Conto corrente bancario e interessi usurai: rilevabile d’ufficio la nullità della clausola di commissione di massimo scoperto

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Qualora un correntista abbia proposto domanda di nullità o, in ipotesi, di annullamento di un contratto di conto corrente bancario, il giudice innanzi al quale sia stata proposta la relativa domanda deve rilevare di ufficio l’esistenza di una causa di quest’ultima diversa da quella allegata dall’istante, essendo quella domanda pertinente a un diritto autodeterminato, sicché è individuata indipendentemente dallo specifico vizio dedotto in giudizio. Pertanto, il giudice innanzi al quale sia stata proposta domanda di nullità integrale del contratto deve rilevarne di ufficio la sua nullità solo parziale onde consentire alle parti di porre in essere un’espressa istanza di accertamento in tal senso, e tale rilevabilità officiosa delle nullità negoziali deve  estendersi  anche  a  quelle  cosiddette  di protezione. Sicchè, in caso di mancata rilevazione officiosa, in primo grado, di una nullità contrattuale, anche il giudice d’appello ha facoltà di procedere a un siffatto rilievo.

Lo ha ribadito la Suprema Corte di Cassazione – sezione prima civile – con sentenza n.2910 del 15 febbraio 2016

Il caso

Conto corrente bancario e interessi usurai: rilevabile d’ufficio la nullità della clausola di commissione di massimo scoperto

Conto corrente bancario e interessi usurai: rilevabile d’ufficio la nullità della clausola di commissione di massimo scoperto

Il tribunale di Firenze, adito da un correntista con domande di nullità o, in ipotesi, di annullamento di un contratto di conto corrente bancario e di un contratto di pegno, siccome predisposti e compilati da un istituto di credito, nonché con domande subordinate di nullità parziale dei contratti in ordine alla determinazione del tasso di interesse e alla capitalizzazione trimestrale, accoglieva la domanda da ultimo citata, di nullità della clausola di capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi, e per l’effetto accertava in euro 1.868,33 il minor debito della correntista nei confronti della banca.

La sentenza di appello

La decisione veniva impugnata da entrambe le parti, e la corte d’appello di Firenze, con sentenza in data 16-12-2009, rigettava sia l’appello principale della società, sia l’appello incidentale della banca.

Per quanto rileva, la corte reputava inammissibili per novità due ulteriori domande ivi formulate dall’attrice: una, principale, relativa alla clausola di commissione di massimo scoperto e una, accessoria, relativa al superamento del tasso soglia.

Nel merito negava il fondamento della nullità del contratto di conto corrente e dell’annesso contratto di pegno, reputando dedotta una violazione di patto ad scribendum non attinente alla forma ma, al più, al vizio della volontà; vizio in ogni caso non implicante la nullità del contratto quanto la mera sua annullabilità, peraltro da escludere in considerazione dell’essersi il rapporto con la banca protratto per anni dal suo effettivo inizio. Da qui il ricorso per cassazione.

I motivi di ricorso

1. – Col primo motivo, deducendo violazione e/o falsa applicazione degli artt. 163, 183, 345 cod. proc. civ., 1815 cod. civ., 2-bis, 2 0  comma, del d.l. n. 185 del 2008, conv. in 1. n. 2 del 2009, la ricorrente censura la sentenza nella parte in cui ha definito inammissibili per novità le domande relative alla commissione di massimo scoperto e al superamento della soglia usuraria del tasso di interesse.

Sostiene di aver originariamente introdotto una domanda dichiaratamente tesa a rideterminare il saldo passivo reclamato dalla banca, e che anche lo sviluppo formale delle conclusioni di primo grado aveva avuto a oggetto il ricalcolo del saldo di conto corrente, avendo la società indicato un differenziale di oltre lire 91.000.000 quale importo da considerare ai fini suddetti, con allegazione di un apposito foglio di ricalcolo nel quale era stata redatta una colonna riepilogativa di tutti gli addebiti operati illegittimamente anche per commissione di massimo scoperto.

