufficio sul rilievo che non era stata offerta da parte della ricorrente la prova dell’esistenza del requisito socio economico.
Orbene nei giudizi volti al riconoscimento del diritto a pensione o ad assegno di invalidità civile, il requisito reddituale e quello socioeconomico, al pari del requisito sanitario, costituiscono elementi costitutivi del diritto, la cui sussistenza va verificata anche d’ufficio ed è preclusa solo dalla relativa non contestazione, ove la situazione reddituale sia stata specificamente dedotta, nonché dal giudicato, nel caso in cui non sia stato proposto sul punto specifico motivo di appello (cfr. Cass. 16395 del 2008 e molte altre successive, cfr. Cass. n. 13527 del 2015) .
La prova è a carico del soggetto richiedente la prestazione (v. Cass. 10 novembre 2009 n. 23762 e numerose altre conformi).
La mancanza del requisito socio economico è rilevabile d’ufficio, ove, come nella specie, il giudice di primo grado abbia rigettato la domanda per aver escluso la sussistenza del requisito sanitario e l’interessato abbia appellato in ordine a tale esclusione (Cass. 13 aprile 1995, n.4217 e numerose altre successive, tra cui Cass. 7 giugno 2001 n. 7716; id. 4 aprile 2002, n. 4834; 11 luglio 2007, n. 15486; 5 ottobre 2011, n.20427; 11 giugno 2012, n. 9423).
Va però rammentato che il quadro normativo di riferimento si è modificato nel tempo.
La norma base era costituita dalla L. 30 marzo 1971, n. 118, art. 13 che disponeva che “Ai mutilati ed invalidi civili di età compresa fra il diciottesimo ed il sessantacinquesimo anno nei cui confronti sia accertata una riduzione della capacità lavorativa, nella misura pari o superiore al 74%, incollocati al lavoro e per il tempo in cui tale condizione sussiste, è concesso a carico dello stato ed a cura del
Ministero dell’Interno, un assegno mensile di lire 12.000 per tredici mensilità, con le stesse condizioni e modalità previste per l’assegnazione della pensione di cui allo articolo precedente”.
Oltre al requisito sanitario, si richiedeva quindi, fino al 1.1.2008 (data di entrata in vigore della legge n. 247 del 2007) che il soggetto fosse “incollocato al lavoro”.
Con la legge n. 68 del 1999 è stata radicalmente modificata la normativa sulle assunzioni dei disabili e, mentre nel regime della legge L. n. 482 del 1968 (con la quale si coordinava la legge sulla invalidità
civile del 1971 nel suo testo originario) all’invalido era consentito di chiedere l’iscrizione negli elenchi mediante la presentazione di una domanda munita della necessaria documentazione attestante la sussistenza dei requisiti e, in tale contesto, era incollocato al lavoro l’invalido privo di occupazione che, mediante la presentazione della domanda di iscrizione negli elenchi, si era reso disponibile all’assunzione obbligatoria, nel regime della legge n. 68 del 1999 per richiedere l’iscrizione negli elenchi previsti dall’art. 8 era necessario esperire una fase preliminare volta all’accertamento dei requisiti sanitari previsti dal primo comma dell’art. 1 (minorazioni che comportino una riduzione della capacità lavorativa superiore al 45%, o situazioni analoghe previste dalle ulteriori lettere del medesimo articolo) e, per espressa previsione dell’art. 1, comma 4, il diritto ad accedere al sistema per l’inserimento lavorativo dei disabili (e quindi la possibilità di fare la domanda di iscrizione nelle liste) sorgeva solo dopo l’accertamento dei requisiti sanitari (sopra indicati) ad opera delle commissioni mediche previste dalla L. n. 104 del 1992, art. 4.
Ove non sia stata esaurita questa fase “rigorosamente propedeutica” (Cass. 9502 del 2012) e la riduzione della capacità lavorativa non sia stata “accertata” (L. n. 68 del 1999, art. 1, commi 1 e 4) il disabile non può chiedere l’iscrizione nelle liste. A ciò si aggiunga che la legge non fissa termini alla commissione medica per il suo espletamento.
In una interpretazione costituzionalmente orientata della disciplina, la Cassazione ha stabilito allora che “In materia di assegno di invalidità civile, il requisito della incollocazione al lavoro, nello specifico contesto normativo che caratterizza il periodo di tempo tra l’entrata in vigore della legge 12 marzo 1999, n. 68, e l’entrata in vigore della legge 24 dicembre 2007, n. 247, può dirsi sussistente qualora l’interessato provi di non aver svolto attività lavorativa e di aver richiesto l’accertamento di una riduzione dell’attività lavorativa, in misura tale da consentirgli l’iscrizione negli elenchi di cui all’art. 8 della n. 68 del 1999 da parte delle commissioni mediche competenti a tal fine. Nel caso in cui tale accertamento sia precedente rispetto alla data di decorrenza del requisito sanitario per l’invalidità (riduzione della capacità lavorativa del 74% o superiore), sarà necessaria la prova di aver ottenuto o quanto meno richiesto l’iscrizione negli elenchi di cui all’art. 8 della legge n. 68 del 1999.”(cfr. Cass. n. 19833 del 2013).
Il quadro normativo è poi sostanzialmente modificato dalla legge n.247 del 2007, applicabile dal 1.1.2008, che con 1’art. 1, comma 35, non richiede più la “incollocazione al lavoro”, ma semplicemente lo stato di inoccupazione. La legge individua il requisito in questi termini: disabili “che non svolgono attività lavorativa e per il tempo in cui tale condizione sussiste”.
