Cassazione penale – sezione seconda – 10 aprile 2015 n.16786

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SENTENZA

Sul ricorso proposto dal PM nei confronti di (Omissis), nato nella Repubblica popolare cinese il , (Omissis), nato in  (Repubblica popolare cinese) il  (omissis) avverso l’ordinanza 10/11/2014 del Tribunale per il riesame di Napoli ; Sentita la relazione della causa fatta dal consigliere Domenico Gallo; udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore generale, Enrico Delehaye che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso chiedendo il rigetto del ricorso; Udito il difensore, avv. (OMISSIS) che ha concluso per l’accoglimento del ricorso;

RITENUTO IN FATTO

Con ordinanza in data 10/11/2014, Il Tribunale di Napoli, a seguito di istanza di riesame avanzata nell’interesse di (Omissis) e (Omissis), indagati per i reati di cui agli artt. 474 e 648 cod. pen., annullava il decreto di convalida di sequestro probatorio di 303 capi di abbigliamento con marchio “Desigual” in ipotesi contraffatto, osservando che il decreto non risultava motivato in relazione alla sussistenza di esigenze probatorie. Avverso tale ordinanza propone ricorso il P.M. deducendo violazione di legge in relazione agli artt. 324 cod. proc. pen. e 240, II comma cod. pen. Al riguardo eccepisce che il decreto della procura risultava motivato, atteso che indicava specificamente che il sequestro probatorio appariva necessario «dovendosi accertare le modalità della contraffazione dei capi di abbigliamento e la loro confondibilità rispetto ai prodotti originari». Deduce, inoltre, che la revoca del sequestro probatorio non poteva essere disposta, a norma dell’art. 240, II comma, trattandosi di cose soggette a confisca obbligatoria.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso è fondato in quanto il Tribunale del riesame, solo apparentemente, si è uniformato ad un orientamento giurisprudenziale fondato sul reiterato insegnamento delle Sezioni Unite, al quale questo Collegio ritiene di dover integralmente aderire. La tematica, da subito controversa, venne infatti portata all’attenzione delle Sezioni Unite poco dopo l’entrata in vigore del nuovo codice di procedura penale che, come è noto, attraverso la scansione di più figure di sequestro – probatorio, preventivo, conservativo – ciascuna delle quali caratterizzata da natura e presupposti ben specificati e differenziati, aveva “rotto” quella configurazione unificante ( e massificante) al contrario prevista dal codice abrogato, che faceva del sequestro un rimedio proteiforme e Plurifunzionale. Già nel 1991, infatti, le Sezioni unite ebbero ad affermare il principio secondo il quale «l’art. 354, comma secondo, cod. proc. pen. non attribuisce alla Polizia Giudiziaria il potere di eseguire il sequestro in assenza delle condizioni richieste per il sequestro operato dal Pubblico Ministero e indipendentemente da un pericolo di mutamento della situazione di fatto e dalla impossibilità di un tempestivo intervento del P.M.. Dopo la convalida da parte del Pubblico Ministero del sequestro operato dalla Polizia Giudiziaria (che ha la stessa funzione del decreto del PM che dispone il sequestro ed è soggetto ai medesimi controlli) il Giudice del riesame non deve stabilire se vi era pericolo di mutamento della situazione di fatto e impossibilità di un tempestivo intervento del Pubblico Ministero, perché si tratta di presupposti coperti dalla convalida, ma deve controllare se il sequestro sia o meno giustificato e, in ogni caso, verificare la sussistenza delle esigenze probatorie, sia che il sequestro riguardi cose pertinenti al reato, sia che abbia avuto ad oggetto il corpo del reato. Di tale verifica il Tribunale deve dare conto con la motivazione della sua decisione.» (Sez. U, n. 10 del 18/06/1991 – dep. 24/07/1991, Raccah, Rv. 187861). In particolare, il Collegio allargato di questa Corte ebbe a confutare anche la lettura rigorosamente letterale dell’art. 253 cod. proc. pen., secondo la quale la verifica circa la necessità ai fini dell’accertamento riguarderebbe soltanto le cose pertinenti al reato. Si rilevò, infatti, che la formula codicistica, per la sola considerazione che è stato usato l’aggettivo «necessarie», di genere femminile, non giustifica la conclusione che quando il sequestro concerne il corpo del reato non occorre che le esigenze probatorie siano indicate nel provvedimento e siano controllate in sede di riesame. Tale argomento, infatti, non parve decisivo, dato che per ragioni di immediata contiguità sintattica è possibile la concordanza dell’aggettivo con l’ultimo nome femminile, quando questo è plurale, anche se viene preceduto da nomi maschili, mentre resta decisiva – si puntualizzò – la considerazione che in ogni caso il decreto deve essere motivato e che, potendo il sequestro (anche quello del