Inoltre nella prima parte delle conclusioni rassegnate in citazione era stata chiesta, sempre a dire della ricorrente, la nullità del contratto “per tutti i motivi spiegati nella parte narrativa del presente atto e comunque perché avente causa illecita e contenente clausole illecite”. Sicché in tal modo già il giudice di primo grado era stato investito di ogni questione riguardante la invalidità del contratto e di ogni sua clausola. Il giudice d’appello avrebbe dovuto quindi considerare ammissibile la domanda afferente la nullità della clausola anzidetta, poi esplicitamente prospettata al momento della precisazione delle conclusioni, essendo oltre tutto la nullità rilevabile d’ufficio; e avrebbe dovuto considerare la domanda medesima nel contesto di cui alla l. n. 2 del 2009, essendo gli addebiti della c.m.s. suscettibili di essere parte integrante del t.e.g. ai fini dello sconfinamento del tasso-soglia usurario.

2. – Col secondo motivo, deducendo violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1325, 1343, 1346, 1350, 1418, 1419, 1427, 1439, 1442 cod. civ., 244 cod proc. civ., l. n. 154 del 1992, nonché omessa, contraddittoria e/o insufficiente motivazione della sentenza, la ricorrente censura la decisione nella parte in cui ha rigettato le domande riguardanti la nullità del contratto di conto corrente e del connesso contratto di fido e garanzia.

La società in tal caso lamenta che il giudice d’appello abbia “modificato le motivazioni” poste a base del rigetto della domanda da parte del giudice di primo grado, avendo affermato che vi era stato riempimento del modulo contrattuale da parte della banca in asserita mancanza di autorizzazione.

In simil modo la corte d’appello avrebbe omesso di considerare la conseguenza giuridica dell’avvenuta sottoscrizione del contratto in bianco senza formazione di un libero convincimento del sottoscrittore, e dunque senza formazione di volontà, tenuto conto dell’obbligatorietà della forma scritta dei contratti bancari a seguito della 1. n. 154 del 1992.

Ad avviso della ricorrente, non potevasi considerare rispettata la forma scritta prevista dalla legge, né conferito alla banca alcun mandato, del resto altrimenti nullo per indeterminatezza, con conseguente impossibilità di applicazione di tassi passivi superiori a quelli legali e di ogni altra spesa.

La Suprema Corte accoglie il primo motivo

Secondo gli Ermellini, l’impugnata sentenza, premesso che l’attrice aveva in appello “formulato sia domande principali relative alla clausola della commissione di massimo scoperto sia una domanda accessoria relativa al superamento del tasso soglia”, si è limitata ad affermare che si trattava “di domande inammissibilmente nuove”.

La ricorrente censura la valutazione sottolineando che era stata chiesta nella citazione di primo grado la nullità del contratto di apertura di conto corrente e degli altri connessi e che, essendo stata invocata la nullità per tutte le clausole con domanda di restituzione di tutti gli interessi e di ogni altro illegittimo addebito, e con allegazione di un documento di ricalcolo, le domande specificate in appello non potevano considerarsi affette da novità. Si era trattato infatti – a detta della ricorrente – di domande relative all’illegittima applicazione della commissione di massimo scoperto e alla capacità di codesta di far parte integrante del t.e.g, con conseguente  sconfinamento della soglia del tasso usurario. Sicché quelle domande avrebbero dovuto essere considerate “intrinsecamente e/o estrinsecamente contenute nella domanda introduttiva e precisate ex art. 183 c.p.c. nel giudizio di primo grado”, e comunque avrebbero dovuto esser considerate ammissibili “per le conseguenze giuridiche dello ius superveniens in ordine alle dette eccezioni, da considerarsi altresì rilevabili d’ufficio in qualsiasi stato e grado del processo”.

Osservano i giudici di piazza Cavour che dalle difese della stessa banca risulta che le domande prospettate dall’attrice erano state indirizzate a ottenere la rideterminazione del saldo di conto corrente quale conseguenza dell’accertamento della nullità totale o parziale del contratto (e di quello accessorio di garanzia).