Tra il concetto di incollocazione e quello di non occupazione vi è una sostanziale differenza. Il disabile incollocato al lavoro non è semplicemente disoccupato: è il disabile che, essendo privo di lavoro, si è iscritto o ha chiesto di iscriversi negli elenchi speciali per l’avviamento al lavoro. Ha cioè attivato il meccanismo per l’assunzione obbligatoria. Al contrario il requisito della “inoccupazione” (di più semplice verificazione) corrisponde al mancato svolgimento di attività lavorativa. Il nuovo testo dell’art. 13 richiede per il riconoscimento del diritto all’assegno di assistenza che 1’invalido civili abbia una “età compresa fra il diciottesimo e il sessantaquattresimo anno”, che nei suoi “confronti sia accertata una riduzione della capacità lavorativa, nella misura pari o superiore al 74 per cento”, “che non svolgono attività lavorativa e per il tempo in cui tale condizione sussiste”.
Al secondo comma è poi imposto l’obbligo per l’invalido “attraverso dichiarazione sostitutiva, resa annualmente all’INPS ai sensi dell’art. 46 e segg. del testo unico di cui al D.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445” di autocertificare di non svolgere attività lavorativa. Qualora poi tale condizione venga meno, l’invalido è tenuto a darne tempestiva comunicazione all’INPS.
Da quanto esposto consegue che nel regime della legge n. 247 del 2007 (a decorrere dal 1.1.2008) “il mancato svolgimento di attività lavorativa costituisce elemento costitutivo del diritto all’assegno di assistenza la cui prova, peraltro, non può essere fornita in giudizio mediante mera dichiarazione dell’interessato, anche se rilasciata con le formalità previste dalla legge per le autocertificazioni (Cass. 20 dicembre 2010, n. 25800; id. 11 febbraio 2011, n. 3552; 28 agosto 2013, n. 19833; 3 marzo 2014, n. 4942 e anche 16 ottobre 2014 n. 21888).
Venendo all’esame del caso di specie va quindi sottolineato che dalla data di presentazione della domanda amministrativa (5.10.2005) a quella di proposizione del ricorso giudiziario (7.7.2008) il quadro normativo da considerare è variato nei termini sopra indicati e di tanto doveva tenere conto la Corte di appello nel verificare la sussistenza dei requisiti socio economici necessari ai fini del riconoscimento della prestazione.
Se infatti nel periodo dalla presentazione della domanda amministrativa alla data di entrata in vigore della legge n. 247 del 2007 più volte richiamata il requisito da considerare era quello della “incollocazione”, nel periodo successivo al 1. 1. 2008 (comunque antecedente la proposizione della domanda giudiziaria) andava verificata l’avvenuta allegazione e prova dello stato di non occupazione
della ricorrente.
Dalla lettura della sentenza si evince, al contrario, che la Corte territoriale si è limitata a verificare l’esistenza dello stato di incollocato senza prendere affatto in considerazione, per il periodo successivo al 1.1.2008 il diverso requisito della non occupazione.
Il primo motivo deve quindi essere accolto.
Quanto alla censura formulata con il secondo motivo di ricorso si osserva in primo luogo che la doglianza risulta formulata ai sensi dell’art. 360 comma 1 n. 5 c.p.c. nel testo antecedente la riforma del 2012 laddove invece alla fattispecie trova applicazione la novella – d.l. 22.6.2012 n. 83 art. 54 comma 1 lett. b conv. in L. 7.8.2012 n. 134 – trattandosi di sentenza depositata dopo l’entrata in vigore delle modifiche. In applicazione del testo riformato dell’art. 360 comma 1 n. 5 c.p.c., infatti, l’omesso esame del fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, unico vizio deducibile nel vigore del testo riformato, va inteso, in applicazione dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 disp. prel. cod. civ., tenendo conto della prospettiva della novella, mirata ad evitare l’abuso dei ricorsi basati sul vizio di motivazione, non strettamente necessitati dai precetti costituzionali, supportando la generale funzione nomofilattica della Corte di cassazione. Per conseguenza 1′ “omesso esame” va inteso come “omessa motivazione” e l’accertamento se l’esame del fatto, principale o secondario, è avvenuto o è stato omesso non può che risultare dalla motivazione. E’ deducibile come vizio della sentenza soltanto l’omissione e non più l’insufficienza o la contraddittorietà della motivazione, salvo che tali aspetti, consistendo nell’estrinsecazione di argomentazioni non idonee a rivelare la “ratio decidendi”, si risolvano in una sostanziale mancanza di motivazione.
Poiché nel caso in esame ci si duole nella sostanza di una insufficienza della motivazione, la censura è inammissibile.
In conclusione la sentenza deve essere cassata e rinviata alla Corte di appello di Messina in diversa composizione che rinnoverà l’indagine sulla sussistenza del requisito socio economico per il conseguimento dell’assegno di invalidità civile tenendo conto del quadro normativo in base al quale dall’entrata in vigore della L. n. 68 del 1999 e sino a quando la L. n. 247 del 2007 ha trasformato il requisito occupazionale (da incollocazione al lavoro in mera mancanza di occupazione), il disabile che richiede 1’assegno d’invalidità civile deve provare non solo di non aver lavorato, ma anche di essersi attivato per essere avviato al lavoro nelle forme riservate ai disabili, mentre nel periodo successivo (dal 1.1.2008) dovrà provare solo il suo stato di non occupazione.
La Corte del rinvio provvederà poi a regolare le spese del giudizio di legittimità.
La Corte, accoglie il primo motivo di ricorso, inammissibile il secondo.
Cassa la sentenza in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte di appello di Messina, in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma il 19 novembre 2015
PQM
La Corte, accoglie il primo motivo di ricorso, inammissibile il secondo. Cassa la sentenza in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte di appello di Messina, in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma il 19 novembre 2015
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