corpo del reato) avvenire sia per finalità probatorie, sia per finalità preventive, soggette a regole diverse, l’autorità che lo dispone non può non indicare le finalità che con il provvedimento intende perseguire, così come il giudice del riesame non può non controllare queste finalità per verificare, anche sotto l’aspetto procedimentale, la legittimità del decreto. Né può ritenersi – osservò ancora la Corte – che il corpo del reato sia sempre necessario per l’accertamento dei fatti, e che quindi debba formare oggetto di un sequestro probatorio, sia perché nella realtà certamente così non è (si pensi alle cose oggetto di un furto, che non devono essere necessariamente sequestrate), sia perché lo stesso legislatore mostra di ritenere imprescindibile il nesso tra la misura e le esigenze probatorie, imponendo la restituzione delle cose «quando non è necessario mantenere il sequestro ai fini di prova» (art. 262, comma 1); restituzione di tutte le cose, anche di quelle che costituiscono il corpo del reato, a meno che non venga disposto – e ciò dimostra la diversità finalistica ( a prescindere dalla natura della res) tra il provvedimento di sequestro di cui all’art. 253 cod. proc. pen. e la misura cautelare reale di cui all’art. 321 cod. proc. pen. – il sequestro preventivo di cui a quest’ultima previsione normativa. Malgrado la chiarezza di tali enunciati – che qui si ritengono integralmente condivisibili – il perdurante contrasto ha comportato un nuovo intervento delle Sezioni unite, le quali hanno ribadito il principio secondo il quale anche per le cose che costituiscono corpo di reato il decreto di sequestro a fini di prova deve essere sorretto, a pena di nullità, da idonea motivazione in ordine al presupposto della finalità perseguita, in concreto, per l’accertamento dei fatti. (Sez. U, n. 5876 del 28/01/2004 – dep. 13/02/2004, RC. Ferazzi in proc. Bevilacqua, Rv. 226711). La Corte, nel frangente, premessa la specificità di ciascuna forma di sequestro prevista dal codice di rito e la differente funzione che ognuna di esser persegue ed esclusa, dunque, la configurabilità di un quartum genus di sequestro, quale sarebbe quello del corpo del reato, ha evidenziato la caratterizzazione squisitamente probatoria del sequestro disciplinato dall’art. 253 cod. proc. pen. per giungere alla conclusione che la soluzione interpretativa che esige la enunciazione delle finalità di volta in volta perseguite con tale strumento è l’unica compatibile con i limiti dettati dall’intervento penale sul terreno delle libertà fondamentali e dei diritti costituzionalmente garantiti dell’individuo, quale è certamente il diritto alla «protezione della proprietà» riconosciuto dall’art. 42 Cost. e dall’art. 1 del Primo protocollo addizionale della CEDU. Si tratta, dunque, di una interpretazione non soltanto costituzionalmente, ma anche “convenzionalmente” necessaria, dal momento che, soltanto ove la finalizzazione probatoria del corpo del reato fosse connotato “ontologico” ed immanente rispetto alla “natura” delle cose inquadrabili in quel concetto, potrebbe dirsi che il postulato della motivazione delle finalità del sequestro potrebbe dirsi soddisfatto dalla motivazione che quelle cose rappresentano, nel caso di specie, un “corpo di reato”. Ma che così non sia, lo ha ampiamente dimostrato – sul piano tanto fattuale che normativo – già la stessa sentenza Raccah. Da qui, la necessità di una motivazione che “spieghi,” non soltanto il nesso di pertinenzialità tra la cosa ed il reato, ma anche l’esigenza probatoria che giustifica il provvedimento di cautela, giacchè, ove così non fosse, il vincolo sulla proprietà e sulla libera disponibilità dei propri beni risulterebbe, in sé, privo di una causa giustificatrice, e, come tale, in palese contrasto con i principi costituzionali e della Convenzione EDU. Nel caso di specie la – pur sintetica motivazione – del decreto di sequestro giustifica il provvedimento di cautela, osservando che il sequestro è necessario: “dovendosi accertare le modalità della contraffazione dei capi di Corte di Cassazione – copia non ufficiale abbigliamento e la loro confondibilità rispetto ai prodotti originari”. L’esigenza probatoria prospettata riguarda proprio l’oggetto del reato di contraffazione contestato agli indagati, che deve essere necessariamente accertato attraverso un’indagine sulla cosa. Di conseguenza il provvedimento impugnato deve essere annullato senza rinvio, essendo legittimo il decreto di sequestro probatorio emesso dal P.M.

P.Q.M.

annulla senza rinvio l’ordinanza impugnata e dichiara legittimo il decreto di convalida del sequestro probatorio emesso dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Napoli in data 31/7/2014.

Così deciso, il 10 aprile 2015 Il Consigliere estensore Il Presidente

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