Inoltre, con l’atto di appello la società aveva chiesto:

  • (i) “in tesi (..) la nullità del contratto di conto corrente (..) nonché conseguentemente la nullità del contratto di costituzione di pegno (..) per tutti i motivi spiegati in narrativa e comunque perché contenente clausole illecite oltre che viziato da nullità assoluta ai sensi dell’art. 1418 c.c., a causa della mancanza dei requisiti essenziali (volontà) di cui all’art. 1325 c.c.”;
  • (ii) “in ipotesi (..) annullare il contratto di conto corrente (..), nonché conseguentemente la nullità del contratto di costituzione di pegno (..) per dolo”;
  • (iii) conseguentemente  dichiarare  che  la  società appellante nulla deve alla Banca (..) a saldo dei conteggi di dare-avere (..)”;
  • (iv) “in ipotesi, determinare e quantificare gli importi dovuti dalla società appellante (..) computando gli interessi passivi al tasso legale depurandoli dalla commissione di massimo scoperto (..)”.

In sede di precisazione delle conclusioni l’appellante aveva, infine, ulteriormente precisato la domanda di nullità sopra indicata al punto (i), chiedendo alla corte d’appello di “accertare e dichiarare la nullità della clausola di applicazione della commissione di massimo scoperto con ogni conseguente determinazione ed effetto su ogni ulteriore domanda spiegata”.

Secondo i giudici di legittimità, in tale situazione, il problema che si poneva – e che la corte d’appello non ha colto – era quello del rapporto tra la domanda originaria di nullità del contratto (proposta sotto il profilo della nullità totale e della nullità parziale, per difetto di forma e per illiceità delle clausole di determinazione dell’interesse passivo e di capitalizzazione trimestrale) e la domanda, infine comunque introdotta in appello, di nullità parziale anche in relazione alla clausola dì commissione di massimo scoperto.

L’orientamento della non rilevabilità di ufficio della nullità della singola clausola

A  questo  proposito  un  certo  orientamento giurisprudenziale ha in passato ritenuto che mentre l’effetto estensivo della nullità della singola clausola o del singolo patto all’intero contratto,  avendo carattere eccezionale rispetto alla regola della conservazione, non può essere dichiarato d’ufficio dal giudice, con la conseguenza che incombe alla parte che assuma l’estensione l’onere di provare l’interdipendenza del resto del contratto dalla clausola o dal patto inficiato da nullità, non è vero il contrario: nel primo caso il giudice, che pronunci la nullità dell’intero contratto senza essere stato investito della relativa domanda, viola il principio della corrispondenza fra chiesto e pronunciato, nel secondo caso egli pronuncia pur sempre nei limiti della domanda della parte, accogliendola solo parzialmente (v. Sez. 1^ n. 16017-08 nonché conf. n. 2499-83 e n. 1189-03).

L’intervento delle Sezioni Unite.

Questa tesi è stata recentemente ridimensionata dalle sezioni unite della corte in base alla distinzione tra rilevazione e pronuncia della nullità.

Gli Ermellini ricordano il principio in forza del quale il giudice innanzi al quale sia stata proposta una domanda di nullità integrale del contratto deve rilevarne d’ufficio la sua nullità solo parziale e, qualora le parti, all’esito di tale indicazione officiosa, omettano un’espressa istanza di accertamento in tal senso, deve rigettare l’originaria pretesa non potendo inammissibilmente sovrapporsi alla loro valutazione e alle loro determinazioni espresse nel processo (Sez. un. n. 26242-14 e n. 26243-14).

Nello specifico:

  • (a) “il giudice innanzi al quale sia stata proposta domanda di nullità contrattuale deve rilevare di ufficio l’esistenza di una causa di quest’ultima diversa da quella allegata dall’istante, essendo quella domanda pertinente a un diritto autodeterminato, sicché è individuata indipendentemente dallo specifico vizio dedotto in giudizio”;
  • (b) tale rilevabilità officiosa delle nullità negoziali “deve  estendersi  anche  a  quelle  cosiddette  di protezione”;
  • (c) in caso di mancata rilevazione officiosa, in primo grado, di una nullità contrattuale, anche il giudice d’appello ha “facoltà di procedere a un siffatto rilievo”;
  • (d) “il giudice innanzi al quale sia stata proposta domanda di nullità integrale del contratto deve rilevarne di ufficio la sua nullità solo parziale” onde consentire alle parti di porre in essere un’espressa istanza di accertamento in tal senso.

La nullità parziale

In conclusione, dedotta nell’oggetto la nullità totale del contratto a mezzo di azione autoindividuata, sussiste il potere-dovere del giudice di rilevare d’ufficio l’esistenza di una eventuale fattispecie di nullità parziale distinta per ragione, ancorché, all’esito della rilevazione, le parti siano poi libere di mantenere inalterata la domanda originaria. Una volta fatta, la rilevazione impedisce al giudice di emanare d’ufficio una decisione di nullità parziale che si sovrapponga alla difforme valutazioni della parte. E, ove sia mancata la rilevazione d’ufficio della (parziale) nullità in primo grado, il giudice ha pur sempre la possibilità di rilevarla in appello.

La domanda di nullità parziale può essere introdotta per la prima volta in appello.

Se così è – prosegue la Corte regolatrice – l’ovvio corollario del principio è che, rispetto alla originaria domanda di nullità totale di un contratto di conto corrente bancario, la domanda di nullità parziale può essere dalla stessa parte per la prima volta introdotta in appello, sia in risposta a un rilievo del giudice sia, anche, anticipando detto rilievo. In tal secondo caso la domanda di nullità parziale non può essere considerata “inammissibilmente nuova”, come invece affermato dalla corte d’appello di Firenze, proprio perché la nullità, nella logica appena ricordata, può sempre essere rilevata d’ufficio e non è soggetta, quindi, a vincolo preclusivo.

Ciò significa che essa può essere dedotta in primo grado per tutto il corso del processo e sino al momento della precisazione delle conclusioni e che egualmente essa va rilevata dal giudice d’ufficio onde sollecitare il contraddittorio sulla stessa (art. 111 cost. e 101, 2° coma, cod. proc. civ.).

In simile evenienza – proseguono i giudici di legittimità – la parte può rinunciare alla pretesa originaria per coltivare solo quella di nullità parziale oppure mantenere entrambe le domande.

Ma se la nullità parziale non sia stata rilevata in primo grado, la stessa parte può farla valere con l’appello senza incorrere nel divieto dei nova, giacché finanche in appello il giudice può rilevare la nullità suddetta e sottoporla al contraddittorio proprio allo scopo di consentire alla parte interessata di formulare la domanda.

E in tal caso, in mancanza di domanda, l’accertamento contenuto nella motivazione della sentenza ai fini del rigetto della domanda di nullità totale sarebbe idoneo a produrre l’effetto di un giudicato preclusivo con riguardo al profilo (di nullità parziale) deducibile. Da qui la cassazione della sentenza impugnata con rinvio per nuovo esame.

Una breve riflessione

La sentenza in rassegna è di notevole interesse anche perché interviene in una materia oggetto, all’attualità, di vasto contenzioso.

Difatti, accade spesso che si proponga una domanda di nullità di un contratto bancario e poi, in corso di causa, emergano elementi (anche a seguito, ad esempio, di una ctu) che evidenziano  la nullità (parziale) di singole clausole.

Il nodo del problema sta proprio in ciò: può il correntista richiedere (anche) e (se si) fino a quando l’accertamento della nullità di tali singole clausole?

Nella fattispecie in esame, i giudici di merito avevano dato risposta negativa al quesito ma, come abbiamo visto, tale decisione è stata ribaltata dai giudici di piazza Cavour sul rilievo che tale nullità, ove esistente, può essere dichiarata dal giudice anche in appello, e, di conseguenza, la parte che la avanzi non incorre nel divieto di domande nuove in appello, potendo tale domanda costituire una sorta di invito, rivolto al giudice, a rilevare la dedotta nullità (parziale).

In conclusione, la interpretazione ribadita dalla Suprema Corte appare pienamente condivisibile e rispettosa dei diritti del contraente debole nell’ambito dei rapporti bancari.

avv. Filippo Pagano (f.pagano@clouvell.com)

managing partner at clouvell (www.clouvell.com